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Indipendenza tecnologica. Usa (e Ue) si sganceranno dalla Cina

Il consigliere della Casa Bianca Hochstein ha delineato in un’intervista i termini della sfida con la Cina sull’approvvigionamento di materie per lo sviluppo tecnologico. Washington pensa a evitare dipendenza, anche in partnership con l’Europa (come ha sottolineato la vice segretaria di Stato Sherman)

Gli Stati Uniti devono recuperare rapidamente terreno se vogliono garantire l’affidabilità della loro catena di approvvigionamento e la loro indipendenza da concorrenti come la Cina. È questo in sintesi il messaggio trasmesso da Amos Hochstein, lo special presidential coordinator della Casa Bianca, che ha l’incarico di consigliare il presidente in materia di infrastrutture globali, clima e sicurezza energetica.

Hochstein, un funzionario che ha un ruolo centrale nella presidenza di Joe Biden, ha espresso le sue inquietudini durante una intervista condotta questa settimana da Hadley Gamble, top news anchor della Cnbc.

“Si tratta di una preoccupazione importante per gli Stati Uniti e credo anche per il resto del mondo. Poiché stiamo entrando in un sistema energetico più pulito, più verde, completamente nuovo, dobbiamo assicurarci di avere una catena di approvvigionamento diversificata”, ha detto Hochstein. “Non possiamo avere una catena di approvvigionamento concentrata in un solo Paese, non importa quale. Dobbiamo assicurarci che, dal processo di estrazione e raffinazione alla costruzione delle batterie e delle turbine eoliche, ci sia un sistema diversificato che ci rifornisca adeguatamente. Solo così potrà funzionare dal punto di vista economico”.

Si tratta di perplessità per niente nuove, espresse già in diverse occasioni e anche da alti funzionari politici e tecnici dell’Unione europea. L’aspetto interessante è la conferma che esse sono in cima ai crucci della Casa Bianca, dato che un alto consigliere del presidente come Hochstein le manifesta pubblicamente parlando con Gamble — e dunque consapevole della risonanza globale che le sue parole avranno.

Il punto è questo: la pandemia prima, la guerra russa in Ucraina poi, hanno dimostrato le debolezze delle catene di approvvigionamento globale. Soprattutto quando sono strettamente dipendenti da un singolo attore internazionale. Anche perché quelle dipendenze possono essere oggetto di dinamiche che toccano rapporti, interessi, competizioni. Particolarmente noto è per esempio il caso dei pannelli fotovoltaici, la cui produzione mondiale è quasi a totale appannaggio della Cina. Quando Pechino ha ordinato la chiusura totale secondo la politica Zero Covid per il controllo dei contagi, la disponibilità dei moduli per il fotovoltaico è sostanzialmente andata in tilt. Ora pare che una serie di prodotti essenziali per costruire i pannelli solari potrebbero finire nella lista per il controllo delle esportazioni di Pechino. Come spiegava Gianclaudio Torlizzi (T-Commodity), questa potrebbe essere la risposta della Cina ai protezionismi esteri, e per questo serve massima attenzione su tutta la catene di valore delle altre rinnovabili.

L’appello di Hochstein tocca per esempio il mondo dell’idrogeno, a proposito di energie “nuove, pulite e verdi”. La Cina produce circa il 40% degli elettrolizzatori in circolazione. Sono i macchinari necessari per l’elettrolisi dell’acqua, da cui separare idrogeno per la produzione di energia. Quelli cinesi sono meno efficienti degli altri, ma costano un quarto. È possibile che con il tempo le aziende cinesi raggiungano standard qualitativi superiori mantenendo comunque prezzi bassi (tutto possibile anche attraverso l’assistenza statale). A quel punto la loro quota di mercato crescerebbe. L’Unione europea vuole arrivare a produrre 10 milioni di tonnellate all’anno di idrogeno “verde”, cioè ricavato dall’elettricità rinnovabile, entro il 2030. Per soddisfare la necessità europea e mondiale, Bloomberg stima che la produzione globale di elettrolizzatori dovrà crescere di novantuno volte entro quella data.

La questione dell’idrogeno racconta il senso delle parole di Hochstein, che alla domanda se gli Stati Uniti siano in ritardo in questa impresa di diversificazione dalla Cina ha risposto: “Assolutamente siamo indietro”. Ma, ha aggiunto, “non significa che siamo fuori”.

