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Perché Abu Dhabi apre la porta al mediatore iraniano Shamkhani

Il funzionario iraniano che ha firmato, a Pechino, l’accordo tra Teheran e Riad è adesso ad Abu Dhabi, alla guida di una delegazione economico-commerciale. I Paesi mediorientali si parlano, nonostante il Jcpoa sia bloccato. Sono in movimento nuove dinamiche multipolari

Una fonte europea a conoscenza del dossier Jcpoa spiega a Formiche.net che ancora sui dialoghi per la ricomposizione dell’accordo nucleare con l’Iran, l’intesa Theran-Riad sancita a Pechino “non si è fatta sentire, e forse non si farà sentire mai”. Il dialogo è bloccato, nonostante il direttore dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, Rafael Mariano Grossi, si sia recentemente incontrato con l’inviato statunitense per l’Iran, Robert Malley, e con il responsabile dei negoziati per conto dell’Ue, Enrique Mora.

Grossi ha ragguagliato gli occidentali del “5+1” del suo ultimo viaggio iraniano – da cui sono usciti buoni proposti, sebbene come spiegava su queste colonne Nicola Pedde (Igs) la questione riguarda anche le divisioni interne alla leadership della Repubblica islamica, e dunque si aggiunge un ulteriore livello di complicazione. È forse troppo presto per pesare gli effetti del percorso di riavvicinamento avviato da iraniani e sauditi su un fascicolo così articolato?

Normalizzazione alternativa

Tuttavia qualcosa si muove. L’intesa mediata dalla Cina racconta che è in corso un flusso di normalizzazione che va al di là dell’accordo Jcpoa – che nell’intento specifico aveva il programma nucleare, in quello politico più ampio la creazione di una base per un’architettura di sicurezza regionale. Quanto successo a Pechino potrebbe aggirarlo, sostituirlo, distruggerlo, rinvigorirlo. Restano già adesso delle questioni complesse da risolvere, tuttavia i Paesi della regione sembrano interessati a muovere i propri interessi intanto andando oltre lo stallo diplomatico che avvolge l’accordo sul nucleare – messo in crisi dall’uscita unilaterale trumpiana del 2018, mai ricomposto nonostante i buoni intenti annunciati dall’amministrazione Biden.

Se Riad ha formalmente guidato le operazioni di contatto con l’Iran, con la firma pubblica sull’avvio della normalizzazione, il motore di queste dinamiche è Abu Dhabi. Gli emiratini hanno di fatto riaperto le relazioni con l’Iran da diverso tempo (anche in via diagonale, rilanciando il dialogo con la Siria), e su questa necessità pragmatica hanno spostato i sauditi. In questi giorni, Ali Shamkhani, il capo del Consiglio di Sicurezza nazionale iraniano, è negli Emirati per continuare le discussioni. Il funzionario – che ha ottenuto credibilità come mediatore per l’incarico ricevuto dalla Guida Suprema – era a Pechino per firmare l’accordo col suo omologo saudita la scorsa settimana.

Narrazione e interessi

Il fatto che sia direttamente coinvolto in questi colloqui Shamkhani – unico iraniano a essere stato insignito dell’Ordine Saudita di Re Abdulaziz, ricevuto nel 2004 per aver mediato il disinnesco di tensioni regionali – dimostra che la Repubblica islamica è determinata a migliorare i suoi legami con gli Stati arabi del Golfo. Ora servono i fatti, e la priorità di Shamkhani nei colloqui con gli Emirati Arabi Uniti dovrebbe essere di rassicurare per la fine del conflitto in Yemen, che dura da nove anni, e la facilitazione del trasferimento di valuta estera in Iran. Teheran ha anche interesse nell’attirare investimenti, cercando di mostrarsi affidabile – e su questo, in un’intervista alla NBC, il ministro delle Finanze saudita, Mohammed al Jadaan, ha detto che qualcosa succederà “molto presto”.

Nournews, affiliata alla principale organizzazione di sicurezza iraniana, ha dichiarato che il viaggio ad Abu Dhabi era in risposta alla visita del consigliere per la sicurezza nazionale degli Emirati Arabi Uniti, lo sceicco Tahnoon bin Zayed al-Nahyan, in Iran alla fine del 2021. Si tratta di uno scambio a un po’ troppo lunga gittata, ed è più probabile che sia l’accordo con Raid ad aver mosso Shamkhani verso gli Emirati. Tant’è che alti funzionari dell’economia, delle banche e della sicurezza accompagnano il funzionario iraniano per colloqui che riguardano questioni bilaterali, oltre che regionali e internazionali.

Gli Emirati Arabi Uniti sono stati per decenni tra i principali partner commerciali dell’Iran anche nei momenti di difficoltà tra i due Stati. Secondo gli ultimi dati ufficiali di Teheran, attraverso lo Stato del Golfo sono stati importati in Iran beni per un valore di 13,6 miliardi di dollari, che hanno rappresentato quasi il 31% di tutte le importazioni nei primi 10 mesi dell’anno iraniano che si conclude la prossima settimana. Da notare che gli iraniani potrebbero aver utilizzato il mercato emiratino anche per aggirare le sanzioni reintrodotte dagli Stati Uniti dopo l’uscita dal Jcpoa. Washington lo sa, ma lascia spazio.

Una nuova realtà

Quella che è in divenire è una nuova realtà multipolare, dove certi attori nel Golfo (come altrove, per esempio nell’Indo Pacifico) si muovono cogliendo opportunità e seguendo interessi secondo le proprie agende. Abu Dhabi è strettamente connessa a un sistema di alleanza con Washington, che la lega a Israele tramite agli Accordi di Abramo e all’India tramite l’I2U2. Tuttavia è interessata a portare avanti relazioni con l’Iran (o con la Siria, che hanno già indispettito Washington), perché li trova conformi alla propria attuale visione del mondo. Il presidente Mohammed bin Zayed ha abbandonato la linea guerresca e lanciato il suo Paese come riferimento finanziario e turistico globale, e dunque intende preferire il dialogo al confronto più ruvido.

Questo comporta anche il mantenimento di un rapporto con la Cina, o con la Russia. Tant’è che gli emiratini hanno rinunciato all’inserimento nel programma F-35 pur di non vedersi richiedere di tagliare i collegamenti col mondo hi-tech cinese. Ma continuano ad approfondire la partnership con gli Stati Uniti. Contemporaneamente, qualcosa di simile accade in Arabia Saudita: l’accordo con l’Iran non significa che Riad abbia deviato rispetto a Washington e verso Pechino. Semplicemente, in questo periodo storico diversi Paesi preferiscono poter mantenere relazioni aperte e plurali senza l’obbligo di scelte di campo. È una visione pragmatica, ancora percorribile.

(Foto: Tasnim News Agency)

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