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La Pubblica amministrazione di cui abbiamo bisogno. Il commento di Celotto

Nel 2022 sono stati depositati 16.850 ricorsi contro ministeri e Pubbliche amministrazioni. Ben 3421 ricorsi sono contro il silenzio di una amministrazione e 1430 per l’ottemperanza a sentenza. La riforma di cui abbiamo davvero bisogno? Rendere la Pubblica amministrazione rapida nelle risposte, positive o negative che siano. E il digitale non può che aiutarci. Il commento di Alfonso Celotto

Da molti anni la burocrazia attanaglia le nostre vite. Impressiona rileggere la descrizione, fatta nel 1866 da un capo-sezione del ministero dell’Interno, con l’elenco delle operazioni e dei tempi necessari per l’emissione di un semplice mandato di pagamento: quindici passaggi (dalla “redazione del decreto di concessione del sussidio” alla “partecipazione dell’emissione alla parte interessata”), per un tempo complessivo di 77 minuti e un costo per lo stato (in inchiostro, carta, illuminazioni degli uffici, tempo di lavoro) di una lira e 12 centesimi.

Una burocrazia lenta, complicata, sesquipedale, molto procedimentalizzata, che inquieta e intimorisce i cittadini, in un profluvio di moduli, dichiarazioni, carte, tempi di attesa.

In questa settimana il presidente del Tar Lazio, Antonino Savo Amodio, cioè il principale giudice per i problemi dei cittadini contro la Pubblica amministrazione, ha inaugurato l’Anno giudiziario, con una relazione che contiene numeri molto interessanti.

Nel 2022 sono stati depositati 16.850 ricorsi contro ministeri e Pubbliche amministrazioni. Il dato è già di per sé significativo, ma quello che più fa riflettere è che 3421 ricorsi sono contro il silenzio di una amministrazione e 1430 per l’ottemperanza a sentenza. Cioè quasi un terzo di tutti i ricorsi presentati è per contestare una Pubblica amministrazione che non risponde a una istanza o che, peggio ancora, non dà seguito a una sentenza che la condanna.

Temo che sia soltanto la punta di un iceberg, ma è il segnale di quanto la nostra amministrazione sia un muro di gomma contro le richieste dei cittadini, che non riescono a farsi rispondere o non riescono a dare esecuzione a una sentenza favorevole. Sono numeri che ci devono molto preoccupare perché segnalano una amministrazione che non riesce a dare fiducia ai cittadini e che deve essere portata in giudizio, con aggravio di costi e di tempi anche soltanto per dare una risposta a una richiesta.

È un problema serio che non soltanto indica quanto poco funzioni la nostra Pa, ma anche quanto questo non possa che accrescere la sfiducia nello Stato. Una sfiducia radicata e consolidata da anni, per come già raccontato già da Calamandrei nel 1956: questa è “la maledizione secolare che grava sull’Italia: il popolo non ha fiducia nelle leggi perché non è convinto che queste siano le sue leggi. Ha sempre sentito lo Stato come un nemico. Lo Stato rappresenta agli occhi della povera gente la dominazione. Finora lo Stato non è mai apparso alla povera gente come lo Stato del popolo. Da secoli i poveri hanno il sentimento che le leggi siano per loro una beffa dei ricchi: hanno della legalità e della giustizia un’idea terrificante, come di un mostruoso meccanismo ostile fatto per schiacciarli, come di un labirinto di tranelli burocratici predisposti per gabbare il povero e per soffocare sotto le carte incomprensibili tutti i suoi giusti reclami”.

Penso che la riforma di cui abbiamo davvero bisogno sia proprio questa: rendere la Pubblica amministrazione rapida nelle risposte, positive o negative che siano. E il digitale non può che aiutarci.


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