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Come gestire la crisi migratoria. Scrive Sisci

C’è un quadro estremamente articolato e complesso dove certo non si può pensare di fermare tutto all’ultimo miglio. Se anche si avesse successo lì, ciò sarebbe quasi casuale. Ci vuole un pensiero sistemico altrimenti il Paese è travolto

Da un punto di vista dello Stato italiano, al netto delle responsabilità, dei ritardi, della confusione di chi doveva intervenire, quando e perché non è avvenuto, ci sono forse questioni più generali da considerare sulla tragedia di Crotone. Altrimenti diventa una palude da cui non si esce fuori.

Gli immigrati che arrivano in Italia non sono un semplice problema di politica interna. Essi sono come un flusso d’acqua che va regolato e chiuso alla sorgente. Altrimenti è come cercare di svuotare una vasca d’acqua con un cucchiaio mentre il rubinetto è ancora aperto: l’acqua travaserà ben prima che il cucchiaio sia stato utile. Ciò senza contare che lo sviluppo economico sociale e di sicurezza dell’Africa in generale serve ad arginare i flussi. Lo sviluppo dell’Africa è questione di lungo termine e non può avvenire senza un coordinamento con Paesi europei e gli Usa. Quindi, per lo scopo immediato potremmo metterlo da parte.

Oggi, praticamente, il primo flusso da controllare è quello sul Mediterraneo il che significa avere l’appoggio e il coordinamento del Paese più prossimo dall’altro lato del mare, cioè la Tunisia. Sulla Tunisia grava l’ombra politica della Francia, quindi oltre che con Tunisi bisogna parlare con Parigi, e visto che in Africa il Regno Unito, come gli Usa, sono attori importanti un passaggio su Londra e Washington non sarebbe inopportuno.

Altro punto è la Libia, Paese frazionato dove potenza di tutela è la Turchia, con una forte influenza dell’Egitto nella parte orientale. Perciò occorre coordinarsi con Ankara e il Cairo. C’è la vicenda controversa delle navi delle Ong sostenute da Germania, Olanda e altri Paesi, quindi bisogna parlare con quei governi. C’è il rebus generale del confine europeo nel Mediterraneo e della redistribuzione eventuale degli immigrati e allora si deve parlare con Bruxelles.

Con questo si arriva a controllare il flusso delle persone che attraversano il mare di sabbia e di morte del Sahara e che dalla Libia, terra sbandata, poi fanno pressione per uscire sul mare. Così per arginare il peso sulla Libia bisognerebbe discutere con i Paesi dell’Africa Subsahariana.

Gli emigrati sono spesso non i più poveri ma quelli che cominciano ad avere qualcosa da investire e pagano il loro viaggio disperato in due tranches, una per valicare il deserto l’altra per solcare il Mediterraneo. Gli schiavisti sono forse organizzazioni unitarie, o con fili di unità, che prendono in carico i migranti dal luogo di origine alla destinazione e probabilmente tutelano il proprio “investimento” tenendo in ostaggio il resto della famiglia nel luogo di partenza.

C’è allora un quadro estremamente articolato e complesso dove certo non si può pensare di fermare tutto all’ultimo miglio. Se anche si avesse successo lì, ciò sarebbe quasi casuale. Ci vuole un pensiero sistemico altrimenti il Paese è travolto.

I funzionari del ministero degli Interni, le procure, in altre parole non possono sostituirsi e assumersi un compito che ricade sugli Esteri. Serve pensiero ancora prima che azione, è il vero punto della questione al di là delle dichiarazioni più o meno improvvide del ministro degli Interni. Marco Minniti al Viminale aveva cercato di coordinare esteri e interni; può avere fato bene o male, ma forse era una esperienza su cui cominciare a muoversi.

Da un punto di vista politica interna è la prima grande prova per la neo segretaria del Pd Elly Schlein. Le è stata offerta un’occasione su un piatto d’argento per mettere in difficoltà il governo se interviene con saggezza e rigore. Se sbaglia si taglia le gambe. Il nodo della immigrazione è delicato e controverso. Agli italiani non piacciono le bare bianche sulle spiagge ma nemmeno i neri che chiedono l’elemosina in città.

Il governo, oggi argine dell’alleanza atlantica in un Paese attraversato da mille fobie e furie politiche, non cadrà forse prima della fine della guerra in Ucraina. Metterebbe a rischio l’intera alleanza. Sarebbe improvvido per Schlein, cittadina americana oltre che italiana e svizzera, oggi fare un favore alla Russia. Però dopo la guerra non si sa, e non si sa quando finirà la guerra. Se lei sbaglia oggi, il Pd correrà tutto in salita dopo.

Per il governo invece forse è altro. Si tratta di creare una impalcatura nazionale per affrontare la migrazione, al di là di questo o di un futuro esecutivo. Perciò forse occorre coinvolgere anche le opposizioni.
Senza impalcature di pensiero, i migranti, i morti, le bare, i mendicanti restano banderuole per attrarre consensi elettorali. Va tutto bene, ma nel frattempo resta poco del Paese.


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