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Ma il superbonus era una manna o una condanna? Risponde (con i numeri) Polillo

Giuseppe Conte si metta l’anima in pace. Il bonus del 110 per cento è stato costruito come semplice regalia. Si è quindi trasformato in un diritto soggettivo incomprimibile. Che nessun vincolo contabile è in grado di contenere. L’analisi di Gianfranco Polillo

Sul super bonus per l’edilizia è ormai guerra sui numeri. Da un lato le stime del Governo che indicano in 120 miliardi il costo del complesso degli incentivi da elargire ai proprietari di immobili. Dall’altro Giuseppe Conte che tenta disperatamente di accreditare la tesi del suo “buon” governo. Ma quale regalo! Ma quale tentativo di voto di cambio! Ma quale assalto alla diligenza! Il governo, ma soprattutto Giancarlo Giorgetti, ministro dell’Economia, e la stessa premier Giorgia Meloni mentono, sapendo di mentire. Non sono io aggiunge sventolando un foglio, come se fosse una bandiera, ma sono Enti prestigiosi che lo confermano. Quindi Governo attento a quello che dici. Ti posso sbugiardare in qualsiasi momento.

Più facile a dirsi che a fare. I conti pubblici, da che mondo è mondo, sono stati sempre un arcano. Non tutti hanno le giuste qualità per interpretarli. Ci vuole pazienza e dedizione ed una conoscenza più che discreta delle cose di questo mondo. Tanto più che la materia è particolarmente intricata. Sono anni, infatti, che lo Stato tenta di incentivare le necessarie migliorie in campo energetico. I primi provvedimenti risalgono alla legge finanziaria del 2006, quando si decise di far ricorso alle detrazioni fiscali (55 per cento, in tre anni, fino ad un massimo di 100 mila euro per rinnovare gli impianti di riscaldamento dei condomini). Provvidenze rinnovate alla scadenza, con la Finanziaria del 2010, che prolungò il vecchio beneficio al 2011, allungando tuttavia (10 anni) il tempo del rimborso.

Poi nel 2013 la novità del decreto legge come strumento d’intervento. Il bonus viene aumentato al 65 per cento, ma il rimborso avviene sempre in 10 anni. Anche in questo caso, tuttavia, il cosiddetto sconto in fattura ossia la possibilità di cedere il credito d’imposta era sconosciuto. Sarà, infatti, introdotto nel 2016 per l’”eco-bonus” e per il “sisma-bonus“, ma con limiti ben definiti: solo a beneficio degli “incapienti” (redditi bassissimi) ed a favore dei soli fornitori. Vincoli che la fantasia del Conte II travolgerà come fuscelli, dando luogo a quel mostro giuridico che sarà il decreto legge 34 del 19 maggio 2020.

Sulla testa dell’ignaro Parlamento cadde, allora, un tomo di 660 pagine. Quasi 200 di relazione illustrativa, altrettante, se non di più, di Relazione tecnica ed un articolato di 250 pagine (265 articoli ed un numero infinito di commi) subito nominato “Decreto rilancio”. Piccola furbizia per giustificare il suo contenuto omnibus che spaziava in ogni settore della vita italiana: dalle misure contro il Covid-19, al lancio dei concorsi pubblici, passando ovviamente per le provvidenze a favore delle imprese, dell’edilizia, dell’agricoltura della cultura e via dicendo. Il tutto da approvare entro i canonici 60 giorni, pena la decadenza. A Camera e Senato non rimaneva altro che partecipare alla corsa ad ostacoli per rispettare le scadenze. Sacrificando ogni approfondimento.

La verità è che con quel decreto si pensava ad una nuova “legge finanziaria”. Quella di fine anno era stata approvata a tambur battente da una maggioranza parlamentare che solo da poco (5 settembre 2019) aveva preso possesso dei palazzi del potere. Inevitabile allora più di una svista ed una certa superficialità nell’affrontare i temi relativi. Soprattutto nel caso del super-bonus per l’edilizia. Voluto, in modo particolare, dai 5 stelle, nella speranza di vedere crescere il proprio consenso elettorale. Cosa che spiega la stranezza di quella cifra: il 110 per cento. Lo Stato non solo si faceva carico del costo dell’intera opera, ma garantiva un guadagno extra (il 10 per cento) per foraggiare le banche o i fornitori. Nello stesso tempo lo sconto in fattura garantiva al proprietario dell’immobile lo status di puro rentier, esonerandolo dal dover sborsare il becco di un quattrino.

Niente male. Quest’ultimo poteva usufruire di una rivalutazione, grande o piccola che fosse, del suo patrimonio, affidando ad altri l’incombenza di provvedervi. E poco importava se, proprio grazie a questo meccanismo, scompariva dal mercato ogni ipotesi tradizionale di conflitto d’interesse. Se era Pantalone a pagare, perché eccepire sui prezzi dei materiali, sulle esorbitanti spese di consulenze, o sui tempi di consegna? Ce n’era per tutti. Sebbene la ristrettezza dei tempi previsti (1 luglio 2020 – 31 dicembre 2021) avesse drogato un mercato già agitato dalla pandemia e in seguito dalla guerra di Putin. Secondo il Censis, in un paper discutibile (che analizzeremo tra un attimo) l’aumento dei prezzi dei materiali andava da un 10,8 per cento per le malte ad un 47,6 per il cemento. Quasi introvabili, infine, i ponteggi necessari per iniziare i lavori. Alla fine, un business gigantesco, destinato a riflettersi sull’intera filiera.

