Al di là delle necessarie modifiche legislative, Camera e Senato devono compiere un passo avanti politico e culturale in materia di sicurezza nazionale. L’intervento di Marco Mayer nel dibattito di Formiche sulla riforma dell’intelligence
Giorgia Meloni, presidente del Consiglio, ha fatto bene a confermare i vertici dell’intelligence italiana. Elisabetta Belloni, Gianni Caravelli e Mario Parente, direttori rispettivamente di Dis, Aise e Aisi, godono di una grande stima bipartisan per le loro capacità professionali e per il loro spiccato senso dello Stato. La stabilità è la continuità negli assetti apicali dei servizi segreti è importante per assicurare la massima efficacia ed efficienza delle attività di intelligence in una fase come l’attuale, caratterizzata dall’invasione militare russa in Ucraina, dalla crisi energetica, dall’inflazione e da nuove minacce interne di matrice eversiva e mafiosa.
La stabilità del comparto favorisce anche un clima politico sereno e costruttivo per discutere in modo fruttuoso in parlamento di sicurezza nazionale e valutare le decisioni da assumere per migliorare a livello operativo e legislativo l’intelligence italiana. Il mio auspicio è che l’invito di Formiche ad aprire un dibattito sia raccolto al più presto degli imminenti di congressi del Partito democratico e di Più Europa.
Quale dovrebbe essere per i partiti di maggioranza e opposizione l’obiettivo strategico da raggiungere in questa legislatura? Possiamo essere soddisfatti dei nostri servizi, ma possiamo migliorare ancora. In che direzione lavorare per migliorare l’intelligence italiana? Il traguardo da raggiungere è molto chiaro: allineare gli standard italiani a quelli delle Nazioni dell’alleanza Five Eyes (Stati Uniti, Regno Unito, Canada, Australia e Nuova Zelanda). Questo obiettivo è importante anche nella possibile prospettiva di un possibile allargamento nel medio periodo del formato ad altri Paesi come Germania, Italia e Giappone.
Una prima direzione di marcia è, come suggerito dal prefetto Adriano Soi, il rafforzamento della segreteria tecnica del Cisr e il potenziamento del ruolo – sinora sottostimato – dello stesso comitato.
La seconda traiettoria è una vera e proprio riforma della la legge 124 del 2007 per adeguarla alle nuove sfide che gli organismi di intelligence dovranno affrontare in Italia in Europa e a livello globale. A legislazione invariata – oltre a quanto giustamente ha proposto Soi – il sistema di informazione della Repubblica a mio avviso dovrebbe compiere un salto di qualità su altri tre fronti. Il primo riguarda le attività della Scuola del Dis. Mi riferisco in particolare al segmento della ricerca e formazione in materia di sicurezza nazionale e ai connessi rapporti con le università. L’impegno verso l’esterno in materia di cultura della sicurezza è un’occasione importante: gli atenei potrebbero offrire un maggiore contributo, soprattutto in materia di politiche tecnologiche, settore che da sempre in Italia non è stato adeguatamente coltivato nel comparto intelligence se non quando direttamente collegato ai temi della difesa. Si pensi ai settori della global health e delle pandemie, della fusione nucleare, del cambiamento climatico, della cybersecurity e dell’intelligenza artificiale.
Un secondo segmento in cui il Dis potrebbe fare di più riguarda l’analisi strategica esplicitamente indicata nella legge 124 come compito specifico del dipartimento stesso. A questo proposito, osservo che la nostra tradizione legislativa e parlamentare è sempre stata più rivolta al passato che al futuro con le pur pregevoli relazioni presentate dal Sistema di informazione della Repubblica. Come in altri Paesi sarebbe, viceversa, opportuno che la Presidenza del Consiglio fornisca alla Camera e al Senato materiali anche riservati sul futuro dell’Italia nel contesto mediterraneo, europeo e globale. Prevedere e scommettere sul futuro è sempre molto difficile, ma necessario. Su questo fronte sarebbe utile nelle forme opportune attivare anche agenzie e operativi perché alcuni sintomi importanti a livello embrionale possono essere colti soltanto da chi tutti i giorni lavora sul campo. Servirebbe, per esempio, un mappatura dettagliata sugli effetti e sulle implicazioni di medio e lungo periodo che la dipendenza digitale e tecnologica dell’Italia dalla Cina provocherà nei prossimi anni.
