La Guida Suprema iraniana, Ali Khamenei, ha intenzione di concedere la grazia ai manifestanti che si pentono per aver protestato contro il regime e la teocrazia. Mossa che serve per cercare di acquietare le tensioni interne (ci riuscirà? Difficile) e per ripulire in qualche modo l’immagine di Teheran a livello internazionale
Il leader supremo iraniano, Ali Khamenei, ha graziato “decine di migliaia” di prigionieri, tra cui alcuni arrestati durante le recenti proteste antigovernative. Lo ha riferito domenica 5 febbraio l’agenzia di stampa statale Irna, dando risolato alla misericordia della Guida. È un’informazione diffusa probabilmente come spin comunicativo, quasi uno smacco se si pensa alla micidiale repressione che la teocrazia ha messo in piedi per sedare i disordini a livello nazionale.
L’Iran è stato travolto dalle proteste dopo la morte di una giovane donna curda iraniana sotto la custodia della polizia morale del Paese, avvenuta lo scorso settembre. Alle varie manifestazioni hanno preso parte iraniani di ogni estrazione sociale, segnando una delle più audaci sfide alla Repubblica islamica dalla rivoluzione del 1979. Secondo l’agenzia di stampa attivista Hrana, circa 20mila persone sono state arrestate in relazione alle proteste, che le autorità dichiarano essere state fomentate dai nemici stranieri dell’Iran. Secondo i gruppi per i diritti, oltre 500 persone sono state uccise durante la repressione, tra cui 70 minorenni. La magistratura iraniana ha ufficialmente annunciato le impiccagioni per almeno quattro manifestanti, colpevoli di reati contro lo stato e la religione.
Cosa porta dunque adesso alla decisione di Khamenei? Le direttrici della scelta possono essere due. La prima ha matrice interna, legata alla necessità di apparire magnanimo con una porzione dei manifestanti. Erano tanti, sono stati sedati con la violenza del regime, ma non sono stati assolutamente convinti. Il rischio che situazioni del genere si ripetano è evidente, anche perché le proteste degli ultimi mesi sono nate sulle basi poste da altre simili precedenti. La tensione sociale in Iran è molto alta da almeno tre anni. Ogni ondata diventa più partecipata, più diffusa, più organizzata e più aggressiva. Davanti al trend, Khamenei, leader della teocrazia che è bersaglio ultimo delle proteste, cerca di mostrare che in qualche modo comprende — con il perdono — le ragioni di parte del suo popolo.
Dalla comprensione arriva qualcosa di simili e a un’offerta, un’occasione misericordiosa di pentimento. Tuttavia la grazia approvata dall’ayatollah è stata subordinata a delle condizioni, e la misura non si applicherà a nessuno dei numerosi doppi cittadini detenuti in Iran. L’agenzia di stampa ha spiegato che anche coloro accusati di crimini contro Dio — un’accusa capitale rivolta ad alcuni manifestanti, come i quattro giustiziati — non saranno graziati. E la grazia non si applicherà nemmeno a coloro che sono accusati di “spionaggio per agenzie straniere” o “affiliati a gruppi ostili alla Repubblica islamica” (come per esempio il Mek, Esercito di Liberazione Nazionale dell’Iran o Mojahedin-e Khalq, l’opposizione combattente esiliata dalla Repubblica islamica).
È una questione di bilanciamento. Se la pietà è atto alto della Guida, il regime non può comunque apparire debole – e non può apparirlo tanto più davanti agli occhi dei radicali interni. In una lettera a Khamenei per richiedere la grazia, il capo della magistratura Gholamhossein Mohseni Ejei ha affermato: “Durante i recenti eventi, un certo numero di persone, soprattutto giovani, ha commesso azioni e crimini sbagliati a causa dell’indottrinamento e della propaganda del nemico”. Questo è il quadro in cui si muove la decisione di Khamenei. In questo momento, le proteste sono nei fatti rallentate notevolmente e forse anche le repressioni violente, come l’inizio delle impiccagioni, hanno contribuito a frenare l’impeto dei manifestanti. Khamenei ha usato l’anniversario della rivoluzione islamica del 1979, per agganciare la narrazione.
“Poiché i piani dei nemici stranieri e delle correnti antirivoluzionarie sono stati sventati, molti di questi giovani si sono pentiti delle loro azioni”, ha scritto Ejei. “Naturalmente, coloro che non esprimono rammarico per le loro attività e non si impegnano per iscritto a non ripeterle non saranno graziati”, ha dichiarato il vice capo della magistratura Sadeq Rahimi, secondo quanto riportato dai media statali. Amnesty International ha criticato le autorità iraniane per quelli che ha definito “processi farsa progettati per intimidire i partecipanti alla rivolta popolare che ha scosso l’Iran”. Il gruppo Iran Human Rights, con sede in Norvegia, ha dichiarato questa settimana che almeno 100 manifestanti detenuti rischiano di essere condannati a morte.
Oltre a queste dinamiche interne, non è escluso che tra le ragioni che abbiano mosso Khamenei alla scelta ce ne sia una a interesse esterno. È possibile che Teheran voglia recuperare un po’ di potabilità internazionale. La Repubblica islamica che reprime il dissenso brutalmente non è un attore con cui è possibile avere rapporti. Invece se costruisce una narrazione secondo cui viene graziato chi ha agito in buona fede — secondo quella stessa narrazione: su indottrinamento dei nemici dell’Iran – allora recupera terreno. Non è tanto il rapporto con la Russia a richiederlo, d’altronde Mosca riceve l’assistenza militare iraniana in una guerra di invasione non provocata in Ucraina.
Ma altri attori potrebbero: a cominciare per esempio dalla Cina, che non vuol rischiare di sponsorizzare certe situazioni. E anche Paesi come gli Emirati Arabi Uniti – che con Teheran hanno avviato una complicata forma di contatto intra-regionale – potrebbero beneficiarne. Se non richiedere un qualche genere di passo indietro pubblico. Allo stesso modo l’Arabia Saudita. Riad e Teheran hanno interrotto le forme di dialogo ospitate dall’Iraq formalmente perché i sauditi percepiscono il nuovo governo iracheno come troppo vicino all’Iran. Tuttavia ci sono informazioni su una possibile riapertura dei contatti (in tempi brevi) e anche per il regno può essere utile trovare un interlocutore con il volto in qualche modo ripulito.