“Non solo Israele e Turchia, Roma deve investire risorse e idee su Beirut. I libanesi ci guardano sempre con simpatia, ora hanno bisogno di alimenti e farmaci”. Conversazione con l’analista e docente al Sacro Cuore, nel giorno in cui il premier Miqati incontra Giorgia Meloni e papa Francesco
Un Paese sprofondato nel più totale disastro, finanziario e sociale che, pur avendo siglato un fondamentale accordo sulla zee con Israele, rischia di non avere un governo in grado metterlo in pratica. Per questa ragione Roma potrebbe sostenere Beirut alla voce alimenti e sanità, anche per strutturare una partnership con un Paese ampiamente alla nostra portata che ci guarda con simpatia. Lo pensa il prof. Vittorio Emanuele Parsi, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, di cui è uscito per Bompiani “Il posto della guerra e il costo della libertà”, che nel giorno dell’incontro del premier Miqati con Giorgia Meloni e papa Francesco traccia un’analisi sia su bisogni e rischi del Libano, sia sul ruolo italiano in loco nell’ottica della generale strategia nel nord Africa con il piano Mattei.
Inflazione, esplosione del porto di Beirut e crisi del grano post invasione dell’Ucraina: il Libano è a un punto di rottura?
È nel più totale disastro, perché da diversi anni la situazione sta lentamente precipitando. Grossomodo dal 2014, c’è stata anche l’emergenza rifiuti a peggiorare un quadro di per sé delicato, in seguito il cambiamento della situazione politica internazionale lo ha messo in una posizione sempre più fragile.
Per quali ragioni?
Perché gli allineamenti tra Iran, Russia e Turchia hanno ridotto la capacità di Hezbollah di trovare un appoggio concreto sia dalla Siria, che è continuamente sotto scacco, sia dall’Iran stesso che deve moderare la sua azione in quel Paese nel quadro degli accordi sottobanco presi con la Russia e che riguardano anche il non esasperare la situazione con Israele. Quindi essendo Hezbollah l’attore politico considerato più importante nel Paese, questo suo indebolimento non ha rafforzato qualcun altro. Inoltre la situazione è veramente disperata dal punto di vista finanziario: come è noto il Libano è fallito e i cittadini non possono avere accesso ai loro depositi.
Israele e Libano hanno da poco raggiunto un accordo sulla zee per il gas: Hezbollah punta a contrastarlo?
Contrastarlo è complicato, anche perché quell’accordo rappresenta una delle poche luci in fondo al tunnel per il Paese. Il problema maggiore è che un Libano in queste condizioni rischia di non essere in grado di cogliere l’opportunità energetica: l’accordo con Israele è molto rilevante, poiché risolve anche la definizione di un confine marittimo che per anni era stato contestato. Tutto sommato rischia di restare lettera morta, perché per poter sfruttare i giacimenti deve esserci un governo in grado di prendere accordi con i partner regionali e con gli operatori economici internazionali. Il paradosso è che, persino nel momento in cui potrebbe esserci un’entrata così consistente, che comunque non è imminente, non venga colta l’unica speranza nella storia recente libanese. In passato quando c’erano da utilizzare nuove risorse, e quindi rimettere in funzione tutte le loro greppie e le loro clientele, le fazioni libanesi hanno sempre trovato una forma di accordo. Ma stavolta è più complicato.
Secondo l’esercito israeliano l’attentatore di lunedì scorso è sospettato di provenire dal Libano…
Forse riconducibile a qualche fazione palestinese, magari vicina ad Hamas, proveniente da qualche campo profughi. Più probabile di Hamas rispetto a Hezbollah, che non ha quella modalità d’azione.
Quale può essere il ruolo italiano in loco e come stimolarlo nell’ottica della generale strategia italiana nel nord Africa con il piano Mattei?
L’Italia, per molti anni, ha avuto una presenza in loco e tuttora ne ha una militare importante con Unifil, ma non è riuscita a metterla a regime. Ciò, evidentemente, per le note difficoltà politiche italiane a portare a termine, in maniera complessiva, le diverse azioni che vengono condotte. Il Libano è un Paese ampiamente alla portata di un’azione politica italiana duratura, però la politica italiana non ha mai guardato al Libano con particolare interesse, preferendo Turchia e Israele: spesso stiamo più attenti ad altri Paesi nella regione che non al Libano. Un vero peccato perché i libanesi hanno sempre guardato con simpatia all’Italia, dal momento che noi non abbiamo un passato coloniale nel Levante, diversamente ad esempio dai francesi.
Cosa potrebbe fare in concreto l’Italia?
Potremmo lavorare in due direzioni: stabilizzare la situazione finanziaria e sostenere la popolazione con generi di prima necessità e con un aiuto di carattere sanitario. Va ricordato che la sanità in Libano è privata, per cui in questo momento moltissimi cittadini libanesi non hanno accesso alle cure mediche essenziali. Questi interventi sono alla portata dell’Italia e non avrebbero neanche un costo elevato. Penso che potremmo lavorare con i libanesi nella prospettiva di sfruttare insieme la loro parte delle risorse di gas al largo del Mediterraneo.
É sotto la chiave solidaristica che va letto l’incontro in Vaticano tra il premier Miqati e Papa Francesco?
Il Vaticano ha sempre avuto un’attenzione particolare al Libano, perché era una delle poche zone del Levante in cui fosse rimasta una significativa presenza cristiana. I cristiani non sono più una maggioranza relativa da molto tempo, ma restano una cospicua minoranza. Non ci sono nel paese censimenti per via dell’assegnazione settaria, in base alle quote, delle varie cariche istituzionali. I cristiani rimasti sono comunque intorno al 30%, forse qualcosa di più, quindi è chiaro che il Papa presta molta attenzione a questo paese anche perché in tutto il resto del Levante la situazione per le minoranze cristiane è stata devastante negli ultimi vent’anni.
@FDepalo