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Dall’Artico al Mediterraneo, l’Europa torni protagonista. Il punto di Manciulli

Le instabilità che circondano l’Europa, a partire dall’Ucraina, ma senza dimenticare il fronte artico e mediterraneo, sono un segnale che il Vecchio continente deve occuparsi della propria dimensione estera con un rinnovato senso di responsabilità. L’intervista di Airpress ad Andrea Manciulli, presidente di Europa Atlantica e direttore delle relazioni istituzionali della Fondazione MedOr

Quanto sta accadendo in Ucraina deve essere di lezione per l’Europa, che deve capire come sia ormai irrinunciabile una assunzione di maggiore responsabilità se vuole assicurare la sicurezza dei propri confini, a partire da quello orientale, ma con lo sguardo sempre attento anche al nord, nell’Artico, e al sud, nel Mediterraneo allargato e in Africa. È tempo che il Vecchio continente metta la testa fuori da sé, e l’Italia deve supportare questa rinnovata attenzione verso l’estero europeo. Airpress ne ha parlato con Andrea Manciulli, presidente di Europa Atlantica e direttore delle relazioni istituzionali della Fondazione MedOr.

Presidente, a un anno dall’invasione russa dell’Ucraina, quali sono a suo avviso le lezioni che l’Europa dovrebbe trarre?

È necessario procedere a una analisi seria di quanto sta accadendo, e cercare di guardare alla situazione con un po’ più di freddezza. Come prima cosa, sbaglieremmo di grosso se volessimo circoscrivere il problema alla sola Ucraina, perché le fragilità e le insicurezze si trovano lungo tutti i confini del Vecchio continente. Naturalmente la guerra a est è il dramma più grande. Sostenere l’Ucraina oggi significa difendere il futuro di tutta l’Europa domani. C’è poi la questione, troppo trascurata, dell’Artico, che presto diventerà teatro di uno scontro economico e di sicurezza tra potenze che riguarderà da vicino l’Europa. E poi c’è l’enorme problema del fronte Sud, del Mediterraneo allargato, che non sta venendo affrontato in maniera adeguata.

Qual è lo scenario attuale a Sud dell’Europa?

Gli ultimi anni sono stati caratterizzati da una crescita della frattura tra sponde nord e sud del Mediterraneo. Nel 2011 l’Europa progettava di creare una enorme aerea di libero scambio nel bacino, e alla conferenza di Barcellona fu lanciata addirittura una campagna di finanziamento con i fondi Meda 1 e 2. Invece il Mediterraneo di oggi è teatro di numerosi fattori di insicurezza, tra cui spicca naturalmente lo shock migratorio, del quale constatiamo proprio in questi giorni la terribile realtà con immagini inaccettabili per qualsiasi coscienza democratica di una società civile, ma che comprende problemi come il terrorismo, la crisi economica e climatica, i problemi relativi alle risorse idriche e alimentari. Tutto questo si trasforma, per l’Europa, in un confine meridionale instabile e pieno di problematiche da affrontare. Un esempio lampante di queste fratture lo vediamo in Tunisia e in Medio Oriente.

Ci spieghi…

La Tunisia, l’unica democrazia che si era sviluppata a seguito delle primavere arabe, è adesso fragilizzata dall’attesa della decisione di sostegno da parte del fondo monetario internazionale che potrebbe impedirle di andare in default. Non possiamo, dunque, limitarci a constatare soltanto il dramma, senza assumerci l’impegno di tentare di risolvere il problema. Se cade la Tunisia il sistema economico e sociale di tutto il Maghreb peggiora in maniera esponenziale, e con esso tutta la vicenda migratoria. In Medio Oriente, invece, dobbiamo occuparci di un rinnovato attivismo dell’Iran. Teheran sta aiutando la Russia militarmente, e non solo, sta rafforzando i propri legami con Assad e sta intensificando la sua rete di proxy in tutto il Mediterraneo, dalla Palestina, a Hezbollah, ad Hamas, fino al jihad palestinese. Il tentativo è senza dubbio quello di far saltare gli accordi di Abramo e destabilizzare l’intero bacino mediterraneo. Sarebbe un dramma se accadesse. L’Europa non può restare a guardare. C’è bisogno di rinvigorire i rapporti con Israele, la Giordania, i Paesi del Golfo, affinché si lavori per prevenire la proliferazione di crisi e il moltiplicarsi dei fronti da attenzionare.

A tutto questo si aggiungono gli impatti che la guerra in Ucraina sta avendo anche sul fronte sud.

