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Alain de Benoist intellettuale dalle molte vite. La lettura di Malgieri

Memoria viva. Un cammino intellettuale (Edizioni Bietti), di Alain de Benoist, uno dei più influenti intellettuali europei, verrà presentato a Roma lunedì 27 marzo, alle ore 18.30, al Caffè Letterario Horafelix. Interverranno Giovanni Sessa, Giuseppe Del Ninno, Gennaro Malgieri. Pubblichiamo la postfazione di Gennaro Malgieri al volume

Voltando l’ultima pagina di Memoria viva si ha come l’impressione che Alain de Benoist abbia vissuto molte vite senza smarrirsi mai, né intellettualmente né spiritualmente. Anzi, che si sia incamminato senza timori, come un antico asceta, tra impenetrabili foreste d’idee nelle quali ha cercato, trovandole, preziose radici che ha sradicato per trapiantarle in deserti nei quali, con il suo ingegno, ha fatto affluire acque per coltivarle e farle crescere, dando vita ad un giardino sapienziale.

Tutta la sua vita, infatti, l’ha improntata a una ricerca di cui questa “memoria” è il lascito davvero vivo e avvincente, che testimonia come un uomo di pensiero, dedito alla costruzione di una visione d’insieme con ciò che ha tratto da giacimenti spesso dimenticati, si sia imposto quale antesignano della diversità contro il “pensiero unico”, espressione che lui stesso coniò da giovane, poi resa famosa da altri che nulla avevano a che fare con lui. Un primato, originale ed universale al tempo stesso, che qualifica de Benoist come un intellettuale che ha saputo antivedere nelle contraddizioni della modernità non insanabili conflitti ma congiunzioni funzionali a nuove sintesi.

Integrando esperienze militanti di diversa natura, da quelle politiche giovanili, rivoluzionarie tout court, a quelle più squisitamente di ricerca nella gioventù matura, fino al compimento di una teorica poliedrica nella quale sono evidenti i frutti maturi di radici piantate dove nessuno avrebbe azzardato la “coltivazione”, de Benoist ha costruito – prodigiosamente, si potrebbe dire – una coscienza intellettuale per esploratori della modernità la cui essenza è la smitizzazione dell’omologazione del pensiero e la perenne, ancorché avversata, esaltazione delle differenze in linea con la tradizione europea.

La visione del mondo che riassume questo libro, letto con la lentezza che si addice ai salmi, poiché ad essi è ascrivibile in chiaro senso laico, è perciò riconducibile alla formulazione di un percorso lungo il quale le contraddizioni non sono di ostacolo alla comprensione di una esistenza piena e feconda, ma piuttosto concime per mettere a posto idee vitali che incarnano l’universalità di un pensiero che è continua fonte di crescita, in un divenire che prelude alla nascita di un compiuto spazio, che dal mio punto di vista può essere solo quello di un’Europa dalle connotazioni imperiali, ricca dei suoi tesori spirituali, armonica nelle differenze che la compongono e incline non tanto o non soltanto a difendersi da chicchessia, ma lanciata verso la ricreazione di una comunità organica di culture che si integrano e si risolvono nella combinazione di fattori tradizionali e moderni governati da un’intelligenza, se non comune, quantomeno prossima e non conflittuale, ambiziosa abbastanza da tenere a debita distanza destabilizzanti adepti della globalizzazione liberista ovunque e da chiunque declinata.

Ed è questo il punto d’arrivo più recente – per quanto non esplicitato estesamente – di de Benoist, che fa della sua Memoria una sorta di lessico intergenerazionale nel quale si può ritrovare quel mondo uscito dalla guerra insieme con chi è attratto dalle luminarie fatue della modernità ipertecnologica. È il vasto mondo nel quale l’autore ha vissuto le sue vite raccontate, come si sarà reso conto chi ha letto le dense pagine di questo libro, al fine di tracciare un percorso che è indubbiamente suo personale, ma sul quale è prevedibile l’incontro con chi ha vissuto nello stesso tempo ed ha masticato le medesime esperienze. L’approdo è quello indicato – la sconnessione delle forme organiche dalle virtù intime e personali: il globalismo, appunto, come punto d’arrivo della catastrofe spirituale nella quale siamo immersi, alimentata dalla deificazione del profitto e dunque dall’egoismo individualista come sostanza esistenziale.

