“La nostra industria della difesa si riorganizzerà per un’era di guerra. Non ci sarà ricostruzione in Ucraina senza allargamento, con l’Italia protagonista”. Con quali fondi? “Una Next Generation Eu o gli asset congelati dei russi. Interessante la proposta estone: approvvigionamento congiunto di munizioni così come fatto per i vaccini”. Conversazione con Nathalie Tocci, direttrice dello Iai
Il dibattito sull’invio di carri e caccia in Ucraina è superato, la fase due della guerra in Ucraina poggia su tre temi: una ricostruzione, con l’Italia in campo, agganciata all’allargamento di Nato e Ue; una riorganizzazione dell’industria della difesa per un’era di guerra; la fine dell’illusione macroniana di un Putin disposto alla pace. Questo il sunto della Conferenza sulla Sicurezza di Monaco secondo Nathalie Tocci, direttrice dell’Istituto Affari Internazionali, che Formiche.net ha raggiunto al termine della due giorni di analisi e riflessioni.
Dopo la conferenza di Monaco, quali passi in avanti ha fatto l’Occidente non solo sulla fase due della guerra in Ucraina, ma anche nella consapevolezza di una visione comune?
A Monaco, Stati Uniti ed Europa hanno preso coscienza che sono finite tutte le illusioni e le possibili speranze interpretative incarnate da Emmanuel Macron, quello che più di altri ha costantemente tentato di tendere il ramo di ulivo a Putin. Con tanto rammarico se ne prende atto. Uno dei momenti che più mi ha colpito della conferenza è stato proprio quando il presidente francese, che non spicca per umiltà, ha fatto una specie di mea culpa su Mosca, che ha definito uno Stato mafioso con cui, in quanto tale, è difficile trattare.
Questa presa di coscienza in quali politiche si traduce?
Che la guerra continuerà e che l’Ucraina dovrà vincere: quest’ultima posizione è un qualcosa che si è consolidato nell’ultimo periodo. Ovvero, mentre prima dovevamo dare le armi all’Ucraina in modo tale che avrebbe potuto negoziare da una posizione di maggior forza, adesso si prende atto del fatto che, anche in una ipotesi abbastanza verosimile in cui la controffensiva di tarda primavera effettivamente riesca a liberare gran parte del territorio, questo non vuol dire automaticamente che ci sarà una trattativa perché, ripeto, servono due parti per una trattativa. E sarebbe ingenuo immaginare che la Russia sia disposta a trattare.
Quali implicazioni, anche industriali, ravvisare?
In primis per la nostra industria della difesa: era stata fondata in un’era di pace, ma ora come ha osservato il cancelliere Olaf Scholz deve riorganizzarsi per un’era di guerra, ciò non vuol dire evidentemente entrare in guerra, ma ripensare i propri processi produttivi che non ci sono se non c’è una domanda consolidata. Il tema è come assicurare quella domanda consolidata e quale ruolo deve giocare l’Unione Europea: ho trovato interessante la proposta di Kaya Kallas, prima ministra estone, secondo cui immaginare per le munizioni un meccanismo simile a quello messo in piedi per l’approvvigionamento congiunto dei vaccini.
Non solo armi, come impostare la ricostruzione?
Si è parlato di utilizzare gli asset russi congelati, privati e pubblici, anche se si aprirebbe una diatriba di natura giuridica. Oppure si potrebbe immaginare un meccanismo come Next Generation Eu, visto che per la ricostruzione sappiamo che saranno soprattutto gli europei a dover trovare i fondi. Ma questo tema credo sia legato al quadro generale: ovvero tutto ciò accadrà in una situazione di non pace, quindi chiediamoci in che modo assicurare una ricostruzione del valore di centinaia di miliardi, in cui un ruolo importante verrà svolto dal settore privato.
Vorranno delle garanzie?
