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Fondi e migranti. Il dossier tunisino e il bivio dell’Italia

Tunisi chiede 2 miliardi al Fmi, ma il Fondo tentenna per via di un regime considerato autoritario. Nel mezzo la rotta migratoria mediterranea che impatta sulle coste italiane e il parallelismo con la Turchia del 2016, che per ‘ospitare’ cinque milioni di siriani incassò miliardi dall’Ue. Telefonata Meloni-Romdhane

Bassa crescita economica e inflazione galoppante rappresentano due grossi impedimenti per il governo tunisino, sommati al dossier migranti che vede il paese nordafricano in primo piano tra le preoccupazioni italiane legate ai flussi sulla rotta mediterranea. Per questa ragione l’Italia sta dedicando particolare attenzione alla questione, anche dal punto di vista strettamente finanziario, con riferimento al possibile accordo tra Tunisi e il Fondo Monetario internazionale.

L’ultimo appello del paese porta la firma di Marouane El Abassi, capo della banca centrale tunisina, che esattamente due mesi fa ha detto che il debito ha raggiunto quasi il 90% del PIL. Per questa ragione l’intesa di principio con il Fondo monetario internazionale dello scorso ottobre del valore di circa 2 miliardi di dollari è un primo buon viatico, ma l’attesa per il nulla osta da parte di Washington è condizionata allo status istituzionale tunisino, con il regime autoritario instaurato da Saied che è alleato con Mosca e Pechino (circostanza, questa, non propriamente incoraggiante). Il Fmi ha inoltre posto come condizione una legge di ristrutturazione di oltre 100 aziende statali, che di fatto rappresentano dei monopoli.

Di “vera polveriera sociale” aveva parlato a proposito della Tunisia il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Alfredo Mantovano, in occasione della presentazione della Relazione sulla politica dell’informazione per la sicurezza, aggiungendo che l’Europa dovrebbe evitare che “esploda”. Il nervo scoperto che rappresenta il maggiore elemento di preoccupazione oggi proviene “da una realtà che ha mille problemi e che non riesce a contenere le partenze dei migranti”. Questa la ragione per cui sarebbe importante “che la comunità internazionale e le istituzioni più importanti la aiutassero ad uscire dalle difficoltà nelle quali si trova”. Lo scoglio al momento è che non vengono erogati i prestiti “perché non ci sono le condizioni di democraticità, vogliamo uscirne, prima nell’interesse dalla Tunisia, delle centinaia di migliaia di persone potenziali migranti che sono sul suolo tunisino e nell’interesse di una regolamentazione di flussi che noi abbiamo la ferma intenzione di perseguire”.

Il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha avuto ieri sera una conversazione telefonica con il Primo Ministro della Tunisia Najla Bouden Romdhane, in cui è stato sottolineato l’antico rapporto di amicizia tra le due nazioni. Nell’occasione Meloni non solo espresso vicinanza al popolo e alle autorità tunisine in questo momento particolarmente delicato per il Paese, ha indicato esplicitamente la volontà italiana di continuare a sostenere la Tunisia finanziariamente, anche assieme all’Unione Europea, fornendo il suo appoggio anche presso le Istituzioni finanziarie internazionali.

Per Roma, dunque, il fenomeno migratorio rappresenta un segmento corposo di politica estera (e interna) che deve fare i conti con questa sorta di ultimatum/minaccia da parte tunisina: Tunisi chiede una linea di finanziamento anche per limitare i flussi in partenza. In questo senso la Tunisia può essere paragonata alla Turchia del 2016, quando il paese guidato da Recep Tayyip Erdogan fu protagonista della gestione dei flussi siriani. Ankara, come è noto, giunse ad un accordo miliardario con l’Ue per contenere sul proprio suolo 5 milioni di siriani in fuga dalla guerra.

Da qui dilemma se trovare un compromesso oppure no, nella consapevolezza che la risposta di Roma è stata che al momento nessuno può permettersi di rischiare di dover gestire un’impennata di altri arrivi.

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