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La mossa dell’americana Wolfspeed sui chip in Germania ci riguarda. Ecco perché

Il chipmaker americano ha annunciato di investire 3 miliardi di dollari in una fonderia nello stato tedesco del Saarland. L’impianto, che l’azienda ha definito il più grande e avanzato del mondo per il suo genere, fabbricherà semiconduttori per i veicoli elettrici. Si tratta di un settore in rapida crescita, che vede anche l’Italia in prima linea

Il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha partecipato all’evento tenutosi a Ensdorf, località tedesca, dove verrà inaugurato il più avanzato e più grande stabilimento al mondo per la produzione di semiconduttori al carburo di silicio (SiC). Un impianto che produrrà in scala wafer da 200 mm, dal costo complessivo di 3 miliardi di dollari, con l’utilizzo dei macchinari più all’avanguardia.

Ad annunciarlo, l’azienda americana leader nel segmento di chip al carburo di silicio e al nitruro di gallio (GaN), Wolfspeed Inc. Il progetto, la cui realizzazione inizierà quest’anno in attesa del via libera dell’Unione europea, verrà condotto in partnership con ZF Group, colosso industriale e tra i principali fornitori (Tier 1) del mondo automotive, che ha investito circa 185 milioni di dollari. In cambio, possiederà alcune opzioni su Wolfspeed e una quota minoritaria sulla proprietà dell’impianto il quale sarà il primo di altre due fonderie pianificate negli Stati Uniti, nella strategia di espansione globale dell’azienda statunitense da circa 6.5 miliardi di dollari. L’investimento consoliderà comunque una proiezione europea dell’azienda. Solo nel 2022, l’Europa ha contato per il 34.9% dei profitti, seguita dalla Cina (28.3%), Stati Uniti (19.1%) e più distanti Giappone (4.1%) e Corea del Sud (3.0%).

Il nuovo impianto sorge probabilmente nella patria dell’automotive che forse più di tutte ha sofferto la carenza di chip degli ultimi due anni, una tempesta perfetta delle supply chain causata in primis dalla pandemia e in seguito per la ripresa economica, che ha spiazzato gran parte dei produttori che si sono visti anticipare dai colossi del digitale negli ordini industriali di semiconduttori. Nel solo 2019, quasi due terzi della domanda europea di chip proveniva infatti dal settore automobilistico e industriale. Se il contesto pandemico, e in parte le frizioni geopolitiche tra Stati Uniti e Cina e le conseguenze indirette della guerra in Ucraina, avevano influito sull’industria, una tendenza decennale risulterà ancor più decisiva per il futuro.

UN MERCATO EMERGENTE

I chip al carburo di silicio sono sempre più richiesti dall’industria automotive (e non solo) per i sistemi dei veicoli elettrici (l’inverter), dal momento che a differenza dei tradizionali offrono una maggiore efficienza energetica e dunque risultano fondamentali per l’elettrificazione sostenibile e intelligente di trasporti e dell’infrastruttura a supporto. Possono infatti estendere il tempo di guida e ridurre i tempi di ricarica della batteria, tollerando inoltre l’esposizione al calore più dei chip convenzionali.

Secondo le stime di mercato, i chip al carburo di silicio potrebbero diventare un’opportunità da circa 10 miliardi di dollari, con una crescita del 34% (CAGR), entro il 2027. Nonostante la relativa e ristretta dimensione di mercato rispetto ai chip logici e di memoria, utilizzati soprattutto nell’ICT e nelle tecnologie digitali, i SiC (così come i gemelli GaN) che sono alla base dei microcontrollori e dispositivi di potenza saranno sempre più strategici per l’industria automotive per l’ottimizzazione dei sistemi a batteria, seguiti dall’industria delle rinnovabili e della robotica industriale.