Un clima benaugurante che a quanto pare il Censis, con un suo paper (Ecobonus e Superbonus per la transizione energetica del Paese) ha condiviso, nel tentativo di rispondere alle critiche che da più parti – si pensi al giudizio di Mario Draghi – venivano avanzate. Tra l’agosto 2020 e l’ottobre 2022, secondo i suoi ricercatori, gli investimenti nell’edilizia sarebbero stati pari a 55 miliardi di euro, in grado di attivare (effetti indotti) una produzione aggiuntiva pari a 115,8 miliardi che avrebbe contribuito ad una crescita del Pil per 72,9 miliardi. La spesa per lo Stato, a causa del bonus, sarebbe stata pari a 60,5 miliardi. Ma i ritorni (maggior gettito fiscale per IVA, Irpef ed Ires) pari a 42,8 miliardi. Per cui la quota residua ad effettivo carico dello Stato di soli 17,6 miliardi. Decisamente un affare: altro che i 120 miliardi denunciati da Giorgetti e da Meloni.

Musica alle orecchie di Giuseppe Conte, che da quel momento brandirà quelle cifre come un’arma impropria per sbugiardare il Governo. Senza preoccuparsi, tuttavia, di effettuare ulteriori verifiche. Che, invece, erano quanto mai necessarie. Cominciamo dagli investimenti. I dati di contabilità nazionale (Istat) indicano valori ben diversi per il comparto “abitazioni”. Nel periodo 2020-terzo trimestre 2022 il loro aumento è stato pari a 27,2 miliardi. Una cifra importante, ma ben lontana dalle ipotesi del Censis. Che, tra l’altro, troverebbe conferma nei dati forniti dall’Enea sull’asseveramento. Vale a dire sulle somme riconosciute come incentivi. Ad ottobre 2022 esse erano pari a 60,5 miliardi di euro, riferite pertanto al complesso dell’attività e non ai soli investimenti. Considerato che l’attività edilizia è tutt’altro che capital intensity, ne deriva che le cifre (55 miliardi) indicate dal Censis appaiono, quanto meno, sopravvalutate.

Per quanto attiene agli effetti indotti, le regole Eurostat e quelle europee sono molte rigorose. Coperture sul quadro macroeconomico sono infatti consentite solo durante la sessione di bilancio. È allora, infatti, che entrano i giochi i modelli econometrici sulla base dei quali costruire le previsioni destinate ad interagire nel rapporto pubblico-privato. Il Mef, ad esempio, ne usa diversi, come si può facilmente vedere dall’allegato al Def 2019: “Nota metodologica sui criteri di formulazione delle previsioni tendenziali”. In tutti gli altri casi, ai fini delle coperture, si possono utilizzare solo gli effetti indotti di primo livello. Nel caso del “Decreto rilancio” ad esempio la relazione tecnica sull’articolo 119 (super bonus) prevedeva oneri lordi per circa 12 miliardi di euro e ritorni (maggiori entrate per Iva, Ires e Irap) per 459 milioni. Con una percentuale del 3,8 per cento. Ben lontana da quei ritorni (circa il 70 per cento) ipotizzati dal Censis.

Del resto non bisogna necessariamente essere economisti per comprendere che, se fosse vera questa seconda relazione, si entrerebbe nel mondo della pietra filosofale. Basterebbe pompare spesa pubblica, sotto qualsiasi forma, per vedere crescere il Pil in modo corrispondente. Altro che pasti gratis: ostriche e champagne! Ed infatti la controprova, di quanto le cose siano più complicate, la si ha nella crescita del debito pubblico: che nello stesso periodo (agosto 2020 – ottobre 2022) registra un aumento monstre (il più alto del dopoguerra) di 193 miliardi. Nel solo 2020 la crescita del rapporto debito-Pil era stata di 20,8 punti. In pratica quasi il doppio della media dell’Eurozona.

L’analisi ragionata dei dati porta, quindi, a smorzare molto dell’ottimismo di Giuseppe Conte. Il suo arrampicarsi per dimostrare il contrario non trova conferma nei processi reali. Secondo il monitoraggio congiunto Enea – Ministero della transizione ecologica, gli ultimi dati (gennaio 2023) indicano un costo per lo Stato pari a 71,763 miliardi di euro. E non è finita, considerato che molti lavori devono essere ancora ultimati. Rispetto ad una previsione di spesa complessiva, come indicata dall’Ufficio parlamentare del bilancio, pari a 33,312 miliardi siamo a più del doppio. Ed abbastanza vicino a quei 120 miliardi indicati dal ministro Giorgetti, visto che ancora una parte consistente del lavoro deve essere rendicontato. Vedremo alla fine. Ma intanto è bene non cullarsi sugli allori. Il bonus del 110 per cento è stato costruito come semplice regalia. Si è quindi trasformato in un diritto soggettivo incomprimibile. Che nessun vincolo contabile è in grado di contenere.

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