Aiuti russi all’Italia per il Covid e italiani alla Russia per il nucleare, armi offensive o difensive, trattato New Start. Il generale Carlo Jean fa un punto sulle teorie più o meno strampalate sulla guerra in Ucraina dopo i discorsi del 21 febbraio
Nel suo discorso-fiume a camere riunite del 21 febbraio, Putin ha ricordato la generosità di Mosca accorsa in aiuto dell’Italia colpita dal Covid, implicitamente sottolineando la mancanza di riconoscenza del nostro Paese, che fornisce supporto anche militare ai nemici della Russia in Ucraina. Come ha detto la nostra presidente del Consiglio dei ministri, si trattava di un’altra “era storica”. In realtà è stato proprio così.
Le generosità verso la Russia sono state numerose anche da parte dell’intero Occidente. Per quanto riguarda l’Italia esse hanno riguardato anche il settore nucleare, con la nostra partecipazione al “Programma Global Partnership”. Esso è stato un consistente contributo per la neutralizzazione di quella specie di “bomba ecologica” rappresentata dai quasi duecento sottomarini nucleari della Flotta del Nord ex-sovietica, esistenti in precarie condizioni di sicurezza soprattutto in basi della Penisola di Kola. La Sogin (Società Gestione Impianti Nucleari), già presente in Russia – perché vincitrice di finanziamenti Ue per la messa in sicurezza di centrali e altre installazioni nucleari – è stata incaricata dal governo di gestire la partecipazione italiana al programma. Essa ha comportato, a partire dal 2005, finanziamenti italiani complessivamente per oltre 350 mln di euro. Con essi sono stati, tra l’altro, demoliti 7 sommergibili d’attacco a propulsione nucleare, donata alla Russia una nave inaffondabile per il trasporto di motori e di cask con materiale altamente radioattivo – progettata e costruita da Fincantieri – e messi in sicurezza o bonificati vari depositi di scorie nucleari.
Parallelamente all’Italia, hanno partecipato a tale colossale bonifica i paesi del G-7 e quelli scandinavi. Visto che la generosità italiana non è stata ricordata da Putin, potrebbe essergli segnalata dall’Italia. Ma, forse, non ne vale proprio la pena, anche perché, in effetti, una delle ragioni dell’impegno italiano era stata la speranza di ottenere il trasferimento definitivo di tutte le nostre scorie nucleari in Russia, per evitare di dovere costruire in Italia – sembra insuperabile la “sindrome Nimby” – un deposito nucleare permanente. Malgrado le pressioni sugli Usa del presidente Berlusconi e del sottosegretario Gianni Letta (chi non ci crede vada a leggere le intercettazioni di Assange dei messaggi dell’ambasciata Usa a Roma) l’operazione fallì.
Sospensione della partecipazione al New Start
Il trattato stabilisce un “tetto” delle testate (1.550) e dei lanciatori (800) di armi nucleari strategiche (bombardieri, missili intercontinentali o a bordo di sommergibili lanciamissili) in grado di colpire i territori russo e americano. Il trattato, firmato nel 2010 e in vigore dal febbraio 2011, prevede la parità degli arsenali nucleari strategici di Mosca e di Washington e prevede un sistema di verifica (notifiche e 18 ispezioni all’anno, con preavviso di 32 ore – 10 sui siti operativo e 8 su quelli in riserva). Il trattato sarebbe scaduto nel febbraio 2021, dato che il presidente Trump non era interessato al suo rinnovo, malgrado le sollecitazioni che aveva ricevuto da Putin, consapevole che la Russia non era in grado di competere con gli Usa in una corsa al riarmo.
Uno dei primi atti della presidenza Biden ha riguardato l’estensione del Trattato per altri 5 anni, cioè fino al 2026, e la riattivazione dei negoziati di Ginevra per adeguarlo all’evoluzione tecnologica, che rischia di destabilizzare la dissuasione reciproca fra Washington e Mosca (che rimane basata sulla “MAD”, distruzione reciproca garantita). Nel suo discorso del 21 febbraio, Putin ha annunciato la sospensione della partecipazione russa all’attuazione del New Start, affrettandosi subito a “fare marcia indietro”, precisando che Mosca non si ritira dal Trattato, ma solo dalla sua attuazione. I “tetti” di armi nucleari del New Start rimangono validi. La sospensione riguarda il sistema di verifiche e i negoziati di Ginevra.
