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Sussidi ma non solo. La (vera) missione di Meloni secondo Fitto

Il ministro per gli Affari Europei interviene in Parlamento alla vigilia del Consiglio europeo chiamato a decidere sulla risposta comunitaria agli Stati Uniti. In ballo c’è molto più della competitività delle industrie continentali, l’Unione deve tornare a essere equa e impedire fughe in avanti in stile Germania

Fosse solo da trovare la quadra sulla risposta europea all’ondata di sussidi green in arrivo sull’industria americana, si potrebbe anche vincere facile. E invece no, la posta in gioco è decisamente più alta e dall’alto tasso politico. Nel Consiglio europeo straordinario in programma domani e dopo domani a Bruxelles, chiamato ufficialmente ad approvare il pacchetto comunitario di aiuti alle imprese del continente, in chiave transizione, si getteranno le basi della nuova Europa, post pandemica, colpita dalla guerra in Ucraina, presa a pugni dall’inflazione e per questo (ma non solo) in pieno riassetto energetico. Regole di sopravvivenza con cui affrontare le crisi di oggi e di domani.

Il punto di caduta è più o meno questo. Non basta riproporre un Recovery Plan formato industria e a prova di protezionismo statunitense, bisogna capire come verrà finanziata quella nuova politica industriale su scala continentale, a cui l’Italia di Giorgia Meloni ambisce fin da tempi non sospetti. Adolfo Urso, ministro per le Imprese e per il made in Italy, di rientro dalla due giorni di Stoccolma e fresco di un primo e non scontato disco verde alla sua visione (acceso per l’occasione dal commissario per il Mercato Interno, Thierry Breton) è stato chiaro: al di là degli aiuti, bisogna capire chi spenderà quanto e, soprattutto, se i Paesi dell’Unione saranno tutti sullo stesso piano o ci sarà un ritorno a quell’Europa a due velocità che sa tanto di passato (il viaggio negli Usa in solitaria di Francia e Germania a tre giorni dal Consiglio è un fattore di allarme). Tradotto, Stati liberi di spendere e spandere complici le finanze in salute e altri, magari la seconda manifattura europea (l’Italia) con le mani legate.

Il gruppo dei cosiddetti frugali, Germania in testa, non aspetta altro. Una revisione degli aiuti di Stato cucita su misura per chi ha capacità fiscali maggiori, con un deficit basso rispetto al Pil. Tutto questo il ministro per gli Affari Europei, Raffaele Fitto, lo sapeva quando stamattina ha varcato il portone di Montecitorio per fornire al Parlamento le Comunicazioni del governo in vista dell’imminente riunione dei capi di governo. La parola d’ordine è cautela, insieme a parità. Niente strappi, niente passi in avanti, niente fughe. Tutti sulla stessa barca. Questa sarà la missione presente e futura del premier Meloni, che va ben oltre il Net zero industry act, ovvero far passare in Europa il concetto che se il ritorno agli aiuti di Stato sono l’unica strada per non soccombere a Cina e Usa, allora tutti debbono poter agire allo stesso modo e avere il medesimo arsenale.

“C’è una proposta della Commissione Ue, sostenuta da alcuni Stati membri, per una modifica del sistema delle regole sugli aiuti di Stato che nasce dalla necessita di risposta all’Inflation reduction act statunitense”, ha esordito Fitto. “Ebbene, riteniamo che la proposta rischi di essere pericolosa perché altera la tenuta del mercato interno e rischia di non dare una risposta unitaria agli Usa, oltre a creare disparità tra i paesi perché quelli a maggiore capacita fiscale potranno intervenire più efficacemente rispetto agli altri”.

Per questo la posizione dell’Italia sulla possibilità di modifiche al sistema degli aiuti di Stato è molto cauta, ha sottolineato con doppia riga il ministro. “Una delle cose che chiede il governo italiano è che laddove si ragioni di modifiche, ci sia maggiore flessibilità nell’uso delle risorse esistenti”. E ha poi toccato il delicato tema della costituzione di un fondo sovrano, da alimentare con debito comune da parte dei Paesi membri. Questione che nei fatti fa il paio con la parità di trattamento sugli aiuti di Stato e altrettanto temuta dai frugali. I quali si chiedono il perché, dopo la già non pienamente condivisa esperienza del Recovery Fund, si debba ancora emettere debito insieme a chi le finanze pubbliche non sempre le ha sotto controllo.

Ma anche qui Fitto ha ribadito la linea italiana, su cui costruire l’Europa economica e finanziaria di domani. Il fondo serve e serve subito, perché al di là della sfida della competitività, per il futuro sarà opportuno agire sempre insieme piuttosto che in ordine sparso. “Sul fondo sovrano preannunciato dalla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, c’è la sollecitazione forte alla presentazione di una proposta entro l’estate. La flessibilità concessa ci permetterà di usare risorse immediate. La discussione sul fondo sovrano è un po’ più complessa”. E, qualora non fosse possibile arrivare alla creazione di un veicolo comunitario con cui finanziare i sussidi, ecco il piano B, l’uso dei fondi del Pnrr e strutturali. Sempre per rimanere nel solco della parità.

“Questo tema, per quanto ci riguarda, non è marginale perché potrebbe riguardare un possibile utilizzo in questa direzione di risorse molto importanti quali quelle della coesione, del Pnrr, non avendo una nostra capacità autonoma, e che rientrerebbero in un utilizzo flessibile”. Fitto ha poi evidenziato che il Consiglio europeo “rappresenta una riunione nella quale verranno affrontati temi importanti per via dell’urgenza che li caratterizza. Mi auguro che sia risolutivo. Il governo nei giorni scorsi ha fatto degli incontri importanti e preparatori per avviare un momento di confronto, per capire punti di contatto o le posizioni differenti tra i diversi paesi. Ci sono Paesi che hanno posizioni differenti, ci stiamo confrontando, noi il fondo sovrano lo sosteniamo”. Ora palla a Bruxelles.


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