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La “silenziocrazia” di Mattarella di fronte al cicaleccio politico

L’agone politico è ripieno di vocianti con un enorme spreco di parole da parte di tanti politici delle diverse parti (per fortuna non proprio tutti) e i veri contenuti, le vere terapie rispetto ai seri problemi in atto nel Paese sono costrette a fare la fila o ad essere rinchiuse in qualche armadio

Ben pochi, anzi praticamente nessuno, ha riflettuto in chiave politologica su quello che può essere in momenti chiave il ruolo e il significato del “silenzio”, specie se accoppiato a grande autorevolezza e fine intelligenza politico-istituzionale, nella vita italiana. Mi riferisco a quanto avvenuto, una delle scorse sere al Festival di Sanremo. Un aspetto non poco significativo su cui vale la pena tornare. Certo c’era sul palco un signore, di grandi capacità teatrali, che ha saputo rilanciare alcuni principi chiave della Costituzione repubblicana con arte, maestria e grandi capacità anche di comunicazione non verbale in modo tale che decine di milioni di italiani hanno potuto (molti purtroppo per la prima volta) sapere che stiamo vivendo il 75° anniversario della Costituzione.

Mi riferisco ovviamente a Roberto Benigni, ma in prima fila in platea c’era un signore, il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che per l’appunto con un silenzio parlante, coniugato con la sua grande autorevolezza, ha suscitato 3 minuti di applausi e – credo proprio – di intensa riflessione nelle decine milioni di telespettatori (uno share addirittura del 62%). Credo che molti di essi, più o meno consapevolmente, abbiano confrontato quel momento con quella vera e propria fiera del cicaleccio politico cui specie, ma non solo, nella scorsa settimana avevano assistito. Mi è capitato di usare in un mio libro del 2000 (“Viaggio italiano” Mondadori) per l’appunto il modello interpretativo basato sulla “cicalecciocrazia” del modo di fare politica in Italia.

Cicalecciocrazia che più o meno è andata in oltre vent’anni sempre più peggiorando. La scelta del termine non è casuale, perché dire cicalecciocrazia (governo del cicaleccio) significa per l’appunto riferirsi a quel suono un po’ ossessivo e continuo che emanano soprattutto d’estate le cicale, che come è noto a differenza, ad esempio, delle formiche configurano con quel loro suono uno spreco ripetitivo. Il modo di fare politica tende a configurarsi sempre più come un continuo succedersi, oggi magari di tweet, di dichiarazioni con il contributo di tanti “dichiarazionisti in servizio permanente effettivo”, a volte di veri tormentoni, vuoi che questi suoni escano dagli schermi delle televisioni, ricadano sui giornali o anche dai non pochi social media.

Si pensi da ultimo alla vicenda di Cospito, con tutto il tormentone e la fiera del cicaleccio che ne è seguita, che ha visto maggioranza e opposizione l’un contro le altre armate. Tra gli altri aspetti è emerso un nuovo epifenomeno, il “donzellismo”, nutrito forse da intenti generosi, da un certo accanimento verso gli avversari e da un forte (espresso con un ritmo molto accelerato delle parole) eccesso di zelo verso la leader di riferimento, che forse rivestendo la carica di presidente del Consiglio, ne ha avuto anche qualche imbarazzo.

Nel modello interpretativo della cicalecciocrazia, discende che quasi sempre a pagarne le conseguenze sono le “policies”, le vere politiche pubbliche di cui il Paese ha bisogno, perché tende a prevalere una versione tutta italica di “politics”, che assomiglia molto alla politica politicante. E così l’agone politico è ripieno di cicaleccianti con un enorme spreco di parole da parte di tanti politici vocianti delle diverse parti (per fortuna non proprio tutti) e i veri contenuti, le vere terapie rispetto ai seri problemi in atto nel Paese sono costrette a fare la fila o ad essere rinchiuse in qualche armadio, nel retro della scena, da cui o non si sa come pescare o non si vuole pescare.

Certo, tutto questo si nutre anche di qualche forma di complicità più o meno consapevole dei mezzi di informazione che in qualche modo diventano compartecipi a minore o maggiore titolo del grande gioco o della fiera del cicaleccio. E così la cicalecciocrazia continua ad imperversare e le singole policies e ancor più le soluzioni ai veri problemi del Paese attendono. Per fortuna che di tanto in tanto appare sulla scena un signore di grande autorevolezza (checché ne dica, sbagliando talvolta non poco la mira, Matteo Salvini). Guarda caso la figura imparziale e di garante di un Presidente della Repubblica che col suo silenzio, più o meno consapevolmente, secondo i casi, suona lo spartito del vero interesse generale del Paese.

Un dato che fa pensare perché forse se quella figura fosse eletta da una parte dei cittadini ed avesse sostanziali poteri di governo verrebbe meno quella imparziale “silenziocrazia” che in qualche modo almeno in parte induce molti attori della fiera del cicaleccio a zittirsi e desistere. E ci aiuta così per certi versi, pur col silenzio, a richiamare la vera realtà dei problemi del Paese.

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