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La letteratura che ha formato Bergoglio

Per cominciare una riflessione e non un bilancio di questo decennio bergogliano, padre Antonio Spadaro colma una lacuna e ci presenta i letterati che più hanno influito sull’odierno pontefice

È una grande operazione culturale quella che compie La Civiltà Cattolica offrendoci, nel numero che sarà pubblicato sabato prossimo, una presentazione ragionata dei poeti e letterati che hanno maggiormente contribuito alla formazione di Jorge Mario Bergoglio.

Dunque qui non si parla di teologi, liturgisti, santi, beati; ovviamente ci sono anche loro nell’insieme formativo di un uomo che oggi è papa. Il direttore della rivista dei gesuiti, padre Antonio Spadaro, ci pone davanti agli autori, ai poeti, ai romanzieri più importanti per capire come anche loro abbiano plasmato il pensiero dell’attuale pontefice che di poesia e letteratura spiega il valore così: “Il romanzo, la letteratura legge il cuore dell’uomo, aiuta ad accogliere il desiderio, lo splendore e la miseria. Non è teoria. Aiuta a predicare, a conoscere il cuore…”. Dunque l’’operazione è culturale, perché come si proverà brevemente a illustrare l’influsso è importante, la fede non si può isolare, non si separa dalla vita, dal mondo, non è una bolla. L’animo di un papa va compreso anche così e questo vale ancor di più per un papa che non è arrivato giovanissimo in seminario, prima ha lavorato, ha vissuto “come noi”.

È dunque affascinante e importante entrare tra i suoi classici preferiti. Che ci siano grandi nomi della lettura cattolica, come Alessandro Manzoni, non sorprende, ma il Pantheon letterario di Jorge Mario Bergoglio non è tutto qui. Interessa ad esempio scoprire che ci sia anche Charles Baudelaire, confermarsi nella certezza che vi sia Dostoevskij, apprendere del ruolo che vi occupa Virgilio.

Gli autori presentati nella spiegazione del senso della loro presenza sono molti di più, ovviamente anche sudamericani, ma prima di parlare di alcuni di loro la forza del richiamo all’attualità di queste ore mi induce a cominciare da Virgilio. Il testo, evidentemente scritto molto prima della tragedia del naufragio vicino a Crotone, sembra portarci proprio lì, su quella spiaggia, tra le vittime e i superstiti, tra le polemiche e le scelte, da fare e fatte: “In particolare, Bergoglio fa riferimento a Enea, il quale, «davanti a Troia distrutta, supera la tentazione di fermarsi a ricostruire la città e, prendendo in spalla suo padre, comincia a salire il monte verso una vetta che sarà la fondazione di Roma». Questa immagine è indelebile nella mente del Pontefice. È una icona. L’anno successivo, in una sua ampia conversazione con Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti, disse dell’eroe virgiliano: «Attenzione, la pazienza cristiana non è quietista o passiva. È la pazienza di san Paolo, quella che implica portare sulle proprie spalle la storia. È l’immagine archetipica di Enea che, mentre Troia brucia, si carica il padre sulle spalle – Et sublato montem genitore petivi –, si carica la sua storia sulle spalle e si mette in cammino, alla ricerca del futuro».

Queste due citazioni del poema virgiliano sono la spia del fatto che quest’opera ha fatto molto riflettere il futuro Pontefice. Fermarsi è una tentazione: Enea assume il rischio di partire, di salire, e di farlo portandosi in spalla l’anziano padre. Si può, dunque, cercare il futuro solamente caricandosi sulle proprie spalle il passato, la storia, la memoria. Da Pontefice, Francesco ha pienamente ripreso questa eco virgiliana, rivelando quanto l’Eneide abbia inciso nel suo immaginario. In particolare, lo ha fatto nell’intervista data a Austin Ivereigh durante la pandemia. Proprio alla fine di quell’intervista, egli aggiunse, riferendosi a Eneide II: «Mi viene in mente un altro verso di Virgilio, quando Enea, sconfitto a Troia, aveva perduto tutto e gli restavano due vie d’uscita: o rimanere là a piangere e porre fine alla sua vita, o fare quello che aveva in cuore, andare oltre, andare verso i monti per allontanarsi dalla guerra. È un verso magnifico: Cessi, et sublato montem genitore petivi. “Mi rassegnai e sollevato il padre mi diressi sui monti”. È questo che tutti noi dobbiamo fare oggi: prendere le radici delle nostre tradizioni e salire sui monti». Ecco, dunque, come ritorna l’icona che l’allora arcivescovo di Buenos Aires aveva già ben dipinto.

Si deve anche notare che Francesco, il 23 ottobre 2018, durante la presentazione del libro ‘La saggezza del tempo sul rapporto tra giovani e anziani’, chiese che fosse proiettata un’icona opera dell’atelier iconografico di Bose: quella che ritrae un giovane monaco che porta sulle sue spalle un fratello anziano. Difatti è la stessa immagine di Enea che si porta sulle spalle Anchise. Il Papa ha commentato allora: «Si vede un giovane che è stato capace di prendere su di sé i sogni degli anziani e li porta avanti, per farli fruttificare. Questo forse sarà di ispirazione. Tu non puoi portarti tutti gli anziani addosso, ma i loro sogni sì, e questi portali avanti, portali, che ti farà bene». Ma Francesco è andato oltre, dando rilievo al tema della memoria. Ha affermato: «Mi viene in mente in un verso dell’Eneide che, nel contesto della sconfitta, dà il consiglio di non abbassare le braccia. Preparatevi a tempi migliori, perché in quel momento questo ci aiuterà a ricordare le cose che sono successe ora. Abbiate cura di voi per un futuro che verrà. E quando questo futuro verrà, vi farà bene ricordare ciò che è accaduto». Il Papa era evidentemente preoccupato che il tempo post-pandemico fosse immaginato come un tornare indietro, nel semplice oblio. L’oblio del vissuto è la tentazione più grande quando si vuole costruire il futuro. Ha detto ancora Francesco: «Mi viene ancora in mente un verso di Virgilio (Eneide I, 203): Meminisce iuvabit. Farà bene recuperare la memoria, perché la memoria ci aiuterà. Oggi è tempo di recuperare la memoria. Non è la prima pestilenza dell’umanità. Le altre sono ormai ridotte ad aneddoti» senza cambiare nulla”.

