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Cosa c’è (davvero) dietro le crisi di Credit Suisse e Svb. Parla Angeloni

​Intervista all’economista ed ex membro del Comitato esecutivo della Bce. Dal 2008 ad oggi ci è stato detto che le banche dovevano poter fallire, ma l’intervento parastatale sull’istituto svizzero è un’ammissione di fallimento. Svb è saltata perché non ha retto al rialzo dei tassi, dopo anni di espansione monetaria. Lagarde? Fa bene a tirare dritto

Guai a mettere tutto nel frullatore. Come a dire, a porre sullo stesso piano lo scampato crack del Credit Suisse con il default, quello sì, della Silicon Valley Bank. Non sono la stessa cosa, anche se la patologia può essere molto comune. Ignazio Angeloni, economista di lungo corso e docente presso il Robert Schuman Center of the European University Institute in Florence, è stato per anni membro del Comitato esecutivo della Bce. Per questo, quando gli si chiede un parere sulle recenti crisi bancarie che hanno scosso non poco i mercati, facendo rivivere per un momento ai risparmiatori lo spettro di Lehman Brothers, sa di cosa si parla.

Prima Svb, poi Credit Suisse, passando per First Republic. Due crack e un salvataggio per i capelli. Che cosa sta succedendo nelle banche? Ed è davvero colpa di un rialzo mal gestito dei tassi, come nel caso della stessa Svb?

Sono situazioni diverse, che hanno cause diverse. La cosa che le accomuna è il contagio, quella malattia infettiva delle banche che fa si che l’incertezza su una si trasmetta anche alle altre.

Ci spieghi.

La crisi degli istituti americani è il risultato dell’onda lunga della grande espansione monetaria. La fase di aumento della liquidità bancaria verificatosi dal 2008 ha incoraggiato ad assumere maggiori rischi, senza pensare troppo a cosa sarebbe successo in futuro. Ed è anche il risultato della deregolamentazione bancaria decisa dall’amministrazione Trump, che ha fatto si che le banche al di sotto di 250 miliardi di dollari di attivo non fossero più vigilate e sottoposte agli stress test a livello federale. Ora, quando l’espansione monetaria del periodo pandemico ha fatto crescere i loro depositi a dismisura, queste banche si sono imbottite di titoli di Stato a lungo termine, ritenendoli (non senza ragione) strumenti sicuri che rendevano qualcosa (i tassi a breve erano a zero negli Usa). Il rialzo successivo dei tassi le ha costrette a vendere quei titoli in perdita. In questo caso, se mi passa un paragone, incolpare il rialzo dei tassi è come attribuire alla disintossicazione la causa del decesso di un tossicodipendente.

Mentre invece nel caso europeo, che cosa c’è di diverso?

La crisi di Credit Suisse è diversa, lì davvero la banca ha grosse responsabilità: anni di gestione opaca e imprudente, al confine e oltre le regole, insieme alla vigilanza. Il caso Credit Suisse è più grave non solo perché rischiava di avere conseguenze in Europa a causa della dimensione e dei collegamenti di quella banca col sistema europeo (si tratta di una banca globalmente sistemica secondo le classificazioni internazionali), ma perché segnala che la riforma del sistema finanziario globale attuata dopo la grande crisi del 2008 non ha funzionato.

Qualcuno non ha imparato la lezione, pare di capire…

Allora si disse che non dovevano esserci più salvataggi a spese del contribuente, che le banche andavano messe in condizione di poter fallire, ovvero andare in risoluzione, senza danneggiare le altre, eccetera. Dopo quindici anni le autorità svizzere hanno invece decretato che Credit Suisse andava salvata, che non poteva andare in risoluzione senza creare uno scompiglio sistemico. Una grave ammissione di fallimento, che riguarda gli svizzeri ma anche tutto il sistema globale dei controlli bancari.

L’operazione Credit Suisse-Ubs ha un po’ il sapore del mercato, un po’ quella del salvataggio per mano di Stato. Che lezione possiamo imparare?

Si tratta di un salvataggio nel senso che le autorità sono intervenute con energia pilotando l’intervento di Ubs e determinando condizioni favorevoli per l’acquirente. Lo dimostra l’entusiasmo di borsa per Ubs dopo l’operazione. Le autorità hanno addirittura rovesciato l’ordine naturale del bail in, bruciando i creditori subordinati prima degli azionisti. D’altra parte, questi ultimi non sono stati neppure consultati, quindi andavano compensati in qualche modo. La lezione l’hanno data le autorità europee nel loro comunicato stampa, in cui ribadiscono la corretta gerarchia dei creditori: prima gli azionisti, poi i detentori di titoli subordinate (AT1), poi gli altri creditori, infine i depositanti.

Guardiamo a Francoforte, visto che parliamo di autorità. La Bce ha fatto ben intendere che un rallentamento sui tassi non è all’ordine del giorno, nonostante i citati guai bancari. Condivide?

Si, condivido. Penso che nell’ultima riunione la presidente Lararde si sia espressa bene, riscattando alcune comunicazioni infelici precedenti. Ha detto che la politica monetaria e la politica della stabilità finanziaria hanno obiettivi e strumenti diversi, e che la Bce agirà con decisione in entrambi i sensi. Così deve essere, salvo in condizioni di crisi conclamata, condizioni in cui oggi non ci troviamo. La Bce ha quindi proceduto con l’aumento dei tassi a breve, che rimangono comunque negativi al netto dell’inflazione, evitando però di impegnarsi sui movimenti successivi.

I mercati non sembrano aver reagito troppo male, in effetti…

Ho l’impressione questo messaggio sia stato compreso e condiviso. Dopo l’ultima riunione Bce, abbiamo assistito a una distensione sui mercati, soprattutto quello dei titoli pubblici.


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