Skip to main content

“Divide et impera”. Il viaggio dell’inviato di Xi a Parigi e Roma

Wang Yi è in missione per rilanciare la cosiddetta cooperazione “win-win” promettendo di slegare geopolitica e affari ma senza abbandonare la tipica strategia cinese con l’Ue. L’Europa (forse) è cambiata e ha una richiesta chiara: responsabilità sulla guerra in Ucraina

Slegare la geopolitica dagli affari per permettere con l’Europa quella che Pechino definisce una cooperazione “win-win”. Con questa missione Wang Yi, capo della diplomazia del Partito comunista cinese, è partito per il suo viaggio in Europa. Ieri ha incontrato Antonio Tajani, vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri, e oggi Sergio Mattarella, Presidente della Repubblica. Tajani ha raccontato che il diplomatico gli “ha detto che Xi Jinping farà un discorso di pace in occasione dell’anniversario del conflitto” che cade venerdì prossimo.

LA TAPPA A PARIGI

A Parigi ha avuto faccia a faccia dello stesso livello: con Catherine Colonna, ministra francese per l’Europa e gli Affari esteri, e con il presidente Emmanuel Macron. Dalla nota diffusa da Parigi dopo l’incontro tra Wang e Colonna emerge un approccio prudente da parte francese sulle questioni più spinose. “Che dire del commercio quando l’obiettivo è ‘riequilibrare gli scambi economici bilaterali dall’alto’ e il deficit del 2022 è di quasi 50 miliardi di euro”, si è chiesto Antoine Bondaz, ricercatore della Fondation pour la recherche stratégique. Mancano anche cenni alla Corea del Nord, alle tensioni nello Stretto di Taiwan e all’impegno della Francia per la stabilità nell’area, ha notato ancora l’esperto osservando che Parigi ne parla a livello G7, europeo, nei formati 2+2 con Giappone e Australia, nei documenti ufficiali ma non ha “ancora il coraggio di dirlo nei nostri comunicati legati alla Cina”. Ancora più morbido e ampio il comunicato diffuso dall’Eliseo in cui si fa riferimento in particolare all’invasione russa dell’Ucraina e ai cambiamenti climatici.

LA RICHIESTA DI TAJANI E MACRON

Come osservato su Formiche.net, sia Tajani sia Macron hanno rivolto a Wang la stessa richiesta: che la Cina faccia pressioni sulla Russia affinché si sieda ai tavoli negoziali per trovare una soluzione diplomatica alla guerra in Ucraina. Ossia, che Pechino sia un attore responsabile in una fase internazionale di tensioni rinfocolate dai casi del pallone-spia e degli oggetti volanti abbattuti. Tra una settimana sarà l’anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina e nessuno in Occidente ha dimenticato che pochi giorni prima dell’inizio della guerra Xi aveva siglato una partnership “senza limiti” con il leader russo Vladimir Putin.

UN’ALTRA EUROPA

Perché l’Europa di oggi è molto diversa da quella che ha conosciuto Wang durante la sua ultima visita datata 2020, quando era ministro degli Esteri cinesi. Non solo è saldamente al fianco dell’Ucraina nella sua guerra contro l’invasione della Russia, il partner strategico della Cina, ma anche quest’ultima è diventata più assertiva nel suo vicinato. Lo raccontano anche le parole pronunciate da Tajani nei giorni scorsi: “Non devono esserci tentazioni di fare altrove quel che la Russia ha fatto in Ucraina” e Taiwan “deve rimanere così com’è”.