A parer mio, cambia poco o nulla. Il motivo della decisione di Putin è stato sicuramente il tentativo di dare credibilità ai suoi ripetuti bluff di ricorrere al nucleare. Essi hanno perduto quasi interamente la loro credibilità, anche per quanto riguarda il nucleare tattico, che non è comunque considerato nel New Start. Come messo in rilievo dagli analisti del settore, le armi nucleari tattiche possono avere effetti significativi sul combattimento terrestre solo se impiegate in packages di 10-20 testate di almeno 5 chilotoni, con scoppi a terra o aerei bassi, cioè con la sfera di fuoco che tocca il terreno; quindi, con consistenti ricadute radioattive. Queste ultime, si estenderebbero anche alla Russia meridionale. Il suo utilizzo contro le città sarebbe più efficace, ma provocherebbe la condanna di Mosca da parte di tutto il mondo, a partire dalla Cina e dall’India. Putin va ancora considerato un attore strategico razionale. Comunque, anche se non lo fosse e seguisse la logica di “muoia Sansone e tutti i Filistei”, non è detto che possa ricorrere al nucleare. L’uso di quest’ultimo richiede anche il consenso del ministro della Difesa e del Capo di Stato Maggiore Generale. Non è detto che eseguirebbero un suo ordine, se non fosse in gioco il tracollo dello Stato. È del tutto improbabile che lo farebbero, se ad essere in pericolo fosse solo il regime dell’attuale proprietario del Cremlino.
Le ragioni dell’aggressione russa all’Ucraina
Putin e, soprattutto, i suoi sostenitori in Occidente, si inventano sempre nuove ragioni per giustificare le ragioni dell’aggressione russa di un anno fa. Che sia stato l’allargamento della Nato è stato smentito sia da Gorbaciov sia dalla pubblicazione a Harvard dei suoi incontri con il segretario di Stato Baker e con il Cancelliere Kohl, nonché delle telefonate del 1993 fra Eltsin e Clinton. Che sia stato il massacro dei russofoni del Donbass da parte delle Forze Armate di Kyiv è smentito dall’Osce e dal rappresentante dell’Onu dei Diritti Umani. L’ultima invenzione, ripetuta a Cartabianca del 21/2, è che gli ucraini non abbiano attaccato le repubbliche secessioniste del Donbass (in realtà, secondo gli osservatori internazionali, gli attacchi erano praticamente cessati dopo la firma dell’accordo Minsk-2 nel febbraio 2015), ma si preparassero ad attaccarle. Quali siano le fonti è un mistero.
A parer mio, sono state inventate di sana pianta da qualche autoproclamatosi “analista strategico”, abituato a gabellare come realtà le sue fantasie. Il fatto che molte forze ucraine fossero schierate di fronte al Donbass non costituisce prova. Kyiv si aspettava che proprio lì si sarebbe polarizzato l’attacco russo. Il fronte Nord e quello Sud erano quasi sguarniti. Nel primo, le forze territoriali riuscirono a bloccare i russi prima che raggiungessero Kyiv. A Sud, i russi avanzarono rapidamente, occupando Kherson. Il pubblico italiano meriterebbe di essere meglio informato dai cosiddetti esperti o, almeno, da persone che, prima di parlare, leggano qualcosa e che abbiano l’onestà culturale e le capacità di capirlo.
Armi difensive e offensive
Per inciso, lo stesso vale per il ritorno “trionfale” sulla scena mediatica della distinzione fra le armi difensive e offensive. È una caratteristica “italica”, che non si riscontra in altri Paesi. In tutto il mondo è usata la distinzione fra armi letali e non letali. Mi sembra che la nostra presidente del Consiglio abbia usato, al riguardo, espressioni realistiche, confermate dall’intera esperienza storica, oltre che dal semplice buon senso. Che cioè un’arma è un’arma, indipendentemente che sia letale o no (anche un giubbotto antiproiettile può essere offensivo se usato da un rapinatore!). Se sia offensivo o difensivo dipende dal motivo per il quale viene impiegato. Il resto sono semplici chiacchiere. Denunciano una profonda ignoranza della realtà strategica. Sono tentativi per sostenere le proprie preferenze e tesi preconcette. Che poi sia ragionevole limitare il trasferimento di determinate armi, come i cacciabombardieri all’Ucraina, dipende non dalla loro natura, ma da considerazioni politico-strategiche, che nulla hanno a che vedere con la loro natura offensiva o difensiva.