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Lidia Poët, prima avvocata, in nome dei diritti delle donne

Lidia Poët, classe 1855. La prima “avvocata” in Italia (termine utilizzato con il placet dell’Accademia della Crusca). Sei puntate su Netflix per far conoscere una figura femminile di cui si sa poco, come di tante donne. Per rendere visibili quelle invisibili che, invece, nella storia, hanno dato voce a percorsi di liberazione esemplari

Tre libri in un anno. E in tv, in questi giorni, una nuova serie Netflix racconta la storia di Lidia Poët, classe 1855. La prima “avvocata” in Italia (termine utilizzato con il placet dell’Accademia della Crusca). Testimone della difficile emancipazione femminile e del riscatto ideologico da un ruolo esclusivo di moglie e madre.

Una narrazione televisiva in sei puntate per far conoscere una figura femminile di cui si sa poco, come di tante donne. Per rendere visibili quelle invisibili che, invece, nella storia, hanno dato voce a percorsi di liberazione esemplari.

La legge, a fine ‘800, non impediva, nella forma, a Lidia Poët (in foto Matilda De Angelis che la interpreta nella serie Tv) di esercitare la professione eppure, nella sostanza, il mondo del diritto la escludeva dall’ingresso nelle aule dei tribunali.

Laureatasi in giurisprudenza nel 1881, la sua iscrizione all’Ordine degli avvocati di Torino fu annullata fino in Cassazione e le fu consentito di accedere al foro solo nel 1920, dopo che, l’anno prima, il Parlamento approvò una legge che aboliva l’”autorizzazione maritale” e ammetteva le donne ai pubblici uffici, ad eccezione di magistratura, politica e mondo militare. Aveva 65 anni.

Discriminata per ragioni biologiche e di costume, più che giuridiche, aveva combattuto tutta la vita, con coraggio, contro ogni pregiudizio. Morì a 94 anni, nel 1949, dopo aver vinto la sua ultima battaglia per il diritto di voto.
Nel 1963, le donne entravano anche in magistratura. Attualmente rappresentano il 55% del totale ma, negli uffici con competenza nazionale, la componente femminile scende al 36%.

Oggi, il sistema giustizia vede, per la prima volta nella storia, tre donne al vertice. Maria Masi presidente del Consiglio nazionale forense, Gabriella Palmieri avvocata generale dello Stato e Margherita Cassano sarà prima donna presidente della Corte di Cassazione.

Nell’evoluzione del sistema giuridico, sociale e di costume, cosa significa, dunque, oggi, la storia di Lidia Poët?
Nel 2020, le avvocate, in Italia, erano il 48%, secondo il Rapporto 2022 della Cassa forense in collaborazione con il Censis. Dopo la pandemia, un rallentamento, poi è ripreso il sorpasso. Ma continua a esistere un forte divario di genere in termini reddituali (circa il 50% inferiore per le donne) e di rappresentanza nelle posizioni apicali.

L’avvocatura sembra, dunque, condividere con il resto della società femminile una sospensione fra conquiste raggiunte e tentativi di nuovi percorsi di emancipazione, frenati nella realtà. E un disagio invisibile attraversa ancora il mondo della diversità invece che valorizzarlo.

Cura di figli e anziani, maggiore carico familiare, inadeguato supporto sociale continuano ad essere gli steccati delle donne.

Un recente studio dell’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere (Eige) evidenzia i benefici che la parità porterebbe all’Unione europea. Il Pil aumenterebbe quasi del 10%. Entro il 2050, si aprirebbero posizioni lavorative nuove in Europa per oltre 10 milioni di persone, uomini e donne.

L’Italia, secondo l’analisi, è al 14° posto, sotto la media europea, soprattutto a causa della scarsa partecipazione delle donne al mondo del lavoro.

Sarà il tempo delle pari opportunità?

Ancora una volta, come mostra la storia di Lidia Poët, forse potranno essere proprio le donne a fare la differenza.
L’attualizzazione della figura di Poët contribuisce ad una concreta riflessione. E non solo per l’avvocatura che, al suo interno, promuove un modello attraverso i “Comitati pari opportunità”, resi obbligatori, con legge del 2012, per ciascun Consiglio dell’ordine.

Nella storia delle donne, il cammino, tuttora impervio, evidenzia sempre più la necessità di guardare all’effettivo funzionamento delle cose reali.

È la logica del servizio, non del potere, che ispira anche le donne contemporanee. Come ha evidenziato Maria Masi in occasione dell’anno giudiziario 2023, “occasione di bilanci e di valutazione non solo della produttività ma anche dell’effettività della Giustizia, nella sua funzione essenziale, quella a tutela dei cittadini”.

Donne di talento, audaci e coraggiose, come la Poët, sono l’attualità. Attraverso battaglie non solo giuridiche e conquiste per il pieno esercizio di diritti civili e politici, sono determinate a superare persistenti pregiudizi culturali e discriminazioni di “destino”, con impegno e coraggio quotidiani.

Le donne non si arrendono mai. Il loro sguardo va oltre le apparenze e supera qualsiasi barriera e ostacolo. È la forza che si annida nella competenza ma anche nella gentilezza e nella passione. Una tenacia incondizionata che mentre costruisce la storia, spesso non è riconosciuta.

Dall’Odissea omerica in cui Telemaco interviene bruscamente invitando la madre Penelope a rientrare nelle proprie stanze (che aveva chiesto all’aedo Femio un canto diverso dal triste ritorno degli achei a Troia) ricordandole che “la parola spetta agli uomini”, da Aristofane a Ovidio, da Valerio Massimo a Plutarco, la voce femminile, spesso derisa, è stata da sempre negata. Ora, il silenzio delle donne ha altri volti.

La parità di genere è ancora un obiettivo da raggiungere, per una società migliore e libera. Lo dicono i dati del mondo del lavoro, lo denunciano i numeri della violenza fisica e psicologica. Lo spiega il silenzio delle donne criticate, forse temute, e messe a tacere.

Per Lidia Poët è stato anche importante conquistare l’appoggio del fratello avvocato Giovanni Enrico con il quale ha lavorato “dietro le quinte”. Un passaggio vincente.

Il progetto del futuro che ricerca il valore nella diversità mette in campo uomini e donne, con la consapevolezza di poter essere, insieme, attori di un cambiamento culturale epocale. Sostenuti da interventi di Istituzioni e politica che non sono “a difesa della donna” ma a tutela della civiltà democratica. Perché la storia delle donne riguarda, sempre più, anche gli uomini.


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