Il conflitto in Ucraina e il ruolo dello Spazio, ormai protagonista fondamentale del presente e del futuro del nostro pianeta. Pubblichiamo un estratto del libro di Roberto Arditti, “La guerra in casa. Come e perché la corsa al riarmo riguarda tutti noi”, Rai Libri
Sono le 3 del mattino del 24 febbraio 2022, orario di Roma. Kiev è un’ora avanti, Londra un’ora indietro. Più distanti (in termini di fuso) Mosca, dove sono già le 5, e la California, dove invece sono soltanto le 6 del pomeriggio del giorno precedente.
Mancano sessanta minuti circa all’ingresso dei carri armati russi nel territorio ucraino, invasione accompagnata da pesanti bombardamenti d’artiglieria, incursioni aeree, lancio di missili (circa 160 solo il primo giorno) e movimenti delle navi da guerra nel Mar Nero.
Mancano sessanta minuti al momento che segna il ritorno della guerra in Europa, ma ancora (quasi) nessuno lo sa, anche se da giorni le forze armate ucraine sono al massimo stato di allerta. Anche al civico 6155 di El Camino Real a Carlsbad, 35 miglia a nord di San Diego (California), non è un giorno qualsiasi, ma ci vorrà ancora un po’ per capire perché. Lì ha sede il quartier generale di Viasat, colosso americano che gestisce la rete satellitare ka-sat, nodo importante per le connessioni web nell’intera Europa e in quella dell’Est in particolare.
Proprio a quell’ora, proprio a sessanta minuti dall’avvio delle operazioni militari convenzionali, Viasat subisce un attacco informatico violentissimo, che compromette significativamente la funzionalità della rete satellitare, con conseguente interruzione della connessione per moltissimi utenti in Ucraina e in molti altri Paesi, utenti che spesso sono soggetti istituzionali o imprese, oltre che singoli individui.
Il blackout informatico dura alcune ore, ma nella tarda mattinata (in Europa) i servizi tornano lentamente a funzionare, mentre è l’agenzia Reuters a chiarire il vero motivo dell’attacco: i servizi militari e gli apparati di sicurezza ucraini hanno acquistato negli anni precedenti diversi sistemi di comunicazione che funzionano sulla rete di Viasat.
Ci vorranno mesi di indagine per chiarire l’origine di quell’attacco, anche se la coincidenza perfetta con l’invasione russa mette da subito il Cremlino nella posizione di unico imputato. Sarà infatti solo nel mese di maggio che arriverà una comunicazione ufficiale della ue, che vale la pena di leggere parola per parola: “L’Unione europea e i suoi Stati membri, assieme ai partner internazionali, condannano fermamente l’attacco informatico condotto dalla Federazione russa contro l’Ucraina. Questo attacco è un altro esempio del comportamento irresponsabile della Russia nel cyberspazio, che è parte integrante della sua invasione illegale e ingiustificata dell’Ucraina”. Della stessa opinione saranno anche le autorità inglesi, al punto che l’allora ministro degli Esteri Liz Truss (poi, per poche settimane, anche Primo Ministro, prima di cedere l’ufficio al n. 10 di Downing Street a Rishi Sunak) definirà quello come un “attacco deliberato e malevolo da parte della Russia contro l’Ucraina”.
Un attacco cyber, dunque, in perfetta coerenza con quanto abbiamo appena preso in esame nel capitolo precedente. Ma un attacco in grado di estendere i suoi effetti ben oltre la rete, basti pensare che finisce per mettere temporaneamente fuori uso circa duemila pale eoliche in Germania, tanto per ricordare uno fra i tanti disservizi di quelle ore (persino in Marocco si fanno sentire gli effetti dell’interruzione di funzionamento di parte della rete ka-sat).
Ma soprattutto un attacco cyber per colpire quello che è ormai il vero protagonista dei più concreti scenari globali, cioè il sistema di satelliti che dalle loro orbite governano, osservano e condizionano un numero ormai non più calcolabile di azioni umane, compresi moltissimi aspetti rilevanti delle attività delle forze armate di ogni nazione minimamente evoluta (quindi praticamente tutte quelle che ci sono sulla Terra e, soprattutto, tutte quelle che sono destinate ad avere ruoli importanti nel prossimo futuro).
C’è però una seconda data non meno importante da tenere presente, collocata nel calendario non molte settimane prima di quel tragico 24 febbraio. Si tratta del 15 novembre 2021, giorno in cui l’ipotesi di invasione dell’Ucraina è oggetto di attenzione solo per gli addetti ai lavori (in divisa o senza). Ebbene, quel giorno accade che la Russia effettua (con successo) un test Direct-Ascent Anti-Satellite (Da-Asat) intercettando e distruggendo un satellite sovietico lanciato nel 1982 e non più operativo.
Nell’esplosione, Kosmos-1408, dal peso di più di 2 tonnellate, si disintegra in più frammenti, generando una cloud of debris (“nuvola di detriti”) che si estende man mano intorno all’orbita bassa terrestre. Ci sono motivi per collegare questo test con l’invasione dell’Ucraina di pochi mesi dopo? Nessuno può dirlo con certezza, ma i fatti del 15 novembre devono essere tenuti in grande considerazione, innanzitutto perché ci aiutano a capire qual è la posta in gioco nello spazio, quali sono gli attori in grado di giocare ruoli importanti e, almeno in parte, quali saranno le prossime mosse.
Cominciamo, allora, dalla nuvola di detriti a seguito della distruzione del Kosmos-1408. Il test ne crea circa 1500 di grandezza considerevole e alcune migliaia di altri più piccoli. Tutti però sono potenzialmente distruttivi in caso di impatto con veicoli spaziali come la iss (la Stazione Spaziale Internazionale, che è grande come un campo di calcio), per via di velocità orbitali che superano i 24.000 km/h. Anche perché i detriti ormai presenti in orbita sono in numero impressionante, pur considerando l’enormità degli spazi a disposizione.