Ecco il significato della memoria e quindi delle radici… In questo vasto atlante letterario di cui non si può presentare che qualche spunto, come questo così importante da calzare purtroppo perfettamente all’oggi e nell’oggi, mi ha colpito moltissimo il tema della diversità, della complessità del mondo. E qui entra in ballo proprio Baudelaire. Spadaro ci fa sapere che l’insegnante Bergoglio faceva studiare Baudelaire con attenzione ai suoi alunni e che in una riflessione che ha consegnato proprio a loro, ai gesuiti de la Civiltà Cattolica, ha citato un verso di Baudelaire: “La vita è fluida e si agita senza sosta come si agita l’aria in cielo e il mare nel mare”. Bellissimo. Ma oltre ad essere bellissimo questo verso fa pensare al multicromatismo, come ha osservato proprio Francesco: “La vita non è un quadro in bianco e nero. È un quadro a colori. Alcuni chiari e altri scuri, alcuni tenui e altri vivaci. Ma comunque prevalgono le sfumature”.

Questo prevalere dei colori, delle sfumature, delle diversità, porta nel testo a Robert Hugh Benson, autore che appassiona Bergoglio per il volume “Il signore del mondo”. È la storia di un leader carismatico che dovrebbe portarci a superare le nostre divisioni, in un umanesimo che definirei “totale”. Questo è il pensiero unico. C’è Benson dietro il pensiero bergogliano sulla globalizzazione sferica, quella che intende eliminare e non valorizzare, come potrebbe, le differenze. Parlando di “concezione imperialista della globalizzazione”, Bergoglio nel 2005 infatti la definì così: “La si concepisce come una sfera perfetta, pulita. Tutti i popoli si fondono in una uniformità che annulla la tensione fra le diversità. Benson aveva previsto tutto questo nel suo famoso romanzo Il Signore del mondo. Questa globalizzazione costituisce il totalitarismo più pericoloso della postmodernità”.

A questo Francesco oppone il pensiero a lui caro, il pensiero incompleto, un pensiero non unico, isolato, ma Spadaro ci avverte che è il pensiero per cui “due più due non fa sempre quattro”. Anche qui emerge il peso di un grande come Dostoevskij: “In Memorie dal sottosuolo, Dostoevskij scrive che non è detto che «due-per-due-quattro», ma potrebbe essere anche «due-per- due-cinque». Infatti, «il due per due quattro non è più vita, signori, bensì il principio della morte», si legge nel romanzo. Il pensiero calcolante, concettuale e astratto non riesce ad «afferrare» la vita e le sue contraddizioni concrete. Del resto, uno dei punti cardine del pensiero di Bergoglio è che la realtà viene sempre prima dell’idea, e la complessità del poliedro è superiore alle equidistanze della sfera. Che lo abbia appreso anche da Dostoevskij? Certamente da Guardini ha appreso che Dostoevskij descrive l’esistenza dei suoi personaggi considerando due poli in tensione: «Il momento di pienezza dell’esistenza, il non-definito, l’elemento fluido sfuggente a ogni forma, l’improvviso e l’imprevedibile»”.

Molto altro andrebbe detto di molti altri autori citati, ma anche in una così succinta presentazione non si può sorvolare sul tema cruciale del meticciato, connesso a quanto detto sin qui. Entrano in ballo infatti altri due grandi nome importanti per Bergoglio, Leopoldo Marechal e Julio Cortàzar, tramite i quali giungiamo alla passione per la mescolanza come via alla crescita. Il papa della teologia del popolo in Marechal trova l’accesso al fascino per il carattere internazionale di Buenos Aires: “Essa è colta in una vera e propria discesa dantesca – ma anche dostoevskiana – nel «sottosuolo» metropolitano”. Marechal, insieme al Julio Cortàzar de “Il viaggio premio”, hanno aiutato Bergoglio a scandagliare la prospettiva che ne consegue, quella del meticciato, portando Bergoglio a dire: “Mescolare ti fa crescere, ti dà nuova vita. Sviluppa incroci, mutazioni e conferisce originalità. Il meticciato è quello che abbiamo sperimentato, ad esempio, in America Latina. Da noi c’è tutto: lo spagnolo e l’indio, il missionario e il conquistatore, la stirpe spagnola e il meticciato. Costruire muri significa condannarsi a morte. Non possiamo vivere asfissiati da una cultura da sala operatoria, asettica e non microbica”.

Rifiutando la complessità e pluralità del mondo si potrebbe arrivare a questa visione? Una domanda alla quale l’autore risponde consentendoci di riformulare la stessa domanda: “Costruendo una mappa delle letture di Bergoglio, è possibile comprenderne meglio la visione e forse anche scoprire le radici del suo modo di comprendere il mondo e di essere pastore. Abbiamo sottolineato l’importanza della tragedia che mette in scena la contraddittorietà della vita. Abbiamo scoperto quanto il Papa ami la letteratura che esprime l’anima di un popolo, ma che sia anche capace di fargli intuire quel futuro poliedrico e meticcio che Marechal ci aiuta a pensare e immaginare”.

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