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La velleitaria opposizione di Elly Schlein, segretaria pop. Il ritratto di Malgieri

Il nuovo Pd avrà molto da recuperare. Nel 2007 Veltroni prese tre milioni e mezzo di voti alle primarie; poi la cifra è andata assottigliandosi. Schlein si è seduta su un milione di voti: un po’ pochi per lanciare una sfida dall’opposizione ad una coalizione che sfiora il 50% e ad un partito, quello di Meloni, che i sondaggi danno al 31%

Una ragazza del 1985, dai natali illustri e cosmopoliti, lei stessa “cittadina del mondo”, progressista quante altre mai, ha preso in mano le redini del Pd grazie al voto “aperto” degli elettori che hanno ribaltato il voto “chiuso” degli iscritti che avevano decretato la vittoria del suo avversario. I gazebo hanno avuto insomma la meglio sulle sezioni; il voto di “opinione” della sinistra-minestrone sulla sinistra dei militanti, i portatori di voti e di dolori; la nomenclatura ha perso, la gioiosa macchina dei “diritti negoziabili” ha vinto.

Elle Schlein è diventata così la prima segretaria del Partito democratico a trentotto anni. Comincia ad essere rilevante nella galassia dem, dalla quale va e viene diventando prima eurodeputata, poi vice presidente della Regione Emilia Romagna con Bonaccini suo presidente poi antagonista e infine deputata al Parlamento alle scorse elezioni. Ma il suo nome diviene noto quando fonda OccupyPd per protestare contro il “grande inciucio” nel 2014 contro la candidatura di Romano Prodi alla Presidenza della Repubblica. La sua vittoria è da considerare una vendetta contro i famosi (o “famigerati” per alcuni) 101 franchi tiratori che affossarono le ambizioni del professore bolognese.
La sua storia familiare e personale multiculturale (giovanissima fece anche campagna elettorale per Barack Obama) è suggellata da tre nazionalità, dalla nascita in Svizzera nel Canton Ticino e dalla discendenza da una famiglia ebraica askhenazita proveniente dall’Ucraina.

Il progressismo è nelle sue corde. Per quanto molto riservata sulla sua vita privata, in un’intervista televisiva rilasciata qualche anno fa rivelò “di aver amato molti uomini e molte donne”. Ha una compagna che, dice, “non è un personaggio pubblico e non vuole diventarlo”. Appassionata di cinema e di musica le sue note biografiche riportano che è una “una cultrice del festival di Sanremo”. Immaginiamo quanto deve esserle piaciuta l’edizione di quest’anno, tutta all’insegna del politically correct e del più sconclusionato progressismo, tanto nella presentazione quando nei testi delle canzoni, nei monologhi, nella disposizione generale della kermesse a porsi come l’avanguardia culturale (culturale?) della sinistra più pop: forse Amadeus, in coerenza con la nouvelle vague di una gauche alle vongole piuttosto che caviar, sarebbe stato il più coerente rappresentante (e dunque leader) del nuovo Pd che oggi ha le fattezze e le impronte della giovane Schlein.

La sua gioventù elvetica è stata caratterizzata da rock e proteste. La si ricorda come “un vero vulcano”. Refrattaria alle regole borghesi aveva in sé il sacro fuoco della “rivoluzione”, non certo violenta o sovversiva, naturalmente, ma ad un capovolgimento delle regole ci pensava eccome. Ed eccola sempre attestata, anche nelle aule istituzionali che ha frequentato, insieme con una sinistra trasgressiva e pronta a dare battaglia su tutti i fronti che vengono definiti “civili”, da quelli in favore del movimento femminista all’appoggio incondizionato al movimento Lgbt+.

