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Papa Francesco è arrivato in Sud Sudan, il più giovane malato africano

Abbandonare la via senza sbocchi del tribalismo, imboccare quella della comune cittadinanza: è questa la strada che le chiese del Sud Sudan dovrebbero indicare ai loro fedeli e agli altri loro concittadini. La riflessione di Riccardo Cristiano

La secessione del Sud Sudan è stata favorita in tutti i modi dagli Stati Uniti per indebolire il regime islamista di Khartoum: e i metodi usati sono stati come sempre leciti e anche illeciti. Il regime del golpista Bashir appariva ingestibile, ospitava anche Osama bin Laden e il suo terrorismo, così il movimento armato secessionista di Paul Garang non aveva alternative. Lo sanno bene le popolazioni del disperato Darfour, dove le milizie islamiste janjawid hanno seminato morte e distruzione per anni.  Le Chiese cristiane hanno creduto e sostenuto il progetto secessionista per proteggere le loro popolazioni e la minoranza animista. E undici anni fa, alla vigilia del pontificato di Francesco, il Sud Sudan ha ottenuto la sua autonomia.

Ma oggi il quadro geopolitico è cambiato. Khartoum non è più nelle mani del criminale Bashir e va tenuta, per Washington, dalle parti degli Accordi di Abramo, contro il blocco russo-iraniano, che guarda con enorme interesse ai porti sudanesi sul Mar Rosso. Così non sorprende che il fallimento del Sud Sudan oggi sia tutto sulle spalle delle Chiese locali, che dopo aver sostenuto il progetto secessionista oggi fanno i conti con uno Stato fallito, diviso su linee etniche tra tribù Dinka e Nuer, con enormi risorse energetiche, soprattutto petrolifere, che per essere commercializzate però abbisognano delle pipe line del nord.

La divisione tribale è presto diventata divisione miliziana e di potere, tra il presidente e il suo vice, postisi a capo di due opposti schieramenti miliziani che stanno dilaniando il Paese. Qui la corruzione galoppa a ritmi incredibili e la sfiducia ha divorato l’economia nazionale, lasciando sul terreno migliaia di morti, decine addirittura poche ore prima dell’arrivo di papa Francesco, dell’arcivescovo di Canterbury e del primate di Scozia.

Questo viaggio congiunto ricorda i tempi coloniali, in cui i missionari cattolici potevano operare su una sponda del Nilo e quelli protestanti sull’altra. Oggi sono venuti insieme, dal Congo, per cercare un riscatto spirituale al fallimento politico del Sud Sudan.

L’affondo di Francesco contro la corruzione – parliamo di cifre esorbitanti, probabilmente miliardi di dollari – non si è fatto attendere ieri, quando il papa ha incontrato i rappresentati della società civile e il corpo diplomatico: “Giri iniqui di denaro, trame nascoste per arricchirsi, affari clientelari, mancanza di trasparenza: ecco il fondale inquinato della società umana, che fa mancare le risorse necessarie a ciò che più serve. Anzitutto a contrastare la povertà, che costituisce il terreno fertile nel quale si radicano odi, divisioni e violenza. L’urgenza di un Paese civile è prendersi cura dei suoi cittadini, in particolare dei più fragili e disagiati. Penso soprattutto ai milioni di sfollati che qui dimorano: quanti hanno dovuto lasciare casa e si trovano relegati ai margini della vita in seguito a scontri e spostamenti forzati!”.

Bergoglio, come molti ricorderanno, conosce le brame dei potenti del Sud Sudan, li ricevette in Vaticano prima della pandemia ed ebbe modo di prosternarsi ai loro piedi per implorare la pace. Quel gesto oggi lo ricordano tanti a Juba, capitale del Sud Sudan: “Signor Presidente, distinte Autorità, seguendo il percorso del Nilo ho voluto inoltrarmi nel cammino di questo Paese tanto giovane quanto caro. So che alcune mie espressioni possono essere state franche e dirette, ma vi prego di credere che ciò nasce dall’affetto e dalla preoccupazione con cui seguo le vostre vicende, insieme ai fratelli con i quali sono venuto qui, pellegrino di pace. Desideriamo offrire di cuore la nostra preghiera e il nostro sostegno affinché il Sud Sudan si riconcili e cambi rotta, perché il suo corso vitale non sia più impedito dall’alluvione della violenza, ostacolato dalle paludi della corruzione e vanificato dallo straripamento della povertà”.

Nella visione del papa il Sud Sudan potrebbe diventare, non solo grazie alle sue enormi ricchezze, ma anche alla sua popolazione, un Paese prospero, un esempio al quale guardare anche da parte dei vicini: “Per passare dall’inciviltà dello scontro alla civiltà dell’incontro è decisivo il ruolo che possono e vogliono svolgere i giovani. Siano perciò assicurati loro spazi liberi di incontro per ritrovarsi e dibattere; e possano prendere in mano, senza paura, il futuro che a loro appartiene! Vengano coinvolte maggiormente, anche nei processi politici e decisionali, pure le donne, le madri che sanno come si genera e si custodisce la vita. Nei loro riguardi ci sia rispetto, perché chi commette violenza contro una donna la commette contro Dio, che da una donna ha preso la carne”.

Abbandonare la via senza sbocchi del tribalismo, imboccare quella della comune cittadinanza: è questa la strada che le chiese del Sud Sudan dovrebbero indicare ai loro fedeli e agli altri loro concittadini. In questo caso anche tornare a capirsi con Khartoum potrebbe essere possibile e il Nilo potrebbe tornare a essere un fiume che porta sviluppo. In caso contrario cosa diventerà il Sud Sudan?


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