Indubbiamente, dal Sahel al Corno d’Africa abbiamo una importane presenza russa attraverso il gruppo Wagner. Abbiamo visto cosa ha rappresentato questo loro attivismo in Mali e in Centrafrica. Ricordiamo anche che l’Africa è il continente che ha visto le maggiori astensioni al voto delle Nazioni Unite di condanna dell’invasione. La Russia, insieme alla Cina, (e in qualche misura persino la Turchia) stanno attivando, in Africa, una strategia in funzione antieuropea, utilizzando i loro strumenti per destabilizzare il continente. Non possiamo non renderci conto, però, che le nostre divisioni hanno favorito l’arrivo di questi attori in Africa, che non hanno gli stessi interessi dell’Europa.

Come ha reagito l’Europa di fronte a tutto questo?

Al momento l’Europa è di fronte a un vero problema di identità, e quindi di strategia. Il fatto che il Vecchio continente sia circondato da problemi lungo tutti i suoi confini è di fatto una critica al modo in cui l’Europa si è posta in questi anni, troppo ripiegata su sé stessa. Parlando direttamente, l’Europa non potrà esistere se non sarà capace di rendere sicuri i propri confini. Si è fatto sicuramente bene a fare attenzione alla stabilità economica e del mercato interno, ma è stato un errore non guardare verso l’esterno. La storia dei confini europei, come ci ha spiegato bene Braudel, è sempre stata lo specchio delle relazioni, anche interne, del continente: quando i confini sono stati aperti, impostati su dinamiche di scambio, l’Europa ha prosperato e ha vissuto momenti di pace; quanto si è chiusa su sé stessa, invece, si sono sempre susseguite fasi negative e conflitti.

E adesso in che fase siamo?

Guardando all’oggi, ci sono state troppe incomprensioni e invidie. L’Europa, invece, deve capire che non può più rimanere divisa e chiusa in sé stessa, perché è ormai inserita in una dimensione globale nella quale le grandi dinamiche non rispettano più la dimensioni dei confini degli Stati tradizionali. Se l’Europa non fa un passo in avanti per rispondere a queste esigenze, rischia di dover affrontare il declino. Possiamo rinfacciarci le responsabilità gli uni contro gli altri quanto vogliamo, tra una Francia troppo autonomista, una Germania concentrata solo sulla dimensione economica e un’Italia che è stata troppo spesso equidistante tra alleati e avversari, ma adesso è venuto il momento di affrontare la situazione con spirito nuovo, di collaborazione, che metta in campo una vera azione politica estera comune.

Sul tema della collaborazione tra Paesi europei, la Fondazione Med-Or ha organizzato di recente un incontro per rilanciare le relazioni tra Italia e Francia nel Mediterraneo. Cosa è emerso dall’incontro?

È stato un appuntamento molto positivo, perché ci ha permesso non solo di affrontare tutte le problematiche legate al bacino mediterraneo, ma anche di sottolineare l’importanza di parlarsi con chiarezza tra Paesi europei. Litigare non è utile a nessuno, il punto è invece quello di favorire una discussione politica nei governi europei tesa a un processo di cooperazione che faccia progredire il dialogo e l’attivismo europeo sullo scenario globale. Alla fine di questa fase turbolenta avrà successo chi sarà stato capace di mettere in campo una politica più dinamica nelle relazioni con il mondo. Serve una grande azione di partnership politica che sia veramente europea, e in questo senso ritengo che sarà fondamentale anche riallacciare il dialogo con la Gran Bretagna, che dopo la Brexit si sta rendendo conto molto bene di quanto quel gesto non abbia pagato.

Cosa dovrebbe fare allora l’Europa?

L’Europa deve saper costruire delle politiche attive e partnership positive con i Paesi del suo vicinato, affinché i grandi progetti per il domani della regione, ma direi del pianeta, possano trovare attuazione, senza aspettare che la situazione degradi. È arrivato il momento per il Vecchio continente di assumersi le sue responsabilità: senza affrontare veramente i problemi profondi globali, a partire da quelli che caratterizzano il Mediterraneo allargato, ma non solo, noi non potremo che tamponare le problematiche, senza mai risolverle davvero.

Questo significa due cose. Primo, che il piano di aiuti previsto nel 2011, largamente disatteso, deve essere sostituito da un ampio progetto di investimenti tesi alla stabilizzazione dei confini a 360°. Quando si discuteranno i piani di aiuti per la ricostruzione dell’est europeo, l’Europa dovrà mettere in campo anche una parallela azione verso nord, nell’Artico, e ovviamente verso sud, in Africa e in Medio Oriente. Non possiamo aspettare che scoppino i problemi per affrontarli, e l’Ucraina dovrebbe servirci da lezione. Secondo, l’Europa deve creare una forza di impiego rapido che le permetta di intervenire nelle crisi in maniera anche autonoma, se serve, insieme agli alleati quando possibile. In breve, c’è bisogno di un’Europa che metta la testa fuori da sé stessa, e di un’Italia che aiuti il Vecchio continente a guardare al di fuori in una maniera nuova, responsabile.



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