In una intervista al Sole 24 Ore, ha di recente spiegato che “l’attuale modello di crescita lineare è insostenibile produce più inquinamento, più riscaldamento, più disuguaglianze. Noi vogliamo essere al fianco delle imprese che investono e innovano, che creano lavoro stabile e di qualità, che rispettano l’ambiente e scommettono sull’economia circolare“. Rispettabili idee, ma dove porterebbe la crescita infelice o una decrescita felice sottesa alle parole della neo-segretaria? La vedremo all’opera sostenendo idee che perfino Serge Latouche ha in qualche modo mitigato e che la sinistra francese ha ripudiato, almeno quella meno velleitaria ed estremista.

Per quanto concerne le politiche del lavoro, la Schlein sostiene che provvedere a “liberalizzare i contratti a termine con il decreto Poletti e facilitare i licenziamenti con il Jobs act è stato un errore. Dobbiamo andare in una direzione radicalmente diversa. Non basta creare nuova occupazione, bisogna che sia di qualità e che assicuri un’esistenza libera e dignitosa, mettendo fine alla concorrenza al ribasso sul terreno delle tutele e dei salari”.

E fin quando starà all’opposizione questi sono problemi del suo partito che inevitabilmente si dividerà su di essi e su molti altri aspetti del pensiero della nuova leader. Ma all’opposizione non ci vuole proprio stare, com’è legittimo che sia per chi combatte sul campo della politica. Il suo esordio è stato molto chiaro al riguardo. Il Corriere della sera lo ha riportato fedelmente. “Care tutte e cari tutti, ce l’abbiamo fatta. Sono immensamente grata perché insieme abbiamo fatto una grande rivoluzione. Anche stavolta non ci hanno visto arrivare». E ancora, allo scoccare della mezzanotte, non le ha mandate a dire. Ai suoi inneggianti supporter ha promesso: “Il popolo democratico è vivo e ha una linea chiara. Ci chiede di cambiare davvero». Dunque, «Saremo un bel problema per il governo Meloni, organizzeremo una vera opposizione”.

Ecco il problema: la “vera opposizione”. Ma finora, con tutto il rispetto per Enrico Letta (suo grande sostenitore) , vuol dire che vera opposizione il Pd non l’ha fatta nei quattro mesi di governo Meloni, per non parlare del rapporto con Draghi di totale accondiscendenza.

E con chi la vorrebbe fare la “vera opposizione” la signorina Schlein? Ma con i Cinque stelle, che domanda! Infatti lei è nel partito una delle più accanite sostenitrici del reddito di cittadinanza, neanche lontanamente immaginando che i lavoratori che si sono riconosciuti fin qui nel Pci-Pds-Ds-Pd e perfino nella Margherita, non hanno mai visto di buon occhio la misura varata da quelli che pensavano – e lo dicevano – di “aver abolito la povertà”.

La vecchia sinistra post-comunista vede presumibilmente come il fumo negli occhi la segreteria Schlein, intanto perché è bigotta abbastanza da non apprezzare i furori “civili” della stessa. E poi perché teme, giustamente, di essere fagocitata dagli stessi ex-grillini. Un indizio dovrebbe far riflettere: nei gazebo chi ha decretato la vittoria della Schlein e la sconfitta di un uomo d’apparato come Bonaccini? Ma è evidente: i radical chic nelle grandi città, dei quali non gliene è mai importato molto dei lavoratori-militanti e buona parte dei pentastellati che entrano in partita con la nuova segreteria immaginando un colpaccio da mettere a segno fin dalle europee del prossimo anno.

Insomma: per chi lavoreranno la Schlein e la sua corte fatta di “sardine”, avventizi e colorati personaggi della galassia pop-politica? Comunque il nuovo Pd avrà molto da recuperare. Nel 2007 Walter Veltroni prese tre milioni e mezzo di voti alle primarie; poi la cifra è andata assottigliandosi. La Schlein si è seduta su un milione di voti: un po’ pochi per lanciare una sfida dall’opposizione ad una coalizione che sfiora il 50% e ad un partito, quello della Meloni, che i sondaggi danno al 31%.
Non sarà il velleitarismo il tallone d’Achille di Elly Schlein?



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