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Cieli chiusi e aerei distrutti. La fragilità delle retrovie russe. L’analisi di Alegi

La notizia dei cieli russi chiusi al traffico per presunti attacchi di droni ucraini, di cui mancano riscontri oggettivi, impone una certa cautela, potendo anche trattarsi di una campagna di disinformazione russa per giustificare la propria presenza in Ucraina. Più significativa è la distruzione in Bielorussia di un Beriev A-50 russo, che evidenzia la mancanza di sicurezza nelle stesse retrovie strategiche russe. L’analisi dello storico ed esperto aeronautico Gregory Alegi

Dopo sei mesi, la battaglia di Bakhmut sembra avviarsi alla conclusione. Con il taglio della via di rifornimento, l’autostrada H20, la resistenza nella città diventa sempre più difficile e la sacca potrebbe presto chiudersi. In realtà, però, la caduta della città rappresenterebbe la fine di una fase in corso da tempo, e non sembra che l’ipotetica nuova offensiva russa possa sfondare le linee ucraine andando oltre la cittadina. È quindi improbabile che l’obiettivo cambi il corso della guerra, come già era successo l’anno scorso con Mariupol, oggetto di attenzione mediatica ma alla fine priva di grandi conseguenze. Diverso è il caso di quanto sembra stia accadendo all’interno delle linee russe.

La distruzione del Beriev A-50

Dalla Bielorussia a est, giungono notizie variamente attendibili di azioni ucraine. Ieri l’aeroporto di San Pietroburgo è stato chiuso per alcune ore e sono decollati i caccia della difesa aerea russa per un presunto allarme droni, come annunciato da Ria Novosti. A Minsk, invece, è confermata la sostanziale distruzione (o almeno il danneggiamento grave) di un Beriev A-50 russo presso la base aerea di Machulishchy. La notizia è importante per due motivi: il primo che si tratta di un Awacs russo, quindi di un velivolo che controlla e gestisce l’azione degli altri aeroplani. Un assetto molto tecnologico e molto costoso dei quali l’aviazione di Mosca ha in servizio una manciata di esemplari. Non a caso, come per le cisterne volanti, le forze aeree tengono questi mezzi pregiati ben lontani dalla zona di combattimento, per evitare che siano abbattuti dalla caccia o dai missili avversari. In questo caso però, l’A-50 è stato danneggiato a terra da un commando ucraino o da partigiani anti-governativi bielorussi. Il secondo motivo è che il gesto ricorda a Minsk il prezzo, in termini di instabilità interna, dello schierarsi con i russi, e a Mosca il fatto di non essere universalmente bene accetta nella sfera territoriale dell’ex-Urss che il Cremlino rivendica come propria. Soprattutto, la distruzione del velivolo segnala lo scarso controllo del territorio bielorusso. Questa considerazione è particolarmente importante dal momento che già prima del 24 febbraio la Bielorussia è la retrovia strategica delle forze di Putin. Non potersi muovere liberamente in territorio bielorusso è, quindi, particolarmente grave in vista della possibilità di un nuovo attacco contro Kiev partendo, appunto, da nord

I presunti attacchi di droni ucraini

Più difficile è valutare la notizia dell’attacco di droni in territorio russo, riportata per ora soltanto da Tass. Kiev ha, naturalmente, già dimostrato di avere buone capacita con i velivoli a pilotaggio remoto, colpendo in quest’anno molti obiettivi sia sul fronte, sia nelle retrovie. Quindi la notizia in sé non è necessariamente infondata. Tuttavia, la mancanza di riscontri oggettivi, come foto di buona qualità per esempio, impone una certa cautela. Non si può, infatti, escludere che l’agenzia Tass abbia quantomeno ingigantito la notizia in modo da utilizzarla sul fronte interno come indicazione della presunta mancanza di scrupoli da parte ucraina. In questo senso, evidenziare la vulnerabilità del territorio interno russo agli attacchi ucraini potrebbe servire a consolidare il morale russo e il sostegno a Putin. L’Ucraina, da parte sua, ha smentito gli attacchi con droni, ma anche in questo caso, oltre alla difficoltà tecnica, c’è il desiderio di non sfidare troppo apertamente l’opposizione degli Stati Uniti, da sempre molto cauti nei riguardi di mosse che in qualche modo avvalorino la narrazione russa o possano essere usate, strumentalmente, per giustificare attacchi contro obiettivi civili, escalation e quant’altro.

Disinformazione russa

Alla necessità di cautela da parte degli analisti non-mediatizzati, contribuisce anche il fatto che nelle stesse ore, fonti russe hanno distribuito la foto di un presunto Leopard 2 di fornitura tedesca distrutto sul fronte ucraino. Dopo pochi minuti, tuttavia, i fact-checker volontari, che da un anno seguono la guerra, hanno dimostrato che si trattava in realtà di un mezzo dell’esercito turco distrutto anni fa sul fronte siriano. L’uso spregiudicato di immagini in questo senso non è da parte russa una novità. Nei mesi scorsi era stata annunciata la distruzione di Himars, Bradley e altri mezzi occidentali ben prima del loro effettivo arrivo in Ucraina. Tutto questo proprio perché, come i professionisti del settore difesa ben sanno, tra la decisione di consegnare materiale bellico e l’effettivo impiego sul fronte passano molti mesi. Proprio ieri parlando al Congresso degli Stati Uniti, il sottosegretario alla Difesa per le policy, Colin H. Kahl, ha detto che lo schieramento in Ucraina di eventuali F-16 concessi dagli Usa potrebbe richiedere fino a 18 mesi, considerando non solo la preparazione dei piloti, ma anche del sistema logistico per consentirne l’uso, convertendo le vecchie basi di epoca sovietica agli standard occidentali in numerosi aspetti di ogni genere, dai magazzini, alle reti elettriche e quelle informatiche. Cautela, dunque, e necessità di separare l’indubbio peso politico del tema dalla sua effettiva introduzione sul campo di battaglia.

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