Il terzo settore da affrontare a legislazione vigente è quello della comunicazione esterna. In tutti i Paesi il rischio che si corre in questo campo è quello di cadere in un eccesso di dipendenza dalla politica. Non servono contrapposizioni, ma l’intelligence dovrebbe aver un suo profilo esterno e sua voce, In alcune occasioni è importante che possa come agire con iniziative che nei Paesi anglosassoni si definirebbero “go public”. Per esempio, per quanto attiene il gas russo gli addetti ai lavori sono informati sul fatto che tante volte la Cia ha raccomandato agli Stati membri dell’Unione europea di non superare il 35% per evitare una dipendenza eccessiva da Mosca. Non c’è bisogno di divulgare materiale riservato. Nel 2014 bastava riflettere sull’allarme sulle importazioni energetiche dalla Russia di Umberto Saccone. Un’altra iniziativa nel campo della comunicazione sarebbe rendere facile l’accesso al declassificato come avviene con l’archivio digitale della reading room della Cia.
Per quanto riguarda, invece, la riforma legislativa suggerisco di trarre alcuni spunti da Mario Caligiuri. Ha ragione quando dice che sicurezza nazionale, difesa e cybersecurity non possono essere affrontati da organi paralleli: occorre una visione unitaria che potrebbe passare da una definizione diversa del Cisr come Consiglio per la sicurezza nazionale onde evitare la logica sempre in agguato della compartimentazioni tra dicasteri.
Una forte convergenza delle discipline di intelligence serve anche per ridefinire ruoli e funzioni delle agenzie. Tutti concordano sul fatto che i confini tra interno ed esterno, civile e militare, pubblico e privato (soprattutto per le Spa controllate dal Mef) sono molto più labili che in passato. Contemporaneamente si sta sviluppando una crescente convergenza multidisciplinare tra i diversi segmenti di intelligence, che non possono più operare in modo compartimentato come è accaduto per decenni. Oggi serve una interazione orizzontale alla base e non solo ai vertici della piramide. A mio avviso, le agenzie dovrebbero essere pertanto ridisegnate sulla base di vaste tematiche trasversali e non sui tradizionali compartimenti verticali.
Prendiamo, per fare un solo esempio, il caso Alpi Aviation. Da quanto si è letto sui media – a prescindere dalle indagini della magistratura su possibili notizie di reato – risulta evidente che esiste un intreccio sostanziale e prolungato tra cosa è avvenuto ad Honk Kong e cosa è avvenuto a Roma e in altre parti di Italia. In un caso come questo non ha molto senso la divisione interno/esterno tra Aisi e Aise. Sarebbe forse utilissima un’agenzia specializzata in intelligence economica-finanziaria e tecnologico-scientifica a cui ricondurre anche la sicurezza energetica, ambientale, sanitaria e cibernetica (per la parte di competenza diretta dei servizi).
A questo esempio aggiungo un ultimo aspetto che la riforma della 124 potrebbe utilmente affrontare in materia di cooperazione internazionale. Oggi la cooperazione operativa con i servizi collegati è una chiave fondamentale di successo delle operazioni. Sotto questo profilo le garanzie funzionali dovrebbero essere estese agli operativi di altre nazionalità che collaborano con i nostri agenti. Tutti sanno che da molti anni che il passaporto diplomatico non è una copertura sufficiente e non è facile trovare soluzioni giuridiche al problema. Tuttavia, per l’Italia è difficile essere un Paese pienamente quando assolve gli agenti segreti italiani e condanna quelli americani o di altri Paesi alleati.
Concludo affermando che – al di là delle necessarie modifiche organizzative, amministrative e legislative – il nuovo parlamento italiano deve compiere Italia un vero e proprio salto di qualità politico e culturale in materia di sicurezza nazionale.