Ricordarci dell’invasione che cominciava vent’anni fa dovrebbe aiutarci a toglierci i paraocchi: le vie di ogni paradiso terreno, bellicismo salvifico o pacifismo astratto, sono foriere di guai peggiori. Una polarizzazione ne genera tante altre, anche in campi inafferenti, la polarizzazione è un morbo, forse la nuova pandemia. La riflessione di Riccardo Cristiano
L’invasione dell’Iraq è cominciata il 20 marzo del 2003, vent’anni fa. L’anniversario questa volta non va sprecato, e per usarlo bene vorrei provare a stabilire qualche parallelo con l’invasione dell’Ucraina e la poco capita posizione vaticana, di allora e di oggi.
Il primo punto di collegamento tra i due eventi è la loro illegalità internazionale: è stata illegale quella di vent’anni fa come quella “odierna”. Questo punto però sembra dire poco, sebbene non dovrebbe essere così. Era illegale la prima perché basata su una menzogna, l’Iraq non aveva “l’arma segreta”. È illegale quella odierna perché è basata sulla menzogna, l’Ucraina non è stata nazificata.
Questo non assolve il regime di Saddam dalle sue indicibili colpe, come non assolve il sistema ucraino dai suoi errori, anche gravi, probabilmente forse, non mi sono abbastanza occupato di Ucraina prima del conflitto per poterlo dire, ma la storia degli accordi di Minsk è una storia di duplici violazioni, non solo russe, non solo ucraine.
Nella visione dei neo-con che spinsero Bush all’invasione dell’Iraq c’era un impianto culturale che definirei così: “leninismo anti-leninista”. Cosa vuol dire? Vuol dire che per loro occorreva “un’ala marciante della democratizzazione del mondo”. Analogamente al Cremlino hanno seguito l’idea dell’ala marciante della russificazione del “mondo russo”, e probabilmente non solo.
Quando il papa, Giovanni Paolo II, si schierò contro l’invasione americana, non prese le difese di Saddam, dimenticando che era indifendibile, come purtroppo fecero molti nel campo anti-intervento che si determinò, non si piegò cioè alla logica di un leninismo anti-leninista inverso a quello dei neo-con, per cui l’America diveniva un male in sé, contro il quale occorreva un’ala marciante, antagonista contro il vero “impero del male”, Washington. No. Tutto sommato se alla Casa Bianca lo avessero ascoltato non avrebbero trasformato la loro guerra per la conquista dell’Iraq in un enorme sforzo per donare l’Iraq ai loro peggiori nemici, gli iraniani, dopo incredibili patimenti per la popolazione civile, patimenti che hanno rafforzato l’antiamericanismo.
L’invasione dell’Ucraina, che doveva essere un blitz tra fiori e applausi come quella immaginata dai neo-con americani, è fallita, quella riuscì sulla carta, poi si trasformò in un bagno di sangue durato anni e che ha spinto – guarda caso – al ritiro americano dal Medio Oriente. Non possiamo ancora dire cosa produrrà questo, ma che abbia acuito l’odio per i russi in ampi settori dell’opinione pubblica ucraina mi sembra ovvio. E anche da noi ha generato in settori dell’opinione pubblica dolorosi sentimenti simili.
Quando il papa, Francesco, si è sforzato in tutti modi di far capire che c’era l’oggettivo rischio di rafforzare i due opposti leninismi anti-leninisti ha colto il punto che ci tormenta e che avvelena i pozzi della nostra vita democratica. Francesco in definitiva ha visto il desiderio imperialista russo come quello occidentale riaffacciarsi: ha forse visto male?
È bene ricordare allora che c’è stato un leninismo anti-leninista anche in Saddam, la sua idea di imporre con le baionette il panarabismo all’irachena, negando l’esistenza del Kuwait proprio come Putin nega l’esistenza dell’Ucraina.
Quando Francesco, alla Via Crucis dello scorso anno, propose che due donne, una ucraina e una russa, portassero la croce, non negava proprio questa pretesa, questo negazionismo putiniano? Non equiparava i due dolori, diceva che esistono due popoli, ciò che la propaganda putiniana nega.
Non entro nella disamina interna a Iraq, Russia e Ucraina, né cito le conseguenze per i Paesi in via di sviluppo di questa guerra, che pure sarebbe il lavoro più importante da fare. Mi limito a vedere come due papi, diversi, hanno saputo interpretare meglio di molti altri le grandi crisi che venivano avvelenando i loro tempi.
Oggi c’è un indiscutibile pacifista cattolico, Edgard Morin, a dirci una cosa sacrosanta: lui non parla di leninismi anti-leninisti, ma di radicalizzazione, intendendo con questo la polarizzazione, quella di cui oggi parla solo Francesco. Scrive Morin nel suo nuovo libro “Di guerra in guerra” a proposito di chi scrive che parlare di pace equivale a voler capitolare a Putin; “Non si può avere capitolazione se non con un esercito irrimediabilmente vinto, come fu per l’esercito Francesco nel 1871 e nel 1940. Ma per quanto concerne la guerra attuale, rimane un relativo equilibrio delle forze, che crea le condizioni oggettive di un compromesso”. È proprio quello che dicono i teorici non della vittoria sulla Russia ma della non sconfitta dell’Ucraina, come il grande filosofo tedesco Habermas, che non è un cattolico.
Francesco mai ha detto di non dare armi agli ucraini; nella famosa intervista al Corriere della Sera demandò la decisione ai pastori locali, e per fortuna! Altrimenti avremmo non il papa, ma il cappellano della Nato! E i pastori locali le hanno apprezzate. Ma serve il coraggio e la forza di spingere, incoraggiare la Russia a negoziare, ad accettare il negoziato. Morin vede un Putin capace di fare marcia indietro per realismo. E il realismo altrui va aiutato dal realismo degli altri. Quel che non si fece ai tempi dell’Iraq. E Saddam non era un piccolo male, per gli iracheni era il massimo male allora pensabile. Solo la storia gli avrebbe detto che le milizie khomeiniste (e jihadiste) non sono meglio né meno peggio.
Ricordarci dell’invasione che cominciava vent’anni fa dovrebbe aiutarci a toglierci i paraocchi: le vie di ogni paradiso terreno, bellicismo salvifico o pacifismo astratto, sono foriere di guai peggiori. Di qui potremmo arrivare a dire che una polarizzazione ne genera tante altre, anche in campi inafferenti, la polarizzazione è un morbo, forse la nuova pandemia.