Le proteste fermano la riforma della giustizia. Ora il futuro del premier dipende dal compromesso, dice l’ambasciatore Shapiro. Secondo Lipner serve un nuovo contratto sociale in Israele. Bibi cambi approccio, suggerisce Wechsler
Piazza uno, Benjamin Netanyahu zero. Per ora è questa la situazione in Israele, dopo le manifestazioni hanno convinto il primo ministro a sospendere la contestata riforma della giustizia. Il leader non ha ceduto solo alle proteste ma anche a Itamar Ben Gvir, ministro per la Sicurezza Nazionale e leader dell’ultradestra. Per convincerlo a non lasciare la maggioranza innescando così una crisi di governo, Netanyahu gli ha promesso la creazione di una Guardia nazionale sotto la guida del suo ministero, già definita dai critici come una milizia personale. Ecco l’analisi della situazione secondo alcuni esperti dell’Atlantic Council raccolte nelle ultime dallo stesso prestigioso centro studi americano.
L’AMBASCIATORE SHAPIRO
Secondo Daniel B. Shapiro, già ambasciatore statunitense in Israele e oggi direttore della N7 Initiative, il punto di svolta è stato il licenziamento di Yoav Galant. La caccia del ministro della Difesa ha alimentato la protesta ma anche i timori nella maggioranza. “Netanyahu si trova ora di fronte a un dilemma”, scrive Shapiro. È chiaro che la legge non può andare avanti. Nella migliore delle ipotesi, può tornare a parlarne tra qualche settimana e cercare di negoziare una versione annacquata e più consensuale della riforma giudiziaria. Ma alcuni membri del suo governo, e parte della sua base politica, si sentono abbandonati e potrebbero protestare contro la decisione”.
Sottolineando come il presidente statunitense Joe Biden spesso sottolinei che le relazioni tra Stati Uniti e Israele si sono sempre basate sui valori condivisi, il processo verso il compromesso in Israele può iniziare da queste crisi. “Da ciò dipendono la stabilità, la sicurezza e l’economia di Israele”, scrive. Basti pensare alla mobilitazione dei riservisti o alla fuga di capitali dalle banche israeliane. Altrimenti, “Israele continuerà a essere distratto dall’affrontare le significative minacce dell’Iran e dei suoi proxy e dal cogliere le reali opportunità di espandere le relazioni con gli Stati arabi. E se i partner della coalizione di Netanyahu non gli permetteranno di abbandonare l’agenda che ha portato Israele a questo punto, il potenziale per un significativo conflitto civile aumenterà drammaticamente”, conclude.
IL CONSIGLIERE LIPNER
Shalom Lipner, consigliere di sette primi ministro israeliani nel corso di un quarto di secolo, è pessimista sul futuro immediato visto che la fiducia per i partiti si è rotta. Ma soprattutto, teme per il futuro. “A preoccupare maggiormente il futuro di Israele, tuttavia, dovrebbero essere le fratture di fondo all’interno della società israeliana che il braccio di ferro sulla riforma giudiziaria ha ora messo a nudo”, scirve. “Le linee di frattura tra chi ha e chi non ha, tra liberali e conservatori, tra israeliani laici e religiosi non si dissolveranno all’istante, se e quando il conflitto sul sistema giudiziario sarà risolto. Nel suo 75° anno di vita, Israele ha un disperato bisogno di un nuovo contratto sociale”, conclude.
L’ESPERTO WECHSLER
Netanyahu dovrebbe cogliere l’opportunità di rivedere radicalmente il suo approccio, scrive William F. Wechsler, direttore del Rafik Center dell’Atlantic Council. Se non fosse diventato nuovamente primo ministro alla fine del 2022, sarebbe stato ricordato “anche da coloro che lo avversano politicamente o non lo amano personalmente, come un leader di successo unico, elettoralmente dominante, strategicamente cauto e tatticamente brillante, che ha lasciato Israele più prospero, più sicuro e più gradito nella regione di quanto non fosse mai stato prima” Ma in soli “ha fatto un percorso molto lungo per cancellare gran parte di questa eredità”, continua l’esperto citando le contestate riforme e i rapporti con la minoranza di ultradestra. “Il caos che ne è derivato ha seriamente minato l’economia, la sicurezza, la stabilità e le relazioni estere di Israele”, continua allineandosi all’ambasciatore Shapiro.
Ora serve cambiare approccio. “Ciò significherebbe accettare lo sforzo del presidente Isaac Herzog di trovare una soluzione di compromesso per la riforma giudiziaria che possa ottenere un ampio sostegno”, scrive Wechsler. “Ciò significherebbe dare priorità all’attenzione del governo sulle minacce strategiche più critiche per Israele come l’Iran e i suoi proxy, sulle opportunità strategiche più importanti come l’approfondimento e l’ampliamento degli Accordi di Abramo, e rafforzare i suoi punti di forza intrinseci tra cui la vitalità economica e il consenso silenzioso su molte questioni. In caso contrario, quando sarà il momento di scrivere il necrologio di Netanyahu, gli impressionanti risultati dei suoi mandati precedenti saranno relegati a semplici note a piè di pagina dopo gli immensi fallimenti del suo ultimo mandato”, conclude.