Il “ribellismo”, jüngerianamente inteso, è l’obiettivo adombrato da de Benoist, se non in questo libro, almeno negli scritti che lo hanno accompagnato e seguito. Per ottenere il risultato sotteso a quello che potremmo definire un “cammino politico”, ancorché non nel senso proprio e tradizionale del termine, per l’autore non vanno più considerate le paratie stagne del secolo passato, bensì il loro abbattimento, poiché se la opposizione al neo-individualismo di natura liberista passa attraverso la riconversione parallela delle destre e delle sinistre, è fin troppo logico sostenere, a costo di essere incompresi, che sia le une sia le altre sono attestate sulla stessa linea; per superarla bisogna demolirla con l’apporto privo di pregiudizi da parte di chi, tanto da destra quanto da sinistra, ha lo stesso intento – e, insomma, una coalizione di tutti gli “eretici”.

Come ricorda de Benoist, l’espediente teorico che prefigura – e a supporto del quale cita volentieri, come fossero alleati nella medesima lotta, intellettuali di sinistra, da Paul Piccone a Christopher Lasch e Charles Taylor – non è soltanto per assecondare il suo desiderio di superare l’opposizione destra-sinistra, ma molto più radicalmente per stabilire la propria indifferenza alle etichette e sottolineare di contro l’importanza di un pensiero critico che non ha nulla a che vedere con le antiquate definizioni politiche.

«Attualmente», spiega, «viviamo nell’orizzonte della Forma-Capitale, cioè sotto l’impero della merce: mercificazione di tutte le attività sociali, trasformazione di ogni cosa in merce, riduzione dei rapporti umani a semplici relazioni d’interesse o utilità, regno incontrastato del denaro. Dunque, m’interesso a tutto ciò che rimette in discussione il “sistema degli oggetti” e la logica del profitto. Ciò è tanto più necessario dal momento che lo stesso capitalismo è cambiato. Dalla fine del compromesso fordista si è totalmente internazionalizzato e deterritorializzato, con l’effetto di accrescere ovunque le disuguaglianze economiche, attraverso il gioco della flessibilità, della precarietà e delle delocalizzazioni. Non siamo più nell’era dei capitalismi “nazionali”».

Le frontiere, insomma, sono state travolte. Occorre una nuova prospettiva per dare ai popoli i loro diritti e qualificare merci e denaro per ciò he sono: strumenti, mezzi e non fini ultimi, considerati perfino tessere di una nuova scandalosa “metafisica”.

Dalle prime letture e poi dal giovanile impegno politico, de Benoist ha attraversato, proprio come nella fitta foresta evocata all’inizio di questa postfazione, tutti gli sbarramenti culturali, da quelli filosofici, sociologici, giuridici e politologici a quelli letterari, artistici, poetici e cinematografici. Ha scritto una montagna di libri di vario genere ed ha fondato e diretto riviste e associazioni culturali (il Grece su tutte). È stato il capofila di un movimento di pensiero che ha agitato le acque della politica, pur ascrivendo la propria azione alla metapolitica, come la Nouvelle Droite. È stato un militante dell’azione in gioventù per poi superarla, senza mai rinnegarla, fino a diventare uno degli intellettuali più influenti d’Europa, e non solo. Ha coltivato la lettura dalla tenera età «anzitutto per evadere da una vita quotidiana che trovavo noiosa, sommersa dal filisteismo e dalle convenzioni borghesi». Ha cercato nei libri quello “spaesamento” che gli ha tenuto compagnia per anni. È stato rivoluzionario a tempo pieno non nella consueta maniera, ma per aderire ad «uno stato d’animo». Ha denunciato in tempi lontani, con una fantasia invidiabile, le “tecniche di stordimento” (il “pensiero unico”, appunto, reso poi famoso da «Le Monde diplomatique», senza che nessuno gli abbia riconosciuto i diritti). Ha fatto conoscere a mezzo mondo autori seppelliti sotto la pesante coltre del “politicamente corretto”, quando non dell’oblio programmato.

