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Perché il viaggio africano di Francesco non ci interessa?

Padre Etienne Perrot su La Civiltà Cattolica, scrivendo di Europa, ha ricordato che Habermas ha detto che “nella modernità culturale, la ragione viene privata della propria esigenza di validità e assimilata a mero potere”. Sta qui la spiegazione del grande disinteresse per il viaggio africano di papa Francesco? Sta cioè nella sicurezza europea del proprio controllo del potere? La riflessione di Riccardo Cristiano

Si è conclusa la prima tappa del viaggio africano di papa Francesco. Certamente una buona notizia per il presidente congolese Félix Antoine Tshilombo Tshisekedi che ieri, allo stadio di Kinshasa, ha vissuto un quarto d’ora a dir poco difficile, quando il papa ha detto “basta corruzione” e l’enorme folla di giovani lo ha guardato, seduto in tribuna d’onore, dicendogli “ascolta con attenzione”.

Nel viaggio africano di Francesco non c’è posto per gli stereotipi: né eurocentrici, per cui l’Africa sarebbe una discarica di materie prime da sfruttare, né terzomondisti, per cui le colpe del disastro africano sarebbero tutte occidentali. Piuttosto c’è la chiamata agli africani ad essere protagonisti del loro futuro e agli europei ad uscire dalla cultura della fortezza assediata: priva di forza lavoro e di materie prime la fortezza europea dove può andare da sola? Il diffuso disinteresse per il viaggio di Francesco forse si spiega così.

Proprio in queste ore su La Civiltà Cattolica padre Etienne Perrot, scrivendo di Europa, ha ricordato che Habermas ha detto che “nella modernità culturale, la ragione viene privata della propria esigenza di validità e assimilata a mero potere”. Sta qui la spiegazione del grande disinteresse per il viaggio africano di papa Francesco? Sta cioè nella sicurezza europea del proprio controllo del potere?

Ma senza forza lavoro e senza risorse energetiche, nell’epoca energivora, questo potere non c’è. Lo ha dimostrato proprio la guerra in Ucraina, quando l’Europa senza risorse energetiche si è trovata a fari spenti e caldaie vuote, senza energia, cioè senza potere. Non è rimasto altro scenario che guardare all’Africa. Non sarebbe il caso di farlo con minore superficialità?

L’Italia avrebbe certamente un ruolo tutto diverso nel concerto Mediterraneo se riuscisse a divenire raccordo tra Nord e Sud del bacino, punto di snodo dell’approvvigionamento energetico dal continente africano verso il continente energivoro, l’Europa. Ma farlo tra campi profughi intasati di disperati in fuga da Paesi falliti, tra miniere di nuovi metalli indispensabili riempite di bambini sfruttati e senza futuro è a dir poco illusorio: la visione europea non può prescindere da quella Mediterranea e dall’Africa (salvo voler rimanere pedine di Mosca): questa è la verità che emerge dal viaggio di Francesco, nonostante i tanti predicatori di isolazionismi immersi nel complesso di superiorità europeo.

Ora per Francesco arriva la tappa più difficile, più sofferta; quella nel disastro sud-sudanese. Viaggio che compie con l’arcivescovo di Canterbury e con il primate scozzese. Un viaggio senza precedenti, perché lì il cristianesimo si gioca il suo futuro continentale.

Il più giovane degli Stati africani è nato da una secessione dal Sudan del golpista Bashir, il reo di crimini contro l’umanità che scatenò le sue milizie islamiste contro le minoranze etniche e religiose del Paese. Così il sud, cristiano e animista, ha voluto la sua indipendenza, ma è presto sprofondato negli scontri tribali. Non a caso giungendo a Giuba il papa incontrerà dapprima il presidente, poi i vice-presidenti, cioè gli arcinemici in guerra tra loro a suon di milizie e scontri tribali. Sbagliando lettura si potrebbe pensare alla vecchia contrapposizione tra pastori e coltivatori, come accade in Nigeria. Ma in gioco c’è il petrolio e altre ricchezze del sottosuolo. Il futuro del Sud Sudan è anche il futuro di un’Africa plurale, non di una rete di pipe line della ricchezza che passano sotto i villaggi di popolazioni affamate.

Guardare a questo viaggio come a qualcosa che ci allontana dai nostri problemi europei, dalle sue cause e delle sue conseguenze, equivale a non coglierne né il senso né la prospettiva. Bergoglio trasforma il bacino del Mediterraneo, proponendo un’altra globalizzazione, multipolare e lontana da eurocentrismo e terzomondismo asfittici. Se non ci interessa è perché siamo ancora immersi in una visione di autosufficienza presuntuosa e colonialista, incapace cioè di prospettare un nuovo ordine regionale.

La geopolitica del viaggio apostolico di papa Francesco è immersa nel pluralismo e nel multipolarismo, per fare del Mediterraneo un mare di incontro e composizione. Può non interessare, si possono preferire gli asfittici nazionalismi, le illusioni di potersi rinchiudere in un’Europa fortezza, divisa e litigiosa in realtà. Ognuno è padrone delle sue scelte, basta però che ne sia consapevole.

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