LA VISITA DI WANG

Due questioni al centro della visita romana di Wang, come spiegato su queste pagine: preparare il viaggio del presidente del Consiglio Giorgia Meloni a Pechino dopo l’invito di Xi in occasione del bilaterale tenutosi a margine del G20 di Bali, in Indonesia; assicurare il futuro del memorandum d’intesa sulla Via della Seta (sul quale Meloni ha sempre avuto una posizione contraria) che scade a marzo 2024 ma si rinnova automaticamente a fine di quest’anno a meno che una delle due parti non comunichi un passo indietro (le cui modalità però non sono specificate nel documento firmato nel 2019 dal governo gialloverde presieduto da Giuseppe Conte). Dopo le parole del presidente statunitense Joe Biden sugli oggetti volanti che hanno gettato acqua sul fuoco, potrebbero esserci maggiori spazi per le relazioni tra l’Unione europea, e i suoi Paesi membri, e la Cina.

LA VIA DELLA SETA

Un test sarà il Belt and Road Forum: la Francia ha già confermato la presenza nel corso del colloquio tra Wang ed Emmanuel Bonne, consigliere diplomatico di Macron, che sembra voler sostituire l’ex cancelliera tedesca Angela Merkel come interlocutore privilegiato di Pechino (a guidare dall’intervista rilasciata da Lu Shaye, ambasciatore francese in Cina, al Global Times). E l’Italia? La partecipazione potrebbe essere un’indicazione della strada scelta dal governo Meloni sul rinnovo del memorandum. Per ora l’esecutivo prende tempo: è “ancora prematuro parlare dell’accordo sulla Via della Seta, ci sono altre urgenze ed emergenze” al momento, ha spiegato Tajani prima dell’incontro con Wang. Secondo Enrico Fardella, professore associato all’Università di Napoli L’Orientale e direttore di ChinaMed, la soluzione più pratica si rivelerà essere quella di un silenzio assenso: “Potrebbe forse consentire di massimizzare i vantaggi mantenendo il memorandum d’intesa come lettera morta se necessario o riesumandolo a seconda delle eventuali convenienze”, ha spiegato il professore a Formiche.net.

IL PRESSING CINESE

“La Cina è disposta a importare più prodotti italiani di alta qualità, a sostenere le aziende italiane nell’espansione delle loro quote di mercato in Cina e spera che l’Italia offra un ambiente commerciale equo, trasparente e non discriminatorio per le aziende cinesi”, ha scritto su Twitter ambasciatore cinese a Roma, Jia Guide, che nei giorni scorsi ha rilasciato due interviste per sostenere l’importanza del rinnovo del memorandum. Se la prima parte della frase è un ramoscello d’ulivo all’Italia (nel 2019 il governo Conte racconto l’accordo come un modo – fallimentare alla prova dei fatti – per rilanciare l’export), la seconda è una richiesta chiara, e riguarda le barriere poste dall’Italia con l’uso del golden power rafforzato dal passato governo presieduto da Mario Draghi.

I RAPPORTI ITALO-FRANCESI PER PECHINO

Agli occhi della Cina, Francia e Italia sono in qualche modo legate (attenzione, però, all’abilità di Pechino nell’usare il divide et impera con i Paesi dell’Unione europea). Lo dimostra la visita di mercoledì di Wang a Parigi, prima del passaggio a Roma e degli impegni in Germania per la Conferenza sulla sicurezza di Monaco prima e in Ungheria poi. E lo dimostra anche un’importante decisione annunciata da Xi in occasione del G20 di novembre a Bali, in Indonesia, al margine del quale ha incontrato sia Macron sia Meloni: il via libera all’acquisto entro il 2035 di almeno 250 aerei Atr, di proprietà italo-francese (Leonardo e Airbus) dopo tre anni di negoziazioni. Pochi giorni prima la Cina aveva certificato il turboelica regionale Atr 42 prodotto negli stabilimenti di Pomigliano d’Arco, come annunciato dal consorzio Atr in una nota. Per Xi è stato un esempio di come la collaborazione dovrebbe svolgersi. Per Palazzo Chigi un passo avanti sull’accesso al mercato cinese con l’obiettivo della parità di trattamento per le aziende. Ma è possibile slegare la politica dagli affari quando in ballo c’è la Cina? Un interrogativo che cerca risposte nel governo Meloni.


×

Iscriviti alla newsletter