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Cosa dicono gli esperti dell’intesa Riad-Teheran mediata (anche) dalla Cina

L’intesa tra Iran e Arabia Saudita mediata dalla Cina è un esempio del nuovo Medio Oriente post-americano? Non è detto che per Washington non ci siano vantaggi. I commenti di Dubowitz e Goldberg (Fdd), Rudolf (Yale Law School), Sadjadpour (Carnegie), Soliman (Mei), Lons (Iiss), Shihabi, Parsi (Quincy Institute)

L’Iran e l’Arabia Saudita hanno concordato di ripristinare le relazioni diplomatiche venerdì e di riaprire le rispettive ambasciate in un accordo mediato dalla Cina, che incassa i frutti di un dialogo diplomatico avviato pubblicamente due anni fa e guidato da Iraq e Oman – in cooperazione con Usa e Ue. Teheran e Riad hanno interrotto le relazioni diplomatiche nel 2016, quando il regno ha tagliato i ponti dopo che alcuni manifestanti avevano invaso le sedi diplomatiche saudite in Iran – una protesta in seguito alla condanna a morte di un chierico sciita.

Si tratta di un’evoluzione molto importante sia a livello regionale che internazionale. La Repubblica islamica sciita iraniana e il regno sunnita saudita sono arci-rivali ideologici, e questa rivalità è uno degli elementi di fondo che da decenni caratterizza la geopolitica mediorientale. Inoltre, l’inclusione nella Cina nel dossier di mediazione rappresenta un’evoluzione delle attività di Pechino, che – visto il contesto globale di rivalità – richiama l’attenzione di Washington.

L’intesa vista da Washington

L’accordo arriva in una fase storica in cui i Paesi arabi del Golfo percepiscono che gli Stati Uniti si stanno ritirando lentamente dal Medio Oriente, lasciando un vuoto di potere che potrebbe essere colmato dalla Cina, uno dei principali clienti di petrolio e prodotti petroliferi degli Stati del Consiglio di Cooperazione del Golfo e dell’Iran. La politica dell’amministrazione Biden in Medio Oriente è stata guidata dai tentativi di rientrare nel Piano d’azione congiunto globale (Jcpoa) — l’intesa per congelare il programma nucleare iraniano — e di “costruire sugli Accordi di Abramo”, la normalizzazione arabo-israeliana in cui il sogno geopolitico è includere Riad.

La mossa di Pechino

A febbraio, il presidente iraniano, Ebrahim Raisi, e un’ampia delegazione hanno visitato Pechino, dove hanno firmato 20 accordi di cooperazione in materia di commercio, agricoltura ed energie rinnovabili. Hanno inoltre chiesto congiuntamente la revoca delle sanzioni all’Iran. Questo incontro ha fatto seguito alla visita del presidente cinese Xi Jinping in Arabia Saudita a dicembre. È probabile che la Cina abbia percepito concretamente la possibilità di ottenere un successo diplomatico dalle trattative portate avanti da Iraq e Oman, e convinto iraniani e sauditi a firmare a Pechino l’intesa. Una mossa che potrebbe aver incontrato forme di interesse da parte di tutti e tre gli attori presenti al tavolo dell’accordo.

Lose, Lose, Lose per gli Usa?

“Il rinnovo dei legami tra Iran e Arabia Saudita come risultato della mediazione cinese è un lose, lose, lose per gli interessi americani. Dimostra che i sauditi non si fidano che Washington copra loro le spalle, che l’Iran vede l’opportunità di staccarsi dagli alleati americani per porre fine al suo isolamento internazionale e che la Cina si afferma come il principale attore della politica di potenza mediorientale”, commenta Mark Dubowitz, direttore generale della Foundation for Defense of Democracies (Fdd). “Questo è l’ultimo investimento di Riad come risultato diretto della politica degli Stati Uniti. Una copertura contro [il rischio] di revoca delle sanzioni e il ritorno all’accordo nucleare. E una copertura contro il ritiro degli Stati Uniti dalla regione, grazie all’ingresso in una nuova architettura mediorientale promossa dalla Cina”, aggiunge Richard Goldberg, senior advisor della Fdd. Per Washington tuttavia resta ancora il grande spazio politico-diplomatico di mediare la normalizzazione tra Riad e Gerusalemme e i conseguenti riflessi sulle politiche di sicurezza regionali.

La Cina è un peso massimo politico?

