Il docente di Storia del cristianesimo spiega il “punto di equilibrio” che Bergoglio cerca di avere nelle sue esternazioni sul conflitto, posto che “ha sempre espresso la sua vicinanza ai profughi ucraini e alle vittime”. Il fatto che “la Santa Sede non sia terza del tutto in questo conflitto (una parte di identità ucraina affonda le radici nel cattolicesimo) rende le operazioni diplomatiche molto più complesse”
La domanda del pontefice suona come un monito. Dal Vaticano echeggia a Mosca, e arriva fino a Kiev. “Potrà il Signore perdonare tanti crimini e tanta violenza?”. All’udienza generale papa Francesco ricorda il “triste anniversario” dell’invasione dell’Ucraina. In un’intervista al Qn, questa mattina, l’ordinario della Chiesa cattolica di rito latino di Odessa, Stanislav Syrokoradjuk, dice a chiare lettere che “Kiev aspetta il Papa” (secondo alcune fonti sarebbe imminente una visita di Francesco nella capitale ucraina), oltre a ribadire che “le armi occidentali sono benedette da Dio”. Tuttavia c’è più di un interrogativo su quanto stanno facendo diplomazia vaticana e pontefice per arrivare alla risoluzione del conflitto. “Bergoglio sta cercando di stabilire un punto di equilibrio, nonostante le pressioni ideologiche siano molto forti da entrambe le parti, senza però mai dimenticare che c’è un aggressore e un aggredito”. L’analisi è di Alberto Melloni, ordinario di storia del Cristianesimo all’Università di Modena e Reggio Emilia, tra i massimi esperti di Concilio Vaticano II e rapporti tra cristianesimo e politica.
Melloni, si sta facendo abbastanza per giungere alla pace?
Il punto vero è capire che la pace non presuppone per forza una vittoria. L’assunto da cui parte il papa è che nell’era dell’atomica non esiste una guerra giusta. È singolare, in questo contesto, che i più strenui difensori del diritto internazionale abbiano scambiato gli organismi multilaterali per grandi palcoscenici, piuttosto che utilizzarli come strumenti per arrivare alla risoluzione del conflitto in Ucraina. Il papato, di contro, è da sempre multilateralista.
Il multilateralismo, tuttavia, non può essere praticato a detrimento dell’aggredito…
Il papa ha sempre ribadito che in questa guerra c’è un aggressore – la Russia – e un aggredito – l’Ucraina. Ma, a un anno dall’inizio di questa guerra, non si può indicare come sostenitore o amico della Federazione Russa chi ambisce a trovare una soluzione di pace.
Resta il fatto che Bergoglio, a oggi, non è andato a Kiev, anche se pare si imminente una visita in Ucraina. Come lo spiega?
La “gita” a Kiev dei capi di Stato fa parte dell’agenda propagandistica. Il Papa fortunatamente non ha bisogno di essere eletto. Detto questo, non escludo che comunque Bergoglio possa recarsi in visita in Ucraina. Comunque, Francesco ha dimostrato a più riprese la sua vicinanza alle vittime e alle migliaia di profughi ucraini. Non solo. In questa guerra ha giocato un ruolo enorme la spaccatura dell’ortodossia che affonda le sue radici nel concilio di Creta del 2016. Rimproverare qualcosa, ora, al papa mi pare più che altro un modo per lavarsi la coscienza rispetto a errori commessi in passato. Uno di questi è stato postporre la visita del papa a Mosca.
Non sarebbe stato uno smacco?
No, il papa in quell’occasione avrebbe potuto gettare le basi per una risoluzione del conflitto. Saranno i contatti riservati a risolvere il conflitto, non quelli che emergono. E sono convinto che una visita del pontefice avrebbe potuto sancire la base per un tavolo di trattativa.
Come si sta muovendo la diplomazia Vaticana?
Se si sta muovendo e non lo sappiamo (cosa che auspico e che credo) è un buon segnale. Il fatto che la Santa Sede non sia “terza” del tutto in questo conflitto (una parte di identità ucraina affonda le radici nel cattolicesimo) rende le operazioni diplomatiche molto più complesse. Il vantaggio, tuttavia, è il multilateralismo che caratterizza le azioni della diplomazia vaticana.
Il Vaticano può in qualche misura esercitare una forma di pressing su Pechino affinché si muova nei confronti di Mosca?
Tra Cina e Vaticano ci sono rapporti costanti. Eventualmente la Cina, avanzando un’ipotesi di negoziato, potrà vantarsi di aver ottenuto un apprezzamento papale per questa soluzione.
Secondo lei quale dovrà essere la base di partenza del negoziato?
Occorre tornare agli accordi di Minsk. Questa guerra, che assomiglia sempre di più a quella del 15-18, dura ormai dal 2014. E, fra l’altro, c’è stata un’ignoranza totale sul numero di morti provocati nel corso degli eventi bellici precedenti all’invasione dell’Ucraina. Il protocollo di Minsk può essere una buona base di partenza: gli attori in campo sono sempre gli stessi.