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Cosa c’è dietro le dimissioni della premier scozzese. Il commento di Celotto

Alla base delle dimissioni della prima ministra scozzese Nicola Sturgeon pare che ci siano anche le questioni sulla parità di genere. Il costituzionalista Alfonso Celotto spiega perché e a che punto invece siamo in Italia

Tra le cause che hanno portato alle dimissioni della premier scozzese Nicola Sturgeon pare che ci siano anche le questioni sulla parità di genere. A dicembre la Scozia aveva approvato il Gender Recognition Act, che consentiva il cambio di sesso per tutti gli ultra sedicenni con una semplice dichiarazione anagrafica. Dopo molte polemiche che avevano coinvolto anche la scrittrice JK Rowling, il Regno unito ha opposto il veto previsto dalla sez. 35 Scotland act ritenendo che la legge entrasse in contrasto con la politica generale, anche per i rischi di applicazioni fraudolente.

Del resto, negli stessi giorni in Scozia era scoppiato il caso di Isla Bryson, 31 anni, colpevole di due stupri quando si chiamava Adam Graham, ma che aveva avviato la transizione di sesso mentre era in attesa di giudizio, tanto da essere trasferito/a in un carcere solo femminile. Le polemiche erano esplose perché si diceva che Adam/Isla avesse scelto il cambio di genere anche per essere detenuto nell’unico carcere femminile scozzese, dove le condizioni di detenzione sono tradizionalmente meno dure.

Questa vicenda ci fa capire ancora una volta quanto sia difficile e scivoloso affrontare le questioni di parità di genere. Partendo da una precisazione terminologica. Innanzitutto, dobbiamo tenere distinti il problema della differenza di sesso da quella di genere, anche se spesso si fanno confusioni e sovrapposizioni.

Il sesso rappresenta i caratteri anatomici e da decenni esistono forme di tutela, a partire dagli artt. 3 e 51 Cost., anche se non sempre di facile attuazione. Si pensi a tutte le tradizionali difficoltà per ammettere le donne al concorso in magistratura o in prefettura.

Il genere invece è la percezione e la apparenza che si sente e si dà di sé. Ecco che non sempre il genere corrisponde al sesso anagraficamente assegnato ed ecco che nascono tutte le ipotesi di “trans-gender”, con tutte le difficoltà di inquadramento, come dimostra la stessa difficoltà di rinchiuderle nella tradizionale sigla LGTB; che è poi diventata, più inclusivamente, LGTBQAI, con un “+” alla fine per rendere ancora più elastico il quadro.

Sulla tutela della identità di genere il nostro diritto è ancora indietro, anche se la Corte costituzionale ha riconosciuto che il diritto alla identità di genere è “espressione del diritto all’identità personale (art. 2 Cost. e art. 8 della CEDU) e, al tempo stesso, di strumento per la piena realizzazione del diritto, dotato anch’esso di copertura costituzionale, alla salute” (sent. 221 del 2015).

Ma a livello pratico per tutelare il genere abbiamo soltanto la legge n. 164 del 1982, con tutte le difficoltà per modificare il sesso attribuito alla nascita. E poco di più.

Non è soltanto una questione normativa, come si è visto quando si è discusso il DDL Zan, ma anche di cultura della conoscenza e della comprensione. Perciò riteniamo molto utile il recente impegno della presidente della Disney ad utilizzare almeno il 50% di personaggi appartenenti a minoranze etniche o alla comunità Lgbtq per i loro lungometraggi.



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