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Conte si appropria di Berlinguer e punta agli scontenti Pd. La versione di Panarari

Il saggista e docente: “L’appropriazione indebita di icone da parte del Movimento è iniziata, in chiave populista anni fa. Ora che Conte ha stabilito il posizionamento del populismo a sinistra, ‘strappa’ il simbolo per eccellenza alla sinistra. Se vince Bonaccini, punta a conquistare la fetta che voterà Schlein”

L’opa di Giuseppe Conte sul Pd, o meglio sulla sinistra, continua inesorabile. Dal circolo pentastellato di Ostia il leader lancia un messaggio molto chiaro: “Siamo noi a portare avanti le battaglie di Enrico Berlinguer”. La foto campeggia sul muro del circolo a 5 Stelle. La frase del leader è in realtà il culmine “di un lungo percorso di appropriazioni indebite, iniziato da Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio”. Lo dice Massimiliano Panarari, sociologo, saggista e docente dell’università Mercatorum profondo conoscitore della galassia grillina.

Panarari, oltre a strappare voti al Pd, ora Conte annovera nel pantheon grillino il leader indiscusso della sinistra: Berlinguer. Qual è l’obiettivo?

L’appropriazione indebita di icone da parte del Movimento è iniziata, in chiave populista – a 36o gradi – anni fa, portata avanti dai fondatori Grillo e Casaleggio. Ed è passata anche per Alessandro Di Battista. Ora che Conte ha stabilito il posizionamento del populismo a sinistra (ben diverso dal popolarismo in chiave bonacciniana, è bene rimarcarlo), “strappa” il simbolo per eccellenza della sinistra. Peraltro sfruttando un momento di grande competizione interna, e dunque di debolezza del Pd.

Dunque continua a fare una guerra di logoramento per fiaccare ulteriormente i dem.

Nell’ipotesi in cui il congresso non venga vinto da Elly Schlein, Conte immagina di poter attingere dal Pd un altra fetta consistente di elettorato. Ed è per questo che “batte” sugli scontenti e sui delusi.

Qual è lo stato dell’arte del percorso congressuale del Pd?

Il vero nodo è quello a lungo dimenticato: l’identità. Come peraltro ha giustamente sottolineato a più riprese il governatore emiliano-romagnolo. Il congresso arriva in una fase particolarmente complessa, dopo la pesantissima sconfitta elettorale. Fortunatamente il nodo dell’identità è stato assunto da tutti i candidati alla segreteria ma sarà fondamentale superare l’ossessione della rincorsa per il Movimento 5 Stelle. Inseguire il radicalismo non porta da nessuna parte. Ai partiti progressisti servirebbe invece impostare il modello ‘grande tenda’ ed evitare che la logica correntizia porti il partito a una deflagrazione.

A proposito di Schelin, molta parte della “vecchia guardia” della sinistra ha scelto di appoggiare la sua mozione.

Questo è il grande punto di debolezza per lei. Il fatto che le classi dirigenti, negli anni, nonostante le sconfitte non si siano mai fatte da parte è un grosso vulnus per i dem e ha esacerbato gli animi tra le diverse correnti.

Con questo scenario direi che l’idea del campo largo è tramontata definitivamente e costruire alleanze a sinistra non sarà un gioco da ragazzi.

In questo momento è evidente che la politica delle alleanze non possa essere il punto principale anche perché ultimamente era diventato un alibi per sfuggire alle questioni fondamentali. Alla sinistra, e al Pd in particolare in questo momento serve però ricostruirsi un’identità per giocare la partita da un punto di forza. Oltre al fatto che occorre individuare un leader di riferimento che possa presentarsi in modo autorevole e appetibile agli occhi dell’elettorato.

Sul governo, anche alla luce degli ultimi episodi (Donzelli-Cospito), quale è la sua valutazione?

La frase di Donzelli è senz’altro irricevibile e denuncia l’assenza di grammatica politica e di dialettica tra i partiti che permeava invece la Prima Repubblica. L’Esecutivo si sta avvitando in una discussione che fa emergere un altro grosso problema per Giorgia Meloni: la sua classe dirigente si trova a “dirigere” per la prima volta. Ora sono al governo e non possono comportarsi come avrebbero fatto tre mesi fa.

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