Vengono infatti stimati in circa 36.500 quelli più grandi di 10 centimetri, in circa 1 milione quelli tra 10 cm e 1 cm, in 330 milioni quelli tra 1cm e 1mm. A generarli sono stati soprattutto interventi distruttivi deliberati dell’uomo, come quello del 2007, quando la Cina effettua un suo test Da-Asat che genera 3500 frammenti (il test più distruttivo di sempre, capace ancora oggi di generare pericoli per le attività spaziali) per annientare il satellite Fengyun-1C, o come quello indiano del 2019, che crea un centinaio di frammenti pericolosi.
Dal lato loro, gli americani hanno effettuato l’ultimo test militare di questo tipo nel 1985. La distruzione di oggetti in orbita con lanci che partono dalla terra non è però l’unica tecnica esistente. La maggior parte delle tecnologie infatti sono co-orbitali e si basano su attività che si svolgono nel dominio spaziale attraverso operazione di avvicinamento e potenziale ingaggio. In particolare la Russia ha rilanciato l’eredità sovietica, concentrandosi su tecniche di “Active Space Defence”: dal 2014 il sistema Asat Nudol è stato testato dieci volte.
Torniamo però un momento all’evento del 15 novembre 2021. A distruggere il satellite Kosmos-1408 è un missile che parte dal cosmodromo di Plesetsk, situato nell’Oblast di Arcangelo, 800 chilometri a nord di Mosca. Il sito è (ovviamente) di origine militare ed è operativo dalla metà degli anni Cinquanta, anche se l’Unione Sovietica ne ammette l’esistenza solo negli anni Ottanta (la cia e l’intelligence inglese però avevano già raccolto molti elementi in proposito).
Dopo alcuni anni di scarso utilizzo viene rimesso in sesto, anche in considerazione del fatto che la più efficiente base di Bajkonur (ci sono questioni non banali di latitudine) è in territorio del Kazakistan (con annessi pedaggi costosi per l’utilizzo). Proprio da Plesetsk, dunque, ripartono i lanci, compresi alcuni dell’Agenzia Spaziale Europea (esa). E sempre da questa base viene lanciato nel 2005 il satellite iraniano Sina 1. Vediamo le reazioni della comunità internazionale, assai indicative del riprodursi anche in materia “spaziale” delle divisioni geopolitiche ben presenti in tutti gli scenari.
Innanzitutto, c’è l’immediata condanna degli Stati Uniti, che il giorno stesso del test sottolineano il disprezzo dimostrato per la sostenibilità e la sicurezza dello spazio (a bordo dell’iss ci sono anche cosmonauti russi), in considerazione del fatto che le orbite fisiche di test di questo genere sono note a tutti. Alle decise contestazioni americane si aggiungono parole analoghe da parte del Commissario Europeo per il Mercato Interno e l’Industria della Difesa, Thierry Breton (occorre qui ricordarne le grandi competenze in materia, ad esempio citando il romanzo Softwar – La guerre douce, che scrisse a soli ventinove anni nel 1984, e poi anche la decisiva azione di salvataggio di France Telecom), della Nato, del Regno Unito, del Giappone e dell’Australia, mentre la Cina si riserva di esaminare meglio i dati prima di commentare, con Mosca che usa parole sprezzanti, minimizzando i rischi per la sicurezza e imputando, con tanto di comunicato stampa espressamente diffuso, agli usa di essere i veri responsabili dei pericoli nello spazio, con la Russia unicamente impegnata nella difesa nazionale.
Tutto normale, potremmo dire, tutto ampiamente prevedibile. Ma quel che conta qui evidenziare è proprio il fatto che le dinamiche di confronto-scontro che ormai si registrano su moltissimi fronti “terrestri” sono ormai pienamente dispiegate anche a centinaia di chilometri dalla superficie terrestre (l’orbita del satellite russo Kosmos-1408 era a 500 km da terra), nella ormai ben evidente lotta tra superpotenze in versione multipolare, erede ancor meno gestibile della Guerra Fredda, alle nostre spalle da qualche decennio.
Insomma, lo storico fair-play valido nelle missioni, quello immortalato in tante foto in orbita con prove tangibili di piena collaborazione scientifica e di gestione della quotidianità indipendentemente dalla bandiera presente sulla tuta spaziale sembra essere definitivamente archiviato, come peraltro possiamo dedurre anche da prese di posizione di carattere ufficiale. È infatti del 26 luglio 2022 l’annuncio di Yuri Borisov, da poche settimane nuovo direttore di Roscosmos, dell’abbandono russo a fine 2023 del progetto iss, quando termineranno gli impegni assunti con gli altri partner, tra cui la nasa e l’Agenzia Spaziale Europea.
È la fine di una collaborazione andata fruttuosamente avanti per decenni (la stazione spaziale è attiva dal 1998)? Al momento non lo sappiamo, anche se la Nasa ha replicato alle comunicazioni russe affermando di voler procedere con i programmi previsti fino al 2031, probabile conclusione naturale della vita dell’iss (che comunque ha rappresentato una svolta epocale nel rapporto dell’umanità con lo spazio). Di certo però stiamo entrando in una nuova fase, di cui la durissima contrapposizione sull’Ucraina tra Russia da una parte e Stati Uniti (con l’Europa) dall’altra, è solo uno degli aspetti da considerare.
Non possiamo infatti guardare a quanto accaduto in questi mesi come a un pur drammatico incidente di percorso all’interno di una collaborazione destinata a riprendere perché decisiva per tutti: le cose stanno cambiando. E anche in fretta.