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La Cina fa sul serio in Medio Oriente? Gli appunti di Scita

Per Scita (Bourse & Bazar), l’intesa tra Riad e Teheran mediata da Pechino va anche letta nel contesto più ampio delle attività di politica estera della Cina. La Repubblica popolare si rivolge al Global South, cercando di muovere equilibri anche tra gli scontenti dell’eccessiva attenzione data dall’Occidente all’invasione russa dell’Ucraina

L’accordo tra Iran e Arabia Saudita firmato a Pechino fa riemergere il tema riguardo al ruolo della Cina in Medio Oriente e più in generale in quello che l’Italia individua come “Mediterraneo allargato”, il vicinato della Penisola. Ciò che accade è da seguire con molta attenzione perché muove diverse dinamiche e questo coinvolgimento cinese – di cui nelle prossime settimane si verificheranno pesi e capacità – tocca direttamente anche gli interessi italiani.

Perché ci deve interessare?

Sebbene è sempre sbagliato leggere gli affari internazionali con la sola lente italiana, questo è un caso particolare sia per dossier geopolitici toccati, sia per tempistica. Nelle prossime settimane, per esempio, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni potrebbe andare in visita a Riad, mentre prima dell’estate sarà alla Casa Bianca. E poi: quando andrà a Pechino seguendo l’invito ricevuto al G20 da Xi Jinping?

Queste visite sono importanti perché tracciano una traiettoria di relazioni ed equilibri, come nel caso del viaggio in India-Emirati e dell’incontro a Roma col primo ministro di Israele. Per non parlare poi dell’attenzione che Paesi come il Giappone e la Corea del Sud stanno dando all’area Medio Oriente-Nord Africa. In definitiva, tutte le nazioni coinvolte negli effetti che interessano e toccano l’accordo tra Riad e Teheran sono Tier-1 nelle relazioni internazionali italiane.

Non sopravvalutare la Cina

La Cina ha dimostrato di non essere più un attore solo economico-commerciale, ma cerca di agire in Medio Oriente anche come figura politica. O almeno dimostra che, volendo, tale può essere. Tuttavia, è probabile che Pechino difficilmente – almeno per ora – si impegnerà a fondo e non si lascerà coinvolgere in cose molto grosse, complicate e senza successi pratici e raggiungibili.

Per esempio: l’accordo tra Iran e Arabia Saudita era già stato mediato da almeno due anni (in realtà gli omaniti lavoravano per ricucire il possibile sin dalla rottura delle relazioni nel 2016). Quello che sorprende in effetti non è l’accordo in sé dunque, ma la volontà della Cina di sponsorizzarlo. Perché significa farsene in qualche modo garante.

“La Cina ha avuto una gran risultato diplomatico, giocando di opportunismo: Iran e Arabia Saudita hanno permesso a Pechino di mettere il punto nel processo negoziale, ma se i cinesi non avessero avuto la certezza che qualcosa di positivo sarebbe uscito, difficilmente si sarebbero esposti così”, commenta Jacopo Scita, analista di Bourse & Bazar Foundation, tra i principali esperti europei di relazioni sino-iraniane. “È successo qualcosa di simile nel 2013, quando i cinesi sono entrati nel Jcpoa dopo l’accordo ad interim e contemporaneamente all’ascesa al potere di Xi, capendo che l’intesa sul congelamento del programma nucleare iraniano si sarebbe trovata”, spiega a Formiche.net.

Sulle questioni difficili che farà la Cina?

Nell’accordo Teheran-Riad si parla per esempio di evitare ingerenze reciproche e interferenze regionali, ma sappiamo che parte dell’influenza iraniana nella regione si snoda su assi di ingerenza/interferenza mossi tramite le milizie sciite. Organizzazioni politico-militari con cui la Repubblica islamica proietta i propri interessi in Libano, Yemen, Iraq, Siria, Afghanistan (e in modo diverso ma non troppo in Israele). Queste sono portatrici di un pensiero anti-occidentale e anti-sunnita che smuove sentimenti e attività a detrimento dei Paesi del Golfo. 

