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Balzo tecnologico cinese. Il report Aspi che le democrazie occidentali devono leggere

Dal Critical Technology Tracker emerge come Pechino detiene una supremazia in 37 tecnologie sulle 44 analizzate. Rischia di allargare il suo monopolio anche su quelle del futuro, lasciando le briciole all’Occidente. Che ha una sola opzione: rafforzare la propria alleanza

La Cina è sempre più leader mondiale del settore tecnologico, a discapito degli Stati Uniti e delle altre democrazie occidentali. È quanto emerge dall’ultimo rapporto del Critical Techonlogy Tracker di Aspi (Australian Strategic Policy Institute), un faro che monitora alcune delle tecnologie più importanti, il Paese che ne detiene il vantaggio e il rischio monopolio che si corre. Pechino domina in 37 sui 44 strumenti analizzati da Aspi, che spaziano dai materiali avanzati all’Intelligenza Artificiale, dall’energia e la biotecnologia allo spazio e la difesa. Un segnale per l’Occidente o, come scritto nel report, “un campanello d’allarme” molto forte che deve essere ascoltato con attenzione.

Sì, perché da quanto emerge la Cina sta correndo a velocità doppia degli altri. Negli ultimi cinque anni il suo sviluppo è stato miracoloso, arrivando a superare gli Stati Uniti sotto molteplici aspetti. Washington mantiene ancora un vantaggio su informatica avanzata, quantistica e ricerca medica, come quella suoi vaccini – molto più efficaci rispetto a quelli prodotti nei laboratori cinesi. Settori importanti, ma se confrontati con quelli cinesi ancora troppo pochi.

“Se uno strumento come il Critical Technology Tracker di Aspi avesse raccolto e analizzato questi dati due anni fa, il forte interesse di Pechino e i suoi risultati di ricerca in questo settore sarebbero stati più facilmente identificati e tali progressi tecnologici sarebbero stati meno sorprendenti. Infatti, secondo la nostra analisi dei dati, negli ultimi cinque anni la Cina ha generato il 48,49% dei lavori di ricerca ad alto impatto a livello mondiale sui motori aeronautici avanzati, compresa l’ipersonica, e ospita sette dei primi 10 istituti di ricerca al mondo in questo settore”, si legge nell’introduzione.

Pechino ha un vantaggio a rischio monopolio “alto” in sette settori: materiali e produzione su scala nanometrica, rivestimenti, comunicazioni avanzate e radiofrequenze che includono il 5G e il 6G, idrogeno e ammoniaca da trasformare in energia, supercondesatori, biologia sintetica e sensori fotonici.

Lo stato dell’arte è che c’è una superpotenza (Cina), un’altra che insegue (Stati Uniti) e altre contendenti che non riescono a stare minimamente al loro passo, seppur stiamo parlando di Stati come Corea del Sud, Germania, Australia, Italia e in parte minore il Giappone. “È importante cercare di colmare questa lacuna in modo da non affrontare un futuro in cui uno o due Paesi dominano industrie nuove ed emergenti”, si legge nel report. È già successo qualcosa di simile con il 5G dove la Cina ha messo il suo marchio. A lungo termine, la sua posizione di leader nella ricerca scientifica farà sì che il Dragone si imponga “per eccellere non solo nell’attuale sviluppo tecnologico in quasi tutti i settori, ma anche nelle tecnologie future che ancora non esistono”.

Il che è un problema, perché molto spesso il modo in cui la Cina le sviluppa viene tenuto nascosto, così come opache sono gli scopi per cui se ne servono. Il presidente Joe Biden sta provando a staccare la spina, limitando fortissimamente le esportazioni tech verso Pechino, anche a costo di sacrificare parte dei ricavi delle stesse aziende statunitensi. Seppur drastica come reazione, che rischia di esacerbare ancor di più i rapporti già tesi, è pur sempre una risposta. Di soluzioni differenti per colmare questo divario, ne ha tuttavia elencate anche Aspi.

Prima di tutto, prendere coscienza che l’Indo-Pacifico sarà la regione del futuro, dove già oggi vengono pensate e perfezionate le maggiori scoperte tecnologiche. Ci sono già alleanze in questo senso, ma serve forse di più. Ciò che viene suggerito ai governi da parte del report è molto chiaro.

Con un incremento di neanche un punto percentuale del proprio Pil, che equivale a somme comunque considerevoli, potrebbero finanziare: visti tecnologici, “friend-shoring” e scambi di ricerca tra Paesi amici; dare maggiore risalto e attenzione agli studenti delle materie tech, supportandoli con borse di studio specializzate; incentivare gli sforzi per le nuove tecnologie emergenti e rafforzare la partnership pubblico-privata per favorire maggiori opportunità.

Il messaggio è sempre lo stesso, insomma, sebbene sia tutt’altro banale da ripetere: unire le forze, laddove da soli non si arriva.



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