C’è da aspettarsi una recrudescenza del populismo sociale che nel nostro Paese non è solo appannaggio esclusivo di certa sinistra, ma anche di ambiti di destra. In una situazione così preoccupante, con un campo sociale e politico così confuso, inizia una fase nuova di impegno che non potrà non porsi obiettivi gravosi e contro corrente. Il commento di Raffaele Bonanni
Con il nuovo segretario del Pd, la sfida a cui viene chiamata l’Italia per vincere la sua battaglia per una economia stabile al riparo dalla crescita del debito, di produzioni sostenute da politiche virtuose di sistema, di welfare regolato da diritti e doveri, diventa ancora più in salita.
Il cambiamento interno al Pd non avviene avendo in mente che le difficoltà italiane e dello stesso partito e del Paese provengono dall’allontanamento dai canoni del riformismo nell’economia e nel lavoro come impegno costante per mantenersi saldi nella attuale competizione internazionale, ma dalla idea di non aver dato fondo alla somma delle vecchie e nuove parole d’ordine della sinistra antagonista.
Ed infatti abbiamo sentito invocare un nuovo art. 18 per consolidare i posti di lavoro, e ancora una volta non proponendosi il tema che la precarietà si combatte sul fronte della economia e della efficienza nelle produzioni e nei suoi contesti territoriali e di settore.
Dunque c’è da aspettarsi una recrudescenza del populismo sociale che nel nostro Paese non è solo appannaggio esclusivo di certa sinistra ma anche di ambiti di destra. In una situazione così preoccupante, con un campo sociale e politico così confuso e denso di ulteriori guai, per coloro che ne hanno consapevolezza dei rischi ulteriori che possono indebolire ancor più i pilastri di ancoraggio economici e sociali, inizia una fase nuova di impegno che non potrà non porsi obiettivi gravosi e contro corrente. Gli alleati della buona battaglia vanno trovati tra coloro che vogliono uscire da questa morsa, non con propositi generici ma orientati a rimuovere radicalmente le cause dei freni dello sviluppo.
Innanzitutto il funzionamento della istruzione e formazione che va declinato in senso meritocratico e sostenuto così da retribuzioni dei docenti pari a quelli dei nostri concorrenti nei mercati, in stretta relazione con le produzioni, con didattica rinnovata e nuove tecnologie per attuarla.
I contratti di lavoro vanno orientati alla crescita della quantità e qualità del lavoro con retribuzioni sensibilmente legate a questi indici, con forti detassazioni e decontribuzioni di premio. La stessa eventuale riduzione dell’orario, da contrattare azienda per azienda attraverso regolazioni che integrano orari e carichi di lavoro, dovranno ottenere risparmi di tempo libero a pari retribuzioni, e guadagnare tempo utile dal lavoro per destinarli alla formazione per l’aggiornamento professionale.
La questione della misurazione dei carichi di lavoro in alternativa alla misurazione dei tempi di lavoro, si impone anche nello smart working, che come si sa, si è fortemente sviluppato e nel prossimo futuro è destinato ad erodere ancora più spazi al lavoro tradizionale.
A ben vedere, nei ritardi nel procedere a cambiare i sistemi di valutazione delle retribuzioni, che penalizzano i lavoratori, dal dato temporale al dato dei carichi di lavoro, ritroviamo tutto l’istinto di conservazione che muove i propositi di molti soggetti sociali e politici. Questi istinti, queste posizioni vanno ostacolate con una nuova battaglia culturale e politica per la modernità nella giustizia sociale.