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Meloni, la leadership europea e i rapporti col Ppe. Parla Quagliariello

Giorgia Meloni tiene molto a non rinunciare alla sua identità e a rivendicare la sua provenienza. “Nella vicenda dell’Ucraina, dunque, a me pare abbia ritagliato e attualizzato l’atlantismo della sua parte, sterilizzandone l’antiamericanismo”. Il presidente della fondazione Magna Carta, già senatore e ministro, parla dell’ipotesi di alleanza tra conservatori e popolari alle Europee 2024 (e delle diverse anime del Ppe guidato da Weber)

Ormai è evidente che il luogo per consolidare la leadership sia oltre i confini nazionali. Giorgia Meloni l’ha capito bene e per tempo. Il suo ruolo nell’Ecr, assunto ben prima di approdare a Palazzo Chigi, ne è una dimostrazione plastica. Il tutto mentre il Ppe annuncia di aver cancellato il summit di giugno a Napoli dopo le frasi di Berlusconi su Zelensky, con Weber che esprime fiducia a Tajani e dunque prende le distanze dall’ex premier. Ma la possibilità, per i conservatori europei, di essere determinanti nel prossimo “governo di Bruxelles” in vista delle elezioni 2024, dipende molto dalla postura. Ossia dalla capacità di essere “inclusivi” in Europa ma anche in Italia. Un modo di fare politica che fin qui è stato proprio di Meloni e che le ha permesso di “assumere criticamente le distanze dal populismo”. A dirlo è il presidente della Fondazione Magna Carta, Gaetano Quagliariello.

Meloni saprà essere una leader di livello europeo, avendo la forza di ridisegnarne le geometrie?

Meloni è già, di fatto, una leader europea perché ha compreso per tempo che per impostare qualsiasi tipo di progettualità politica a lungo termine è impensabile prescindere dall’Europa. La presidenza dell’Ecr è arrivata, fra l’altro, in un momento nel quale le grandi famiglie politiche europee (popolari e socialisti) si trovavano ad attraversare una evidente crisi d’identità. Non solo. Prima l’ondata pandemica, poi lo scoppio del conflitto in Ucraina, hanno radicalmente cambiato il mondo e il rapporto dell’Europa col mondo. E ciò impone a tutte le famiglie europee, nessuna esclusa, di ripensarsi, di modificare l’agenda, di riclassificare le proprie idee. L’appuntamento elettorale del 2024, in questo senso, sarà fondamentale.

A proposito di Europee 2024. Tanto si è parlato, specie a seguito degli incontri tra il premier e il capo dei popolari Weber, di un rapporto stretto tra Ecp e Ppe in chiave elettorale. Qual è, in questa fase, il reale stato dell’arte dei rapporti?

Si tratta di un rapporto dinamico, in piena evoluzione. Nel Ppe ci sono chiaramente diverse anime. Ci sono esponenti popolari che non ne vogliono sentir parlare di un apparentamento con i conservatori, che considerano troppo di destra. Weber mi sembra, invece, che si spingerebbe anche oltre un’alleanza tra popolari e conservatori, immaginando modalità e strumenti per avvicinare le due famiglie.

Quale sarà la parte di Ppe che prevarrà?

Difficile a dirsi con le bocce ancora in movimento. Sarebbe importante che eventuali alleanze non siano operate “a freddo” ma siano la conseguenza di un processo di ripensamento ideale e programmatico di fronte alle sfide nuove che l’Europa dovrà affrontare. Già da ora, però, si sono prodotti degli elementi oggettivi che i popolari farebbero bene a non ignorare per quel che riguarda il loro rapporto con Giorgia Meloni.

A cosa si riferisce?

Le faccio un esempio. Se è vero che l’atlantismo è stato un tratto tipico della cultura della destra italiana del dopoguerra, è altrettanto vero che esso ha convissuto con un ancora più robusto antiamericanismo. Giorgia Meloni tiene molto a non rinunziare alla sua identità e a rivendicare la sua provenienza. Nella vicenda dell’Ucraina, dunque, a me pare abbia ritagliato e attualizzato l’atlantismo della sua parte, sterilizzandone l’antiamericanismo. Di questo anche chi non farà mai parte del suo mondo, non può fare a meno di tenerne conto.

Che posizionamento prevede, invece, per Renew Europe?

Se gli scenari cambiano e vi sarà un’alleanza tra popolari e conservatori, Renew Europe (che poi è la parte politica di Macron), rischia di essere il vaso di coccio tra i vasi di ferro. Se invece si dovesse entrare nella “palude”, ci sarebbe spazio per tutti. Con il rischio che a galleggiare alla fine sia l’Europa.

Evidentemente il cambio di “traino” politico europeo, muterà anche gli equilibri in Commissione. Come vede, a questo punto, la figura di Ursula Von der Leyen?

Lei chiaramente rappresenta questa Commissione e, qualora i rapporti di forza dovessero mutare, cambierà di conseguenza chi li rappresenterà. Detto questo, il principale impegno europeo in questo frangente, sul piano economico ma non solo, è finalizzato a contenere la spirale inflazionistica. Se si riuscirà a farla rientrare a livelli “normali” senza forzature giacobine, la prossima Commissione avrà l’opportunità di gestire e governare una fase storica di grande espansione. E di grandi sfide da vincere.

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