E dunque: cosa succederà se le milizie filo-iraniane, parte di un sistema di controllo che sfugge spesso al governo e fa riferimento al mondo dei Pasdaran, non deporranno l’ascia di guerra o porteranno avanti altre attività di interferenza? La Cina in quel caso striglierà l’Iran chiedendo il rispetto dell’intesa, oppure a sua volta non interferirà negli affari dell’Iran? “I cinesi non hanno paura del danno reputazionale se le cose dovessero andare male, anche perché sanno che quello che è stato avviato nei giorni scorsi è il momento iniziale di un processo. Inoltre, per quanto credo, Pechino non si lascerà coinvolgere nelle questioni più spinose. Come per esempio difficilmente si ergerà a mediatore attivo di una qualche intesa tra Israele e Palestina, per parlare di un dossier mediorientale piuttosto infuocato da cui si terranno alla larga”.

Gli Usa soffrono quanto accaduto?

Da diversi angoli il ruolo cinese è visto come un fallimento americano, anche con l’obiettivo di spingere determinati interessi. Tuttavia è abbastanza chiaro che gli Stati Uniti rimangano il principale player mediorientale ancora adesso, nonostante la volontà di ritiro strategico dalla regione. Con ogni probabilità di questo sono consapevoli a Riad in primis, e poi anche a Teheran e Pechino.

Secondo Scita, quanto successo non cambia le situazione nel breve periodo, “anche perché non è nell’attuale interesse strategico cinese sostituirsi agli Stati Uniti”. “Trovo per altro sbagliata l’idea di chi crede che l’Arabia Saudita si sia rivolta alla Cina per mediare l’intesa come reazione contro Washington, qualcosa del tipo ‘non ci danno abbastanza allora andiamo dalla Cina’. Piuttosto, Riad è ormai consapevole della realtà multipolare in corso: la Cina è un attore presente, se i suoi interessi si incrociano con altri allora si possono aprire opportunità che vengono colte. Tutto sta diventando più fluido nella regione”, aggiunge Scita.

A chi si rivolge Pechino?

In segno della crescente influenza della Cina, tutte le parti hanno concordato di non utilizzare l’inglese nei negoziati, con discorsi e documenti condotti in arabo, farsi o mandarino. È stato un altro messaggio formale diretto a Washington, dove l’amministrazione Biden è stata per certi versi messa alle strette dall’opportunismo cinese: difficile per gli Stati Uniti dire qualcosa contro l’accordo raggiunto – anche perché rispecchia parte dei propri interessi di mettere in ordine la regione. Seppure gli americani osservano le evoluzioni con interesse e logico scetticismo.

Ma al di là di questo, Scita fa notare un passaggio nella dichiarazione con cui Wang Yi, il capo della diplomazia del Partito/Stato cinese presente alla firma iraniano-saudita, ha raccontato l’intesa. “Non c’è solo l’Ucraina nel mondo”, ha detto l’alto funzionario di Pechino: “È molto interessante questo passaggio – spiega l’esperto di Bourse & Bazar – perché il tutto deve essere letto nel contesto più ampio delle attività di politica internazionale cinese. Pechino si rivolge a tutti quegli scontenti, molti appartenenti al cosiddetto Global South, a cui la concentrazione occidentale sulla guerra russa in Ucraina sembra essere eccessiva, a detrimento dei propri interessi, e rischiosa”.

E mentre Wang cercava di dimostrare come la Cina fosse interessata a mantenere gli equilibri globali, è uscita la notizia dell’imminente visita di Xi a Mosca e del passaggio di ritorno per Kiev, per la prima volta dall’inizio della guerra, per incontrare il presidente Volodymyr Zelensky – che aveva già accolto positivamente un possibile coinvolgimento cinese nello spingere la Russia a fermare l’invasione. Non è chiaro tuttavia quanto la Cina possa andare a fondo su questo complicatissimo dossier. Washington ha alzato l’attenzione sui vari link russo-cinesi dipingendo Pechino come un attore fazioso.

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