Dobbiamo dare “sapore al mondo”. Anche a quella parte di mondo che è tanto lontana dal Cristo. Allo stesso modo con cui diamo sapore a quella parte di noi tanto lontana dal Cristo, perché la divisione tra bene e male è dentro ognuno di noi, prima di essere nel mondo, negli altri
Ho l’impressione – ma forse mi sbaglio – che il tema della testimonianza stia diventando uno dei temi più spinosi e complessi della vita cristiana, almeno in ambito cattolico. Ho la sensazione che quando se ne parla, nei nostri ambienti, ci siano “incrostazioni” spesso decennali e, insieme, problemi identitari personali e comunitari mai affrontati. Il discorso sarebbe troppo lungo. Restare alla lezione evangelica ci aiuta a liberarci di tutte quelle concezioni e prassi di testimonianza, dal sapore fortemente ideologico o da crociata o da “progetto culturale” (leggi “egemonia cattolica”), o da tradizionalisti vs. progressisti e via discorrendo. Su un quotidiano italiano (Corriere della Sera, 31.1.23) si è arrivato persino ad affermare che l’essere cristiani è legato strettamente all’Europa (Roma inclusa) e alla sua storia; con buona pace dell’invito di Gesù ad “andare in tutto il mondo e annunciare il vangelo ad ogni creature …” (Mc 16). In materia rimando a quanto ha giustamente evidenziato Riccardo Cristiano.
Prendiamo alcune metafore usate da Gesù, per indicare la nostra testimonianza nel mondo, che sono molto pregnanti: il sale e la luce (Mt 5, 13-16). Non c’è bisogno di chissà quali studi per comprenderle. Parto da una cosa ovvia: noi non siamo il sale e la luce per merito o facoltà proprie. È il Signore che ci rende sale e luce della terra, per suo dono, per sua grazia, certamente non per nostro merito. Noi riceviamo un dono e lo trasmettiamo ad altri. Tuttavia questa non è una trasmissione che ci lascia tali e quali, ma ci trasforma, ci fa diventare migliori; anche qui, per suo dono, per sua grazia, certamente non per nostro merito. Quando il cuore si riscalda e prende sul serio il Vangelo, si apre il grande compito di essere testimoni nel mondo. Il Vangelo ha tanti modi per dire questa testimonianza. Relativamente alla metafora del sale: “Voi siete il sale della terra; ma se il sale perde il sapore, con che cosa lo si renderà salato? A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dalla gente”.
Dobbiamo dare “sapore al mondo”. Per farlo prima di tutto dobbiamo liberarci di una visione negativa del mondo, una visione antimoderna e spesso clericale, che ci fa rinchiudere nei nostri ambienti pensando che il bene sia tutto da una parte, la nostra, e il male tutta dall’altra, cioè il mondo. Il mondo, per Gesù, è una pasta recettiva, pronta a ricevere sapore dal sale. Ovviamente non significa che non ci siano elementi che rifiutano il sale e incapaci di scioglierlo in sé – anche tra i credenti stessi – (corruzione, pedofilia, clericalismo, guerre e violenze, abusi di ogni genere ecc.; ricordati dal papa in questi giorni in Africa, come tante volte a Roma o in altri angoli della terra). Tuttavia questi elementi non sono il mondo intero, sono solo una parte di essa. Chi sa cucinare sa anche quando, quanto e come aggiungere sale alla minestra. E il Sinodo in corso… dovrebbe essere sempre più una buona “scuola di cucina”.
Forse i cattolici italiani hanno spesso perso tempo a parlar male del mondo, a dire quanto fosse insipido, a lamentarsi dei suoi elementi negativi, a guardare più travi e pagliuzze degli altri e non alle proprie. Risultato finale: non solo non hanno dato sapore al mondo ma hanno perso anche quello che avevano. Il calo del numero di cattolici in Italia è anche dovuto a questo. È forse a tutto ciò che Gesù si riferisce quando afferma: “A chi sarà dato e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha?” Potrebbe, quindi, suonare anche così: “a chi ha sapore gli sarà dato e chi non è ha gli sarà tolto anche quello che ha”.
Dobbiamo dare “sapore al mondo”. C’è tanta buona pasta attorno a noi, ci sono tante brave persone negli ambienti in cui viviamo. Spesso attendono un po’ di sapore, quel poco (o quel tanto) che perfeziona la loro bontà. Ma forse i cattolici hanno perso sapore… E alcuni – nonostante papa Francesco e i suoi gesti e messaggi – continuano a fare crociate o discussioni inutili sui “valori non negoziabili”, spesso sinonimo di fede ideologica e fondamentalista, fede come soccorso identitario o stampella politica.
Dobbiamo dare “sapore al mondo”. È il sapore di Cristo. È anche il suo profumo. Come ogni buon piatto ha il suo sapore e il suo profumo, e l’uno sostiene l’altro. Ci sono tante persone ed eventi belli nel mondo che non hanno ancora il sapore e il profumo di Cristo. Chi annunzierà loro il Cristo?
Dobbiamo dare “sapore al mondo”. Anche a quella parte di mondo che è tanto lontana dal Cristo. Allo stesso modo con cui diamo sapore a quella parte di noi tanto lontana dal Cristo, perché – conviene ripeterlo – la divisione tra bene e male è dentro ognuno di noi, prima di essere nel mondo, negli altri.
Dobbiamo dare “sapore al mondo”. Scriveva Primo Mazzolari: “Sono anch’io un pellegrino dell’assoluto. Sto con tutti e sono di nessuno. Se mi apparto non sono un cristiano; se non soffro insieme a tutti, non sono un cristiano; se non vivo la storia che passa, non sono un cristiano. Chi diserta non si salva”.