“Pechino sta diventando un peso massimo politico in Medio Oriente? La Cina sta diventando una forza globale nel campo della risoluzione dei conflitti internazionali?”, si chiede Moritz Rudolf, ricercatore del Paul Tsai China Center della Scuola di Legge di Yale. “Lo scorso dicembre, Xi Jinping si è recato a Riad per partecipare al primo vertice China-Arab States. Durante l’evento, le parti hanno concordato di costruire una ‘China-Araba Community con un futuro condiviso nella nuova era’, il che significa una più stretta cooperazione economica e politica”. Rudolf ricorda che il documento sulla politica araba della Cina, risalente al 2016, fornisce ancora un buon riferimento per le priorità della Cina nella regione. La chiave è il cosiddetto modello di cooperazione “1+2+3”.

La cooperazione energetica è il fulcro (1), La costruzione di infrastrutture e la facilitazione del commercio e degli investimenti sono le due ali (2); a questi si aggiungono i progressi nei tre settori ad alta e nuova tecnologia: energia nucleare, aerospazio e nuove energie (3). Inoltre, Rudolf ricorda che il 16 febbraio si è svolta a Hong Kong la cerimonia di inaugurazione dell’Ufficio preparatorio dell’Organizzazione internazionale per la mediazione: “Si tratta della prima organizzazione giuridica intergovernativa al mondo dedicata alla risoluzione delle controversie internazionali attraverso la mediazione. Riassumendo: mentre le tensioni con gli Stati Uniti sono in costante aumento, Pechino è molto attiva e sempre più efficace nei suoi sforzi di sensibilizzazione verso il Medio Oriente”.

Cosa ha mosso l’accordo?

Secondo Karim Sadjadpour del Carnegie, la Cina vuole stabilità in Medio Oriente per garantire il libero flusso di energia dalla regione. La distensione tra due potenze regionali e grandi produttori di energia è fondamentale per raggiungere questi obiettivi. L’Iran invece, profondamente isolato, umiliato da mesi di proteste e fortemente dipendente dalla Cina dal punto di vista strategico/economico vede l’accordo come boccata d’aria sull‘isolamento, a cui aggiungere un aumento della legittimità del regime e il rafforzamento dell’influenza regionale della Cina a scapito degli Stati Uniti. L’attacco del 2019 alla Saudi Aramco ha insegnato a Riad che gli Stati Uniti non possono proteggerli dall’Iran: data l’enorme influenza della Cina sull’Iran e il suo interesse per la stabilità regionale, i sauditi probabilmente sperano che questo accordo fornisca uno scudo cinese contro l’aggressione iraniana. “Nonostante questi interessi comuni, la storia recente, in particolare gli accordi di Oslo e il JCPOA, ci insegna ad essere cauti sull’impatto degli accordi di pace in Medio Oriente. Tra Teheran e Riad permane una profonda sfiducia che non si placherà presto”, aggiunge però Sadjadpour, secondo cui al di là delle varie questioni che restano aperte, “questo accordo è forse il primo grande esempio diplomatico di un Medio Oriente post-americano”.

Ma gli Usa ci sono ancora?

Secondo Mohammed Soliman del Middle East Institute, “i policymaker statunitensi probabilmente provano emozioni contrastanti perché, pur non essendo desiderosi di cedere l’influenza su importanti negoziati regionali con implicazioni per la sicurezza, le travagliate relazioni degli Stati Uniti con l’Iran li avrebbero resi un mediatore povero e inefficace di questa distensione. Dopo aver fallito nel tentativo di rilanciare il Jcpoa, Washington potrebbe accettare con riluttanza che la Cina era in una posizione migliore degli Stati Uniti per garantire questo accordo. La relazione tra Stati Uniti e Arabia Saudita può ancora essere considerata forte, come dimostra la richiesta saudita di garanzie di sicurezza e di aiuto per lo sviluppo del programma nucleare civile”. Soliman fa parte delle condizioni che Riad ha avanzato a Washington per normalizzare i rapporti con Israele.

E i rischi in ballo?

Secondo Camille Lons dell’International Institute for Strategic Studies, ”Arabia Saudita e Iran offrono enfasi aggiunta alla vittoria [diplomatica] della Cina, e la Cina si trasforma improvvisamente in un importante attore diplomatico nella regione”. L’applicazione dell’accordo però comporterà ora un significativo rischio potenziale di reputazione per Pechino, in quanto “mette in gioco tutto il prestigio della Cina per garantire il buon comportamento dell’Iran”, fa notare il commentatore politico Ali Shihabi. Ma è del tutto negativo per gli Stati Uniti? “Sebbene molti a Washington considerino il ruolo emergente della Cina come mediatore in Medio Oriente come una minaccia, la realtà è che un Medio Oriente più stabile, in cui iraniani e sauditi non si scannano a vicenda, è vantaggioso anche per gli Stati Uniti”, fa notare Trita Parsi executive vice president del Quincy Insistute.

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