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Così Netanyahu cerca la sponda di Macron con Riad

Di Gabriele Carrer ed Emanuele Rossi

Durante la cena di lavoro i due leader hanno parlato delle attività “destabilizzatrici” dell’Iran e di come allargare gli Accordi di Abramo. Israele aspetta l’Arabia Saudita, che ha recentemente firmato un accordo energetico con la Francia

Il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu vogliono “lavorare insieme” contro le attività “destabilizzatrici” dell’Iran nella sua regione e contro il sostegno di Teheran alla Russia impegnata nel conflitto in Ucraina. È quanto si legge in una nota diffusa dalla presidenza francese dopo che giovedì sera i due leader si sono incontrati all’Eliseo per una cena di lavoro.

Macron “ha espresso la sua preoccupazione in merito alla situazione attuale nei territori palestinesi e in Israele” e “ha ricordato l’importanza di evitare ogni misura suscettibile di alimentare l’ingranaggio che ha già fatto troppe vittime innocenti tra i civili palestinesi e israeliani”, continua la nota che ricalca le dichiarazioni e la preoccupazione espressa da Antony Blinken, segretario di Stato americano, nella sua recente visita in Israele. Inoltre, Macron “ha ricordato l’attaccamento della Francia allo status quo storico sui luoghi santi a Gerusalemme insieme alla sua ferma opposizione al proseguimento della colonizzazione che compromette la prospettiva su un futuro Stato palestinese insieme alle speranze di pace e di sicurezza per Israele”, fa sapere Parigi.

Netanyahu con Macron ha parlato anche di Libano (con la francese Total che sarà l’estrattore del gas libanese dopo l’accordo raggiunto nei mesi scorsi con Israele) e ha chiesto che i Pasdaran vengano inseriti nella lista delle organizzazione terroristiche dell’Unione europea. Inoltre, i due hanno parlato, per usare le parole di Netanyahu, delle “opportunità per espandere il circolo dei Paesi in pace con Israele”. Tradotto: Arabia Saudita.

“Mi aspetto che vedremo un accordo tra Israele e Arabia Saudita quest’anno”, ha dichiarato a dicembre Danny Danon, ex ambasciatore israeliana presso le Nazioni Unite e membro della Knesset del partito Likud, poco dopo la nascita del nuovo governo Netanyahu. Danon riprendeva le precedenti dichiarazioni del premier, prima e dopo le elezioni di novembre, che sottolineavano l’importanza degli Accordi di Abramo (come dimostrano i recenti sviluppi che riguardano i rapporti con il Sudan) e, in particolare, il suo interesse a normalizzare le relazioni con Riad. Le agenzie d’intelligence sono al lavoro: il Mossad più che lo Shin Bet. Ma la composizione della maggioranza di governo può essere un ostacolo. Basti pensare che anche i ministri degli Esteri di diversi Paesi arabi, compresa l’Arabia Saudita, si erano riuniti virtualmente a inizio gennaio condannando “con la massima fermezza” la visita presso la Spianata delle moschee di Itamar Ben-Gvir, ministro della Sicurezza pubblica israeliano e figura di spicco dell’ultradestra israeliana: una “violazione inaccettabile” e una “pericolosa escalation”.

I rapporti tra Parigi e Riad sono ottimi. Nei giorni scorsi il principe Abdulaziz bin Salman, ministro dell’Energia saudita, e Catherine Colonna, ministro dell’Europa e degli Affari esteri francese, hanno siglato un memorandum d’intesa per stabilire un quadro di cooperazione nel settore dell’energia. Il documento, siglato a Riad, delinea la cooperazione tra i Paesi nei settori dell’elettricità, delle energie rinnovabili, dell’efficienza energetica, dello stoccaggio, delle reti intelligenti, del petrolio e del gas e dei loro derivati, della raffinazione, della petrolchimica e del settore della distribuzione e della commercializzazione.

Per Netanyahu, includere l’Arabia Saudita nei Paesi con cui Israele normalizza le relazioni è un obiettivo di profondità strategica unica. Riad è la potenza di riferimento nella regione mediorientale, Paese in crescente sviluppo grazie alle entrate energetiche e alla visione dell’erede al trono Mohammed bin Salman. Per Israele sarebbe un partner eccezionale con cui stringere forme di cooperazione di carattere economico, industriale e commerciale. Nonché un alleato geopolitico e militare importante nella missione di contenimento dell’Iran e di lotta al terrorismo – su cui ci sono interessi comuni.

Tuttavia, il regno dei Saud è anche il protettore dei luoghi sacri dell’Islam, e questo rende più complicato prendere decisioni formali di tale portata come l’apertura delle relazioni con lo stato ebraico. C’è infatti una consistente parte delle collettività arabe che non sta seguendo il flusso degli Accordi di Abramo, ma dimostra ancora forme di chiusura nei confronti di Israele (le tante bandiere palestinesi durante i Mondiali in Qatar ne sono stati uno specchietto). Davanti a questo, Riad – che è già impegnata in forme di modernizzazioni complesse – probabilmente intende evitare sbilanciamenti eccessivi.

Almeno finché bin Salman non sarà ufficialmente re (e poi forse per un primo periodo di assestamento del potere). Tuttavia i sauditi sono tuttavia del tutto allineati sulle volontà e necessità che muovono gli Accordi, come dimostra l’avallo dato alla partecipazione del Bahrein (Paese satellite) e in misura minore degli Emirati Arabi stessi. Anche sulla base di queste consapevolezze, gli Stati Uniti – promotori degli Accordi e delle varie forme di distensione regionale – stanno spingendo su altri formati mini-laterali come il Forum del Negev. Sistemi dove i sauditi possono partecipare con maggiore leggerezza, mentre Netanyahu cerca sponde (come a Parigi) per realizzare un obiettivo che sarebbe estremamente rilevante per lui e per il suo governo.

(Twitter: Foto @Netanyahu)



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