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Dall’invasione dell’Ucraina al divario globale. Il bilancio di D’Anna

Dallo choc dell’inizio dell’invasione alla visita di Biden, su Kiev si concentra l’attenzione e la riflessione del mondo per delineare il consuntivo di un anno di guerra e delle prospettive dell’evoluzione del conflitto. L’analisi di Gianfranco D’Anna

Ossario Ucraina. Oceani di analisi, valanghe di definizioni, ma i corpi dilaniati degli ucraini, le città rase al suolo, le vite devastate per sempre, restano sospese nel cielo rosso sangue di un Paese incessantemente squarciato dalle esplosioni dei bombardamenti russi. Il bilancio più pesante di 365 notti e giorni di devastazioni e scontri, è quello dell’assenza di prospettive.

Per tutti gli analisti di strategie militari non si conclude un anno di conflitto, ma iniziano altri 12 mesi di guerra. Secondo il ministro della Difesa britannico Ben Wallace, oltre 188.000 soldati russi sono morti o rimasti feriti a causa del “catastrofico errore di calcolo” di Vladimir Putin. L’esponente del governo inglese denuncia soprattutto come il presidente russo abbia “mostrato un completo disprezzo non solo per la vita degli ucraini ma anche per i suoi stessi soldati. E quando qualcuno ha oltrepassa il limite anche contro la propria gente, gestendo l’esercito col tritacarne, penso che non si fermerà”.

Un’accusa particolarmente grave, scivolata sulla consueta gelida espressione di Putin che a Mosca, in occasione della Giornata dei difensori della patria, ha deposto una corona presso la tomba del milite ignoto a ridosso delle mura del Cremlino ed ha reso omaggio ai soldati caduti. Gli stessi che ha mandato al massacro.

Se “per vivere bisogna amare” come ripetono poeti e aforismi, si può immaginare l’abisso dell’animo di Putin che come se niente fosse, a due giorni dall’annuncio della sospensione della partecipazione della Russia al trattato sul controllo degli armamenti nucleari, ha anzi rilanciato le minacce atomiche anticipando l’ulteriore potenziamento della cosiddetta “triade nucleare”, cioè i missili balistici, quelli lanciati dai sottomarini e le bombe nucleari sui caccia bombardieri.

Il leader del Cremlino ha poi ricordato che, per la prima volta quest’anno, saranno schierati i missili balistici intercontinentali Sarmat, un’arma in grado di trasportare più testate nucleari. “Continueremo la produzione di massa di sistemi Kinzhal ipersonici e avvieremo forniture di massa di missili ipersonici Zircon con base in mare”, ha affermato in una sorta di sommario dell’apocalisse.

Il divario globale provocato dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia di Putin, in un anno, è più che raddoppiato. Non soltanto per l’equilibrio della deterrenza nucleare, ma per l’insieme della coesistenza pacifica e dei rapporti economici. Senza considerare la Cina, che continua a fingere di mediare, ma sostanzialmente tiene “impelagati” gli Stati Uniti in Europa e lucra le forniture energetiche a basso prezzo di Mosca, l’India, il Sud Africa, il Kenya, il Brasile e vari Paesi latino-americani continuano ad avere una visione profondamente ambivalente del conflitto. Pesa l’incapacità dell’Occidente di dedicare altrettante risorse alla risoluzione dei conflitti e delle violazioni dei diritti umani in altre parti del mondo, come i territori palestinesi, la Somalia, l’Etiopia e la Repubblica Democratica del Congo. Per non parlare dell’America Latina.

L’India ha annunciato la scorsa settimana che l’interscambio con la Russia è cresciuto del 400%. Mentre la marina sudafricana è impegnata in questi giorni in esercitazioni militari con Russia e Cina nell’Oceano Indiano. Una potente flotta da guerra guidata da una delle più temibili unità della marina russa, l’Admiral Gorshkov, equipaggiata con i missili ipersonici Zircon decantati da Putin. Sono due dei più recenti esempi di segnali di discontinuità con l’Occidente evidenziati dal recente Economist Intelligence Unit, secondo la cui stima due terzi della popolazione mondiale vive in paesi che si sono astenuti dal condannare la Russia.

E se alle Nazioni Unite 143 Paesi su 193 hanno votato per condannare la Mosca per l’invasione e hanno censurato l’annessione di parti dell’Ucraina da parte del Cremlino, soltanto 33 Stati hanno imposto sanzioni alla Russia e stanno inviando armi e aiuti all’Ucraina.

È il prezzo che gli Stati Uniti, l’Europa e l’intero Occidente stanno pagando per avere abbandonato a se stesso il Sud del mondo, per il disprezzo di Trump nei confronti dell’Africa e di tutto l’Islam, per l’egoismo evidenziato in occasione della pandemia. Tragici vuoti di assistenza con ricadute sulla sopravvivenza, subito colmati da Cina e Russia che con una abile politica neocolonialista hanno rifilato all’Africa e all’America Latina le proprie vecchie infrastrutture industriali terribilmente inquinanti e depredato le risorse minerarie e petrolifere.
Ne consegue che il resto del mondo vede il martirio dell’Ucraina come una guerra europea e non come un conflitto globale dove é in gioco lo sviluppo ordinato del pianeta nella libertà, nella democrazia e nel pieno rispetto dei diritti umani, come auspica il presidente degli Stati Uniti Joe Biden.

Una percezione distorta, colta da Pechino che si appresta a proporre a Putin un sottilissimo e ambivalente piano di pace articolato in una decina di punti. Con la premessa del rispetto dei principi d’integrità territoriale e della sovranità, la Cina chiede il cessate il fuoco e lo stop alle forniture di armi che la Nato garantisce a Kiev per la difesa del suo territorio. A meno di colpi di scena, sembrano proposte formulate per essere respinte tanto dal Cremlino quanto da Kiev.

L’unico sbocco potrebbe essere rappresentato da trattative ad oltranza che implicano un cessate il fuoco e il congelamento delle posizioni dei due eserciti. È la soluzione Coreana, che da 70 anni cristallizza sul 38° parallelo il conflitto fra Pyongyang e Seul. Ma quanto può sopravvivere ancora il mondo fra la tragedia di una guerra sempre più disumana e i contraccolpi di un’economia globale in bilico sul crollo della produzione e dei consumi?

A sorpresa, una risposta potrebbe venire da Papa Francesco che secondo più fonti si accinge a visitare Kiev. Una capitale di un Paese ostinatamente e orgogliosamente libero sulla quale dallo choc dell’inizio dell’invasione alla visita di Biden, si concentra l’attenzione e la riflessione del mondo per delineare il consuntivo di un anno di guerra e delineare le prospettive dell’evoluzione del conflitto.

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