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Competitività e politica. Cosi l’Ue ha parlato di Cina in Consiglio

Di Otto Lanzavecchia e Emanuele Rossi

Anche se le dinamiche dell’accordo sugli investimenti con la Cina non saranno riavviate dal Consiglio europeo, la postura riguardo Pechino è parte delle discussioni dei leader Ue a Bruxelles. L’Europa pensa ai propri interessi e alla competitività globale del blocco, guardando anche a Washington

Sul tavolo del Consiglio europeo, la Cina è uno degli argomenti in discussione in quanto parte del disegno di insieme che tocca direttamente l’Europa, anche riguardo all’economia e alla competitività globale del blocco, spiega una fonte informata sulle discussioni. E la questione cinese a Bruxelles non è tranquilla, come raccontavano già alcuni rumors su differenti visioni da parte dei leader europei a proposito del cosa fare con Pechino.

Lo testimoniano alcune dichiarazioni rese alla stampa dai vari presenti al Consiglio europeo riguardo all’incontro tra Xi Jinping e Vladimir Putin o sul ruolo che il primo potrebbe giocare come mediatore del conflitto russo in Ucraina. Tra l’altro, val la pena ricordare subito che lo spagnolo Pedro Sanchez è in partenza per Pechino con l’obiettivo non troppo nascosto di avere da Xi dettagli sull’impegno che la Cina può mettere in campo e novità sulle posizioni di Putin dopo il vertice di Mosca.

Scongelare i rapporti?

Parlando durante il Consiglio europeo da invitato esterno, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, avrebbe chiesto ai leader europei di non “isolare” la Cina ma di procedere a una serie di contatti, visto che – ha detto – la Cina è disposta a ravvivare il dialogo. Allo stato attuale, dopo il viaggio del tedesco Olaf Scholz alla fine dello scorso anno e quello di Sanchez il 30 e 31 marzo, ci sarà quello di Emmanuel Macron previsto per il 14 aprile — e il francese ha chiesto di essere accompagno dalla presidente della Commissione, Ursula von der Leyen. Successivamente dovrebbe toccare alla presidente del Consiglio Giorgia Meloni viaggiare a Pechino, facendo seguito all’invito che Xi gli fatto durante il G20 di Bali. L’Hr/Vp Josep Borrell dovrebbe invece fare tappa in Cina quando a metà aprile si recherà in Giappone per la ministeriale del G7.

Tra Pechino e Bruxelles pendono dossier importanti, come per esempio l’accordo di investimento Ue-Cina che è congelato dal 2021 — come misura di tit-for-tat dopo che la Repubblica popolare aveva sanzionato alcuni europarlamentari e alcune entità europee che avevano preso posizioni contro la campagna di rieducazione degli uiguri organizzata da Pechino nello Xinjiang.

“Ci sono voci che girano a Bruxelles e in altre capitali europee, secondo le quali la Cina avrebbe fatto una ‘offerta’ all’Ue: la Cina revocherebbe le sanzioni imposte a 10 europei e a 4 entità due anni fa, se l’Ue garantisse la ratifica dell’accordo sugli investimenti attualmente accantonato”, ha scritto in un tweet mercoledì Reinhard Bütikofer, presidente della delegazione del Parlamento europeo sulla Cina (uno tra i sanzionati). Il politico tedesco ha tirato in ballo il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che a suo dire sta “spingendo” per discutere — e sistemare — quell’accordo, noto come Cai. “A chi è stata fatta questa proposta insultante? Al presidente del Consiglio europeo, quando ha visitato la Cina? Perché sta spingendo per includere il Cai in una futura agenda del Consiglio europeo?”, ha aggiunto Bütikofer.