Memoria viva raccoglie tutto questo e molto altro ancora, rappresentando, in forma dialogica, come de Benoist abbia vissuto molte vite in sequenza, magari trovando nelle inevitabili contraddizioni tra l’una e l’altra stimoli di superamento non per costruire un monolite ideologico, ma per dare sviluppo alla creatività, nella logica di un pensiero plurale e, se me lo si consente, sterminato.

Uno dei più importanti risultati di questo affaccendarsi risiede nell’ispirazione che de Benoist ha offerto alla realizzazione nel 1978 del settimanale del prestigioso quotidiano «Le Figaro», il «Figaro-Magazine». Lo scrittore Louis Pauwels ne era il direttore, lui ne dirigeva l’orchestra culturale. Io e pochi amici italiani avemmo il privilegio di sfogliarne la prima copia in Provenza, mentre partecipavamo ad una settimana di scambi culturali. Un’avventura stupenda, un miraggio per quella Nuova Destra nascente. Eravamo tutti giovani – anche de Benoist, che aveva trentacinque anni ed aveva appena ottenuto il Premio per la saggistica dell’Accademia di Francia con il ponderoso e fondamentale Vu de droite.

L’avventura del settimanale durò poco. Le logiche liberiste, sottilmente totalitarie, prevalsero e lo strapparono dalle mani di chi lo aveva inventato. Nessun dramma. Solo la conferma che, in Francia come altrove, c’era una destra che non sapeva o non voleva fare la destra. Le idee valevano meno gli interessi, evidentemente.

Nel libro che avete appena letto – e che non riassumerò – s’addensano molte suggestioni. E non è proprio di un ideologo indulgere attorno ad esse. De Benoist guarda il mondo che lo circonda e mostra platealmente di non amarlo. Ama invece la vita, che è un’altra cosa. E forse proprio per questo detesta la “macdonaldizzazione” e la “waltdisneyzzazione” che si sono impossessate del Pianeta. Di fronte a tale spettacolo ha la sensazione di una caduta, come se gli adulti si fossero infantilizzati ed i bambini fossero diventati adulti. È una delle miserie della modernità, il cui fine è scopertamente economico-comportamentale.

Non c’è niente di meglio della solitudine e del silenzio per de Benoist. Come per dei cenobiti o degli eremiti. «Non c’è vita interiore senza solitudine». Ciò non vuol dire essere isolati, naturalmente. Ma i pensieri nascono lontano dal chiasso, dalla confusione, dalla babelica fame di divertimento. Nietzsche amava l’Engadina, Heidegger Messkirch nel Baden-Württemberg.

Come dimostrano le sue memorie, Alain de Benoist rappresenta un intellettuale assolutamente atipico. Per gli innumerevoli interessi che coltiva, per le passioni che suscita, per l’enciclopedica cultura che lo nutre, per l’intensità della sua vita di uomo di pensiero e di interventista come pochi nelle faccende che tengono il mondo in allarme. Potrebbe riassumere la sua vita in qualche modo, ma non ci pensa neppure. Perché sa che essa è fatta di molte cose, dai libri ai sentimenti. Ma se proprio è costretto a definirla, trova parole che starebbero bene in una lirica di Hölderlin: «Appena un battito d’ali sulla superficie dell’acqua».

 


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