La visita di Meloni a Kyiv va considerata come uno sviluppo positivo. L’Italia, seppur non determinante per le sorti del conflitto dal punto di vista delle forniture militari all’Ucraina, può giocare un ruolo importante a livello diplomatico e per aiutare la ricostruzione del Paese. Il commento di Giovanni Castellaneta, già consigliere diplomatico di Palazzo Chigi e ambasciatore negli Stati Uniti
Molto è già stato detto e scritto sulla guerra in Ucraina in questi giorni in cui ricorre un anno dalla brutale aggressione da parte della Russia di Vladimir Putin. In effetti, si tratta sotto tutti i punti di vista di un evento che ha contribuito a cambiare il corso degli eventi e che ha avuto delle ripercussioni profondissime sui rapporti internazionali, sull’economia mondiale e su relazioni di fornitura energetica che duravano da cinquant’anni: pensiamo per esempio agli accordi sul gas che legavano l’Italia all’Unione Sovietica fin dai primi anni Settanta. Comunque vada a finire questo conflitto (e speriamo ovviamente che termini il più presto possibile), sarà dunque molto difficile tornare alla situazione precedente, quando Europa e Russia erano strettamente legate in quanto una bisognosa dell’altra.
Cosa ci si può dunque aspettare nei prossimi mesi, e quale piega dovrebbero prendere le cose per poter pervenire alla fine delle ostilità?
Partiamo innanzitutto da un dato di fatto da cui non distogliere l’attenzione: questa guerra è cominciata da un vulnus gravissimo del diritto internazionale con la violazione della sovranità dell’Ucraina da parte della Russia. Pertanto, una pace vera e duratura potrà essere raggiunta solo ripristinando questa ferita e restituendo a Kyiv la propria completa autonomia. Purtroppo, la situazione sul terreno non sembra preludere a una conclusione imminente del conflitto; al contrario, le due parti si stanno preparando per un probabile inasprimento dei combattimenti che potrebbe avere luogo all’inizio della primavera. Da una parte, concedere aerei da guerra all’Ucraina potrebbe essere rischioso perché potrebbe favorire una pericolosa escalation militare, portando il corso degli eventi su un piano inclinato dal quale diventerebbe impossibile tornare indietro. Dall’altra parte, bisognerebbe però fare tutto il possibile per fermare la Russia isolandola ulteriormente a livello diplomatico; e il fatto che la Cina mantenga una posizione di relativo sostegno a Mosca è un ostacolo fondamentale alla fine della guerra. Un ammorbidimento delle tensioni geopolitiche tra Washington e Pechino sarebbe molto importante per favorire l’adozione di un atteggiamento comune da tenere nei confronti di Putin. Invece, avere intrapreso una sorta di “guerra commerciale” con la Cina (per non parlare della rivalità intorno a Taiwan) non è certamente di aiuto a trovare un terreno comune sulla guerra in Ucraina.
Detto questo, gli eventi di questi ultimi giorni vanno interpretati in maniera positiva. Da un lato, la visita a sorpresa di Joe Biden a Kyiv è stata un gesto coraggioso che ha lanciato a Putin un messaggio molto chiaro: gli Stati Uniti (e l’Occidente in generale) sono dalla parte dell’Ucraina e ci resteranno senza indietreggiare. Anche il discorso a Varsavia è servito a rinserrare le fila a livello di Alleanza atlantica per dimostrare unità e, da parte degli Stati Uniti, la volontà di continuare a fare la propria parte (messaggi che molto probabilmente non sarebbero mai arrivati con una presidenza Trump). Dall’altro lato, il discorso fiume dello “zar” sullo Stato dell’Unione ha messo in luce tutta la sua debolezza: Putin ha parlato da solo per quasi due ore continuando a rinnovare la propaganda russa basata su menzogne e falsità senza mostrare spiragli o la volontà di raggiungere ad un accordo.
In questo quadro, anche la visita di Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, a Kyiv va considerata come uno sviluppo positivo. L’Italia, seppur non determinante per le sorti dal conflitto dal punto di vista delle forniture militari all’Ucraina, può giocare un ruolo importante a livello diplomatico e per aiutare la ricostruzione del Paese, che ha bisogno di capitali e di investimenti stranieri per far ripartire la propria economia, prima ancora che delle armi. L’unità europea va preservata da fughe in avanti di alcuni Paesi: la tentazione di fare da sé e procedere in ordine sparso è sempre presente, ma il nostro governo dovrebbe impegnarsi per disinnescarla al fine di mantenere una posizione centrale in Unione europea insieme agli altri Stati fondatori.