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Auto elettriche, l’ombra della Cina e i rischi delle case green. Parla Mantovani

Secondo la capogruppo di FdI in Commissione politiche europee “l’agenda green seguita dall’Unione europea nell’ambito del pacchetto ‘Fit for 55’ prevede tempi molto stretti, impensabili per realizzare una riqualificazione di tutto il patrimonio immobiliare entro pochi anni senza generare costi sociali”. E sui biocombustibili lo scopo sarà principalmente arginare la “desertificazione industriale e la dipendenza dalla Cina”

La linea assunta dall’Europa sull’efficientamento degli immobili rischia di essere una tagliola per il nostro Paese. O meglio il frutto di una “una posizione ideologica” dell’Ue. Una misura a taglia unica, senza considerare la specificità del nostro Paese. Ferme restando le varie incognite legate alla “sostenibilità” in termini realizzativi con una deadline piuttosto stringente. Ed è per questo che FdI si è opposto fermante a questa decisione. Parte da qui l’intervista a Lucrezia Mantovani, capogruppo di Fratelli d’Italia in commissione Politiche Europee alla Camera.

L’Ue ha dato il via libera alla svolta Green sugli immobili. Una rigenerazione e riqualificazione che, considerando gli standard fissati, prevede interventi su milioni di edifici. Ritiene che questo indirizzo sarà sostenibile in Italia, specie nei tempi fissati a livello europeo?

Il testo di qualche giorno fa, approvato in Parlamento europeo sulla direttiva Case green, è inadeguato rispetto al contesto italiano. Siamo d’accordo con la necessità di pensare, attraverso un percorso di efficientamento della performance energetica degli immobili, alla riduzione delle emissioni ma non con questo metodo. L’agenda green seguita dall’Unione europea nell’ambito del pacchetto “Fit for 55” prevede tempi molto stretti, impensabili per realizzare una riqualificazione di tutto il patrimonio immobiliare, entro pochi anni senza generare costi sociali. Nel caso dell’Italia, le conseguenze sarebbero maggiori, poiché il nostro è un Paese a proprietà immobiliare diffusa, e che talvolta è l’unica fonte di stabilità nelle famiglie.

Oltre al fatto che molti immobili sono tutelati da vincoli legati al valore storico e culturale.

Certo, il patrimonio edilizio di carattere storico e culturale, come ad esempio lo sono i borghi, è vastissimo. Inoltre, in moltissimi casi gli interventi richiesti dovranno essere strutturali, vale a dire che ci sarebbe da fare un “salto” di ben tre classi energetiche, e le spese da impiegare non sarebbero sostenibili per le famiglie. Per questo continueremo a difendere le nostre istanze in ogni sede, sperando che si giunga a un accordo di buon senso prima del testo finale.

Quali sono i rischi che avete riscontrato e per cui Fratelli d’Italia ha votato contro in sede europea?

Siamo impegnati, nella Commissione Politiche Ue della Camera, ad ascoltare tutte le categorie interessate per avere un quadro realistico delle spese e dei rischi che comporterebbe questa direttiva. Finora non ci sono stati dati entusiasmanti, anzi si chiede di essere più ragionevoli su tempistiche e costi. Gli obiettivi ambientali nell’ambito della svolta green sono molto ambiziosi, a tal punto da sembrare l’esercizio di una posizione ideologica da parte dell’Europa, la quale non considera minimamente le peculiarità territoriali dei vari Stati membri.

Il fattore tempo è piuttosto stringente. Come muoversi in questo senso? 

Innanzitutto, è fondamentale dilatare il timing fissato dalla direttiva e poi predisporre un quadro di incentivi. L’armonizzazione delle classi energetiche non può trasformarsi in una patrimoniale a spese dei cittadini, perché ciò significherebbe alterare la sostenibilità sociale e subire pesanti ripercussioni sul sistema bancario, considerando che la maggior parte delle garanzie dei mutui ipotecari si basa sul valore degli immobili. Tra i vari rischi c’è la carenza di manodopera qualificata, poi l’aumento spropositato dei prezzi, l’impossibilità di reperire materie prime e professionisti. Non vogliamo immiserire il potenziale edilizio dell’intero Paese e impoverire imprese e famiglie; per tale ragione Fratelli d’Italia ha votato contro il testo della direttiva.

Sulla questione biofuel ed e-fuel è stata sollevata più di una preoccupazione. La svolta verso l’elettrico che tipo di contraccolpi potrebbe provocare sul comparto automotive italiano?

L’Italia, anche in questo caso, ha sin da subito sollevato delle perplessità, manifestando la contrarietà già in sede europea. Sia chiaro, non siamo contro la decarbonizzazione o disinteressati alla questione climatica, ma riteniamo che il processo di transizione debba essere graduale, altrimenti la tempestività rischia di produrre più danni che benefici. Il settore automotive è parte integrante della nostra tradizione ed è da sempre sinonimo di innovazione, è anche per questo che deve essere salvaguardato e protetto. Passare rapidamente alla totale elettrificazione della mobilità, potrebbe provocare un’emorragia industriale, con grosse ripercussioni sul tessuto economico-sociale della filiera automobilistica. Pensiamo ai posti di lavoro, a rischio oltre 70mila, per un mero principio ideologico. Un altro rischio, sottovalutato ma concreto, è l’infiltrazione cinese nel mercato nazionale ed europeo. Si prevede che già nel 2025 la quota di auto elettriche prodotte dalla Cina e circolanti in Europa sarà di circa il 18%, questo significa che una vettura a batteria ogni cinque sarà made in China. È un dato preoccupante che potrebbe peggiorare e che andrebbe a colpire il cuore del sistema produttivo italiano in maniera indiscriminata.

Al di là del sottolineare il rischio di infiltrazioni cinesi, non c’è il rischio – sostenendo queste posizioni – che il governo sia considerato “ostile” alla transizione e alla sostenibilità ambientale?

No, anzi tengo a rimarcare che il Governo Meloni è a favore della sostenibilità ambientale, purché avvenga seguendo politiche rispettose dell’occupazione e attente alle ricadute sociali. Il nostro scopo, riguardo il provvedimento sulle auto a combustione, sarà principalmente arginare la desertificazione industriale e la dipendenza dalla Cina.

La transizione, anche in chiave industriale, è un elemento sostanziale per il Pnrr. Come far coesistere l’esigenza di tutelare le imprese italiane e nel contempo avviarle verso questa strada?

Il sistema industriale ha necessità di competere e, per farlo, non può prescindere dall’innovazione. La difesa dell’ambiente passa dalla coesistenza degli interessi economici, dell’occupazione e della sostenibilità sociale. È proprio in questa direzione che si muove il Pnrr, uno strumento di slancio dell’economia industriale e volano per lo sviluppo del Paese. L’ecologia è anche efficientamento dei processi e delle risorse con ovvi benefici sulla riduzione dei costi e delle emissioni. Dobbiamo favorire gli investimenti in nuove tecnologie e dare a chi fa impresa la possibilità di migliorare i processi produttivi per competere a livello globale.

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