L’Europa è in questo segmento ben posizionata, grazie a una storia di investimenti e scelte lungimiranti, con colossi industriali del calibro di Infineon (Germania) e STMicroelectronics (Italia-Francia). Secondo le stime di SFG Research, al 2025 la quota di mercato globale vedrà la tedesca al 13%, l’italo-francese al 25% e le due americane Wolfspeed e Onsemi rispettivamente al 23 e 26%.

Il problema sostanziale per la loro rapida adozione rimane il costo di produzione (il carburo di silicio non esiste in natura, ma deve essere sintetizzato artificialmente per produrre un cristallo che possa essere in seguito lavorato industrialmente) soprattutto in una fase in cui le fonderie stanno migrando verso i wafer a 200 mm dalla precedente generazione a 150 mm per rispondere alla domanda crescente.

IL POSIZIONAMENTO STRATEGICO DELL’EUROPA

Secondo il comunicato stampa diffuso da Wolfspeed, la nuova fonderia sorgerà su vecchio deposito dismesso di carbone, con la produzione dei wafer che inizierà con tutta probabilità nel 2027. Si tratta di una scelta anche simbolica, dal momento che l’investimento e la tecnologia sono nell’ottica degli obiettivi strategici della Commissione. Infatti, anche il laboratorio di innovazione congiunto che sorgerà nei pressi della fonderia è inquadrato nell’ambito dell’IPCEI (Important Projects of Common European Interest) per la microelettronica e le tecnologie della comunicazione, e dipendono dall’approvazione degli aiuti di Stato da parte della Commissione europea.

L’investimento del chipmaker americano, dunque, risulta perfettamente in linea con gli obiettivi europei il Green Deal Industrial Plan annunciato dalla Commissione nella giornata di ieri. “Queste iniziative rappresentano un passo significativo verso una trasformazione industriale di successo: rafforzano la resilienza dell’offerta europea e, allo stesso tempo, sostengono il Green Deal europeo e gli obiettivi strategici del Decennio digitale europeo”, ha dichiarato l’amministratore delegato di ZF, Holger Klein.

I funzionari tedeschi, come riportato da Reuters, vedono il progetto come una vittoria in controtendenza allo spettro della deindustrializzazione in seguito all’introduzione dell’Inflation Reduction Act. Molto probabilmente la scelta di Wolfspeed e ZF è dovuta sia agli incentivi previsti dall’European Chips Act presentato a febbrario 2022, sia per la prossimità del mercato di sbocco. Nello stato del Saarland, al confine con la Francia, l’impianto potrà servire i principali OEMs europei del settore automotive, da Porche a Stoccarda, BMW in Baviera, Mercedes, fino a Renault e Stellantis. Anche la gigafactory di Tesla, nei pressi di Berlino, oltre ai numerosi impianti di Ford che potrebbero beneficiare del nuovo sito di produzione di chip. Secondo le stime dell’azienda, l’impianto potrà produrre semiconduttori per 2.6 miliardi di dollari di vendite a piena capacità (2030).

Si tratta dunque di un importante investimento per il potenziamento delle capacità produttive europee, soprattutto per un mercato emergente come quello dei veicoli elettrici. A differenza di altri asset a nodi più maturi – su cui la Commissione europea ha voluto puntare con il Chips Act, considerando che più del 50% della produzione europea avviene su nodi maturi (tra i 40 e 180 nm) – questo segmento è già ben presidiato dai leader del settore, come appunto Infineon e STM, che vedranno un diretto rivale espandersi nel mercato continentale aumentando così la concorrenza.

La recente visita di Adolfo Urso, ministro delle Imprese e del Made in Italy, negli impianti catanesi di STM – che ha avuto a ottobre 2022 semaforo verde per gli aiuti di Stato volti all’aumento delle sue capacità produttive – rafforza l’idea che i produttori di chip con una forte propensione sul segmento automotive (come in Italia e Germania) rappresentino un elemento cruciale per assicurare la rilevanza tecnologica dell’Europa in un settore di punta.



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