L’Ue studia Pechino…

La questione Cai non è stata parte centrale delle discussioni, citata più che altro come esempio per ragionare su come l’Ue dovrebbe essere più efficace, secondo le fonti. Ma chiaramente l’aspetto commerciale con la Cina è componente di una partita ampia che passa anche dalle questioni che ruotano attorno alla risposta europea all’Inflation Reduction Act — che i partecipanti al Consiglio Ue hanno appoggiato — e delle relazioni Russia-Cina. Ossia della futura postura politica che il blocco dovrà tenere in mezzo al crescente scontro tra potenze. Possibile che il Consiglio avanzi la proposta di (ri)avviare una riflessione sul Cai alla Commissione e all’European External Action Service, ha spiegato un funzionario europeo a Stuart Lau di Politico.

L’ultima volta che il Consiglio europeo ha ri-discusso della Cina è stato in ottobre, quando i leader dell’Ue hanno iniziato a chiedere il “de-risking”, aprendo la strada a un graduale ripensamento delle relazioni a lungo termine con la Cina. Ripensamento che procede: per esempio, nei giorni scorsi la ministra della Ricerca tedesca è stata in visita a Taiwan e il collega delle Finanze, Christian Lindner, falco anti-Cina e leader del partito liberale Fdp, ha commentato: “Il prezzo della cooperazione con la Cina non deve essere la graduale perdita di democrazia e libertà in tutto il mondo”. Non banale per il Paese che sotto Angela Merkel aveva promosso vigorosamente il Cai.

Da quanto emerge, Michel sarebbe aperto al colloquio ma non vorrebbe spingere eccessivamente. E queste mosse vanno contestualizzate nel più ampio quadro internazionale. Va ricordato che il Cai fu costruito anche come una sorta di mossa di anticipo, qualche settimana prima dell’insediamento di Joe Biden e dopo quattro anni di frizioni transatlantiche, sia politiche che industriali, sotto la presidenza Trump. Ora Washington — che ha ricostruito il legame con l’Ue anche grazie alla risposta coesa contro l’invasione russa — potrebbe pressare per evitare la riapertura del dossier in una prova di fiducia e compattezza. E trovare un’Ue molto più disposta ad ascoltarne le ragioni.

…ma pensa a Washington

L’allineamento politico-industriale tra Ue e Usa è in fase di piena espansione. A gennaio, parlando a Davos, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha minimizzato le frizioni legate all’Ira e sottolineato la necessità di de-risking nei confronti della Cina. Nel mentre si è rinsaldato l’asse tra Washington e le capitali europee sul versante delle materie prime critiche. Diversi Paesi europei, tra cui l’Italia, fanno già parte del Partenariato per la sicurezza dei minerali a guida Usa, che assieme agli alleati mirano a creare un “club di acquirenti” di materie prime critiche tra Paesi democratici L’obiettivo è condiviso: proteggersi dallo strapotere della Cina.

Una volta approvati, i pacchetti-legge presentati dall’Ue la scorsa settimana costituiranno la risposta sia all’Ira che alla Cina. Con un importante distinguo: cooperazione e complementarietà rispetto a Washington, e protezionismo rispetto a Pechino. Per esempio, la bozza prevede di declassare le proposte all’interno di una gara di appalto che utilizzano prodotti provenienti da un Paese con una quota di mercato Ue superiore al 65%; la Cina controlla oltre l’80% del mercato per il fotovoltaico europeo e si è attrezzata per limitarne l’esportazione.

In ultima analisi, l’Ue ha adottato questa linea grazie alla rinnovata attenzione del posto dell’Europa nel mondo e la necessità di sostituire il processo decisionale guidato dal mercato con la pianificazione strategica, basando quest’ultima sui valori democratici – una questione pragmatica, relativa alla sicurezza delle supply chain, oltre che ideologica. Questo ha portato a un naturale allineamento con gli Usa anche in altri ambiti. Non è un caso che i Paesi europei, dopo anni di pressioni statunitensi, si siano mossi per limitare TikTok e imporre controlli sulle esportazioni di apparecchiature per la produzione di semiconduttori. L’idea di fondo è la stessa: con la transizione da portare a compimento e un equilibrio internazionale sconquassato, serve scegliersi oculatamente i partner.

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