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Il papa in Congo cancella i vecchi cliché, nel nome di una nuova globalizzazione

Il papa ha incontrato questa mattina i giovani e i catechisti della Chiesa congolese. Davanti a un entusiasmo incontenibile ha indicato la forza del perdono e non solo. Ha indicato anche la strada per una globalizzazione dal basso. La riflessione di Riccardo Cristiano

Nello stadio di Kinshasa, in un frastuono incontenibile, Francesco ha incontrato questa mattina i giovani e i catechisti della Chiesa congolese. Impietose, le immagini hanno ripreso più volte i notabili del Congo sulle poltrone spaziose della tribuna d’onore. Qualcosa che chi conosce gli stadi nostrani avrà visto senza sorprendersi. La stessa struttura degli stadi, dei settori “popolari” e di quelli “vip” rimanda un’idea di società, una cultura “globale”.

Ma i protagonisti questa mattina non sono stati gli ospiti delle tribune d’onore, ma la folla che li ha come travolti nel loro rapporto diretto ed evidente con l’ospite illustre, il “papa di Roma”. E lui – come sovente accade in queste circostanze che lo mettono a contatto con i giovani – ha saputo cercare il rapporto diretto con queste migliaia di giovani parlando delle mani: le mani che ognuno di noi ha, ma che mai sono uguali le une alle altre, facendo di ognuno di noi un “unicum”, irripetibile. È stato il primo elemento forte della sua omelia, che ha fatto di ognuno un protagonista della storia e quindi della riconciliazione possibile, nel rispetto delle nostre diversità. Soprattutto le donne sono diventate protagoniste in un’assemblea che ha ricordato e fatto presente al papa il sistema patriarcale che limita i diritti e gli stessi spazi accessibili alle donne africane.

Quindi il papa ha invitato tutti a prendersi per mano, come a costruire una sola Chiesa, un solo popolo, senza tribalismi e barriere etniche. Poi tutti insieme hanno cantato la stessa canzone, secondo un rituale diffuso nella Chiesa congolese. Le canzoni e i balli popolari diffusi in Africa sono un lascito tradizionale teso a stabilire una connessione con gli antenati, con chi non c’è più ma che ha cantato e danzato nello stesso identico modo nel corso dei tempi passati.

Finito il canto comune il papa ha chiesto alla folla come si sconfigga il cancro della corruzione: ci sono tante persone capaci, ma corrotte. “Basta corruzione”, ha urlato nel microfono, distanziandosi dal cliché terzomondista per cui le colpe dei mali d’Africa sarebbero tutte e solo straniere. Quelle colpe ci sono, certamente, ma non cancellano quelle dei leader locali.

Intanto il frastuono è diventato incontrollabile, l’invito ad abbattere la corruzione ha esaltato la folla, evidentemente esausta dalla corruzione dei politici locali, come in tanti altri Paesi del mondo. E un commentatore ha capito che mentre il papa parlava di corruzione molti fedeli dicevano al presidente “ascolta con attenzione”.

Davanti a un entusiasmo incontenibile il papa ha indicato la forza del perdono; per costruire un futuro occorre dare e ricevere perdono. E così è arrivata la richiesta di un minuto di silenzio, pensando ciascuno a chi ci ha offeso: “Diamogli il perdono”, ha chiesto il papa.

L’incontro odierno non può far dimenticare quello di ieri sera con le vittime della violenza, quando il papa ha denunciato che i luoghi di tanti massacri congolesi, come Bunia, Beni-Butembo, Goma, Masisi, Rutshuru, Uvira, quasi mai vengono citati nei media mondiali. È andata così anche in questa circostanza, con ogni evidenza, ma la globalizzazione dal basso che Francesco è venuto a cercare di costruire dal Congo è stato il modo più efficace per ricordarci anche i luoghi dei massacri in Ucraina, a un anno dall’inizio di questo terribile conflitto. A una globalizzazione che evidentemente non funziona Francesco risponde con questa globalizzazione, la globalizzazione dal basso.

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