Secondo un recente rapporto del Baker Institute for Public Policy della Rice University, la Cina controlla anche il 60% della produzione mondiale di minerali e materiali di terre rare. Queste risorse includono litio, cobalto, nichel, grafite, manganese e altri elementi delle terre rare, fondamentali per la produzione di veicoli elettrici, batterie, computer e prodotti per la casa. Sono inoltre essenziali per le tecnologie rinnovabili, come i pannelli solari e le turbine eoliche, che sono fondamentali nel tentativo degli Stati Uniti di realizzare una transizione energetica lontana dai combustibili fossili. Per fare un altro esempio: la Cina raffina il 95% del manganese mondiale — un elemento chimico utilizzato nelle batterie e nella produzione di acciaio — nonostante estragga meno del 10% della sua offerta globale. Perché? Perché prende i  quantitativi estratti altrove e li lavora in casa.

Gli Usa intendono fare qualcosa di simile, sfruttando Canada e Messico innanzitutto — sia per ragioni logistiche sia per la presenza di accordi di libero scambio. È un piano strategico, che include incentivi finanziari e commerciali dedicati, ha spiegato Hochstein. Qui lavora anche il mastodontico Inflation Reduction Act (Ira) dell’amministrazione Biden, che mira per esempio a investire pesantemente nella fornitura e nell’accesso ai minerali critici nei Paesi alleati e offre circa 369 miliardi di dollari in finanziamenti e crediti d’imposta per promuovere la tecnologia delle energie rinnovabili e la produzione di minerali critici.

L’idea degli Stati Uniti è di dare incentivi finanziari a chi accetta di portare sul suolo americano materiali per la raffinazione, la lavorazione e la produzione di batterie, ad esempio. Un’attività che Washington si sta convincendo a promuovere in coordinamento con gli alleati europei — tanto che in questi giorni ministri di Francia e Germania sono stati a DC per portare avanti i colloqui.

Hochstein ha spiegato a proposito dell’approvvigionamento di nuovi prodotti: “Forse non sono petrolio e gas, ma sono comunque risorse naturali, non sono abbondanti in tutto il mondo, quindi dobbiamo assicurarci, dal punto di vista degli Stati Uniti, di avere una catena di approvvigionamento per gli Stati Uniti, e questo è ciò che la legislazione che abbiamo approvato negli Stati Uniti sta cercando di fare”. E ha aggiunto: “Non voglio parlare [dell’essere] ostaggio, in fin dei conti la Cina sta facendo ciò che ritiene giusto per sé. Stanno cercando di costruire un’energia economica nel settore dell’energia pulita e tutti noi dobbiamo fare lo stesso. Dobbiamo imparare da ciò che abbiamo vissuto nello spazio energetico del petrolio e del gas, nella transizione verso un nuovo mercato energetico che si basa ancora sulle risorse naturali”.

Per gli Stati Uniti, le cui relazioni con la Cina possono essere descritte nel migliore dei casi come tese, la situazione pone diversi rischi per la sicurezza. Se la Cina decidesse di armare ancora più aggressivamente il dominio del mercato, l’America rischierebbe di andare in difficoltà. E con essa tutta la catena euro-atlantica (nella quale è compresa chiaramente anche l’Italia (probabilmente non è un caso se l’intervista di Hochstein è stata ripresa nel sito istituzionale dell’Agenzia Ice).

In una scheda informativa diffusa lo scorso anno a febbraio, la Casa Bianca ha scritto che “gli Stati Uniti dipendono sempre più da fonti estere per molte delle versioni lavorate di certi minerali [critici]. A livello globale, la Cina controlla la maggior parte del mercato della lavorazione e della raffinazione di cobalto, litio, terre rare e altri minerali critici”. “Dobbiamo riconoscere che non abbiamo investito, e questo è ciò che gli Stati Uniti stanno cercando di fare ora, non è solo ripetere il solito vecchio discorso che vogliamo avere dei partenariati”, ha detto Hochstein. “Verremo al tavolo insieme ai nostri alleati del G7, metteremo insieme le nostre risorse, faremo in modo che i soldi ci siano”.

“La vicenda del pallone spia cinese ha messo in mostra ciò che abbiamo riconosciuto da tempo: la Repubblica Popolare Cinese è diventata più repressiva in patria e più aggressiva all’estero”, ha detto Wendy Sherman, vice segretario di Stato, ai deputati del Parlamento europeo. “Ha rafforzato la necessità di raddoppiare la nostra strategia: investire, allinearsi, competere”, ha aggiunto la funzionaria, che porta avanti costantemente il dialogo con l’Europa per l’amministrazione Biden. Bruxelles e Washington stanno lavorando su un accordo per estendere la portata delle sovvenzioni statunitensi per le tecnologie verdi alle industrie europee, attraverso un’intesa strategica sulle materie critiche per la transizione. L’obiettivo finale, spiegava Otto Lanzavecchia su queste colonne, è contrastare la morsa cinese su tutti i settori cleantech.


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