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Finlandia sì, Svezia no. Il gioco geopolitico di Erdogan secondo Fassino

Il Regolamento di Dublino? Sorpassato, perché pensato in un’altra fase, con altri flussi migratori e in un altro contesto internazionale. Serve un’azione da parte degli altri membri della Nato che faciliti un’intesa e consenta di aprire le porte alla Svezia. “La Turchia tende a spingere la propria influenza su tutto il Medioriente, l’importante è che non sia destabilizzante di un quadro già molto precario”. Conversazione con l’ex presidente della commissione esteri della Camera, già ministro della Giustizia

“Il punto non è chiedere a qualcuno di limitare la propria politica estera, visto che ogni Paese è sovrano. Quello che si può chiedere, però, è che il perseguire i propri obiettivi non si traduca in una destabilizzazione di un quadro internazionale già molto precario”.

Questa la riflessione che Piero Fassino, già presidente della commissione Esteri della Camera e ministro della Giustizia, profondo conoscitore della materia a cavallo tra Ue e Nato, affida a Formiche.net nell’ambito di un’ampia conversazione sul via libera da parte del parlamento turco all’adesione della Finlandia alla Nato. Una mossa che rientra in un largo contesto geopolitico, che tocca svariati ambiti come le proiezioni di Erdogan in Libia e in Medio oriente, le interlocuzioni con la Russia e il ruolo della Wagner in Africa.

Il via libera da parte del parlamento turco all’adesione della Finlandia alla Nato, ma non ancora della Svezia, è un passo in avanti o un controsenso?

Intanto è un primo passo in avanti, perché consente l’integrazione nella Nato della Finlandia che, come sappiamo, è il Paese che, anche da un punto di vista geopolitico, è il più esposto sul confine con la Russia. Non dimentichiamo che la Finlandia ha pagato un caro prezzo per quella sua collocazione geografica, dovendo cedere in tempi passati alla Russia la Carelia. Naturalmente l’auspicio di tutti è che si risolva presto il contenzioso tra Stoccolma e Ankara e che si arrivi all’integrazione nella Nato anche della Svezia. Tra l’altro non sono Paesi animati da alcun spirito bellicista, anzi sono da sempre fortemente caratterizzati da una politica internazionale di pace. La loro integrazione nella Nato è essenziale per aumentare la coesione e l’unità dell’Europa e dell’Occidente di fronte all’aggressione di Putin.

C’è la sensazione che Ankara voglia in qualche modo giocare al rialzo, vista la contingenza elettorale, ma soprattutto immaginare un “secondo tempo” dell’accordo con l’Ue sul dossier migranti, guardando anche al caso tunisino?

Non so se nell’atteggiamento di Ankara ci sia anche l’obiettivo di rinegoziare l’accordo sui migranti sottoscritto con Bruxelles. Ma in materia migratoria la questione da tempo è sempre la medesima: il Regolamento di Dublino, lo strumento con cui l’Unione europea prova a governare i flussi migratori, non è adeguato, è sorpassato, pensato in un’altra fase, con altri flussi migratori e in un altro contesto internazionale. Oggi serve una politica più avanzata fondata sulla condivisione delle politiche migratorie tra i Paesi dell’Unione europea. Se fino ad oggi non si è ottenuta questa nuova politica, non è tanto per colpa della Commissione, che più di un anno fa ha avanzato nuove proposte tuttavia bloccate dal rifiuto di Polonia, Ungheria, Slovacchia, Danimarca, Austria, che non intendono avere una politica migratoria condivisa. É una posizione miope e cieca che rende impotente l’Europa di fronte a fenomeni migratori sempre più intensi.

Per quali ragioni?

Tutti sono consapevoli che un fenomeno come quello migratorio non può essere gestito da ogni Paese con solo le proprie politiche nazionali. E d’altra parte è assolutamente ingiusto scaricarlo sui Paesi di primo approdo come la Grecia, l’Italia, la Spagna. Paradossalmente se la geografia europea fosse rovesciata, noi fossimo dov’è oggi l’Austria e l’Austria si bagnasse nel Mediterraneo, sarebbero i governanti austriaci i primi a chiedere una politica europea condivisa. La necessità di una politica comune è stata sempre posta da tutti i Governi italiani, non solo l’attuale. E se fino ad oggi la politica europea è ferma al Regolamento di Dublino è a causa di una ostinata resistenza ad affrontare questo tema da parte di alcuni Paesi europei. Il che non significa rassegnarsi. Bisogna continuare, con grande determinazione, a battersi perché si arrivi finalmente a una politica diversa.

Jens Stoltenberg ha auspicato che la Svezia possa aderire entro il prossimo luglio. È realistico? E quali ostacoli geopolitici vi sono ancora?

Difficile fare previsioni perché dipende dal rapporto con Ankara. Noi naturalmente auspichiamo che le difformità di valutazione tra la Turchia e la Svezia siano superate il più rapidamente possibile e bisogna agire perché un accordo non sia affidato solo alla relazione bilaterale tra le due capitali, ma mettere in campo un’azione anche da parte degli altri membri della Nato per facilitare un’intesa e aprire le porte della Nato alla Svezia.

La mossa turca come si inserisce in un quadro che vede più fronti aperti, come il rapporto tra Erdogan, Xi e Putin da un lato e la stabilizzazione di Libia e Tunisia dall’altro, senza dimenticare le pressioni della Wagner in Africa?

Erdogan persegue una ambizione egemonica su una vasta area che corrisponde all’ampio territorio che fu per secolo sotto dominazione ottomana. Non a caso si parla di politica “neoottomana”, molto mobile e spregiudicata: Erdogan è membro della Nato e al tempo stesso non esita a comperare armamenti dai russi. Ha un particolare rapporto con Mosca che utilizza su vari scacchieri e tende a proiettarsi in una politica di potenza regionale, per cui è presente nei Balcani, nel Caucaso, nel conflitto siriano, in Libia e nel Corno d’Africa. Credo che in questo contesto si inserisca anche la mossa di aver detto sì alla Finlandia, probabilmente con l’obiettivo neanche recondito di isolare la Svezia.

Ovvero?

Convincerla ad accettare le condizioni che la Turchia pone. Vedremo il prosieguo di queste trattative.

Guardando al rapporto nuovo che il presidente siriano Assad sta avendo con tutti gli attori, anche con quelli dell’indo pacifico e mediorientali, sembra che il tutto passi anche dal ruolo multiforme della Turchia, sia nelle relazioni con la Cina che con la Russia. Secondo lei dopo la guerra in Siria il peso di Erdogan come potrà mutare, anche alla luce della contingenza ucraina?

Intanto la guerra in Siria non è finita, ma ha assunto una dinamica diversa da quella degli anni scorsi: la guerra civile è ancora in corso e la Siria continua a essere un punto critico di tutto l’assetto mediorientale. La Turchia è parte di quel conflitto, in particolare nel nord, in funzione anti curda soprattutto. In generale Erdogan tende a spingere la propria influenza su tutto il Medioriente e il Mediterraneo orientale, dalla Libia fino al Golfo Persico. Naturalmente ogni Paese è sovrano e ha diritto di perseguire la propria politica estera. Ma nessun Paese ha il diritto, per perseguire i propri obiettivi, di destabilizzare equilibri e un quadro internazionale già molto precario e percorso da acuti conflitti.


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