L’unico modo per mitigare il rischio-sicurezza per i privati coinvolti è l’allargamento dell’Unione europea e della Nato: in quel caso scatterebbero garanzie di sicurezza. Tutto ciò si condensa in una verità che è emersa in maniera molto chiara a Monaco: non esistono più Stati cuscinetto, esistono stati frontiera. Visto che abbiamo un interesse esistenziale affinché Paesi come l’Ucraina, così come la Moldova, siano da questa parte della frontiera, è utile riflettere su che tipo di politiche economiche, militari, di allargamento e di sicurezza bisognerà immaginare per questa Europa di frontiera. Si tratta di domande le cui risposte sono più molto più europee che statunitensi. Per cui vedo una presa di coscienza crescente che in realtà, un conto è sconfiggere la Russia, un conto è far vincere l’Ucraina e per la seconda chi fa veramente la differenza sono gli europei.
La missione a Kiev del ministro Urso con Confindustria è anticamera di un ruolo forte per l’Italia alla voce ricostruzione?
L’Italia ha nelle sue corde questo suo know how e ci sono le premesse per cui il nostro Paese e le nostre aziende possano avere un ruolo. Ma il discorso si ricollega all’allargamento. L’Italia non soltanto ha effettivamente un valore aggiunto per quelli che possono essere i settori di rilancio dell’economia ucraina, dall’agribusiness alla transizione energetica ma, rispetto alla Francia e alla Germania, può vantare un impegno forte nell’allargamento. Ricordiamo tutti il treno con a bordo Mario Draghi e i capi dei governi di Parigi e Berlino: l’Italia in quanto Italia è sempre stata una forte sostenitrice dell’allargamento e quindi credo che rendere molto più esplicito questo collegamento tra ricostruzione e allargamento formerebbe un quadro per mitigare i rischi sicurezza. E sarebbe un valore aggiunto molto significativo dell’Italia.
L’aumento delle spese militari da parte della Nato potrà essere anticamera per la difesa comune europea?
Io ci ho creduto, ma ora c’è una contraddizione in corso: sicuramente gli europei danno molta più importanza alla sicurezza e alla difesa che in passato, questo non solo a parole ma anche nei fatti. Si spende più sulla difesa e sicuramente gli Stati più vicini al confine prendono la sicurezza con molta più serietà del passato. Noi immaginavamo che, quando finalmente gli europei avrebbero dato maggiore importanza alla sicurezza e alla difesa, ciò si sarebbe tradotto in una difesa europea più forte, ma non a discapito della Nato. Viviamo in un mondo in cui c’è un’altra grande potenza, ossia la Cina e quindi agli Stati Uniti conviene avere degli alleati forti e non semplicemente degli alleati succubi. Osservo che non viviamo più in un’era di pace, ma in un’era di guerra per cui i magazzini andranno riempiti con i sistemi d’arma disponibili al momento, per cui F-35 e Patriot, e non con quelli che avremmo dovuto produrre, visto che fino a ieri non abbiamo preso la sicurezza sul serio. Credo inoltre che finché Joe Biden resterà alla Casa Bianca andrà tutto bene, ma con Ron De Santis gli Usa continueranno ad avere quello stesso impegno nei confronti dell’Europa o no?
Il possibile invio di caccia a Kiev quali vantaggi, anche geopolitici, avrebbe e come ciò si intreccia con la densità della visita di Giorgia Meloni in Ucraina?
Mi sarei aspettato che di caccia se ne parlasse molto di più a Monaco: servono a mettere gli ucraini nella condizione più forte per portare avanti una controffensiva che, verosimilmente partirà dalla fine della prossima primavera. I caccia sostanzialmente servono a tante cose, ma una delle cose a cui servono è difendere quello che avviene a terra: quindi sono collegati all’invio dei carri. Non c’è più oramai una reticenza da parte dei Paesi europei occidentali sull’invio dei caccia che, come i carri, hanno lo stesso obiettivo: la liberazione del territorio ucraino.
Quanto saranno efficaci?
Servono ma vanno intrecciati al tema dell’addestramento, del mantenimento e della sostenibilità: dovremmo chiederci se ne abbiamo a sufficienza, se abbiamo tutto quello che serve per assicurare il loro mantenimento e se gli ucraini sono nella condizione di saperli usare. Per fortuna il dibattito sull’invio è iper superato e ora vi sono una serie di altre domande di natura diciamo più tecnica a cui rispondere.
@FDepalo