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Salario minimo, Meloni ha ragione ma… La versione di Bonanni

Quando Meloni dice che occorre altro, dopo che ha portato al 5% il carico fiscale per 3 mila euro in un anno di salario di produttività dice il giusto, ma ora deve spingersi oltre per innalzare la somma annuale e totalmente esentasse. La sinistra? Propongono soluzioni che possono essere un boomerang per i lavoratori. Il commento di Raffaele Bonanni

La querelle sul salario minimo sicuramente sarà la nuova occasione che salderà fortemente il rapporto di alleanza tra il “nuovo” Pd ed il M5S.

Concepito da tempo da quest’ultimi, tanto se n’è parlato a proposito e sproposito che è diventato il surrettizio argomento per parlare di salari bassi di lavoro e di giustizia sociale. Insomma è diventato a tutto tondo il simbolo della redenta sinistra, ma come accade a coloro che sono in ritardo e hanno fretta, propongono soluzioni che possono essere un boomerang per i lavoratori e il sistema delle relazioni industriali.

Non è bastata neanche la comunicazione della Commissione europea che ci esclude dal dover legiferare, con Svezia, Danimarca, Finlandia, Austria dall’intervenire sui minimi salariali in ragione di una diffusione contrattuale che supera dell’80% la platea di lavoratori coperti dai contratti collettivi nazionali. Nel nostro Paese non c’è settore merceologico che non sia compreso dalla copertura dei contratti sottoscritti dalle organizzazioni delle imprese e dei lavoratori maggiormente rappresentativi.

Qualche contrattucolo che indica come pirata corrisponde alla dimensione di una pagliuzza di un covone di spighe di grano, promosso da chi attraverso il gioco al ribasso dei minimi salariali, vuole inserirsi da furfante nel ricco sistema della bilateralità. E comunque i giudici del lavoro nel giudicare le trasgressioni delle imprese ai danni dei lavoratori, hanno sempre considerato i contratti più rappresentativi per stabilire i minimi salariali che comunque sono adeguati.

Per mettere fine ai cosiddetti pirati, basterebbe un provvedimento del ministero del Lavoro e una sorveglianza dell’ispettorato Inps per combattere contribuzioni al di sotto della soglia prevista. Ed allora perché scomodare il Parlamento per addirittura fare una legge sui minimi salariali per surrogare il ruolo delle parti sociali e compromettere le collaudate ed estese infrastrutture contrattuali? In questo senso le affermazioni del presidente Meloni sulla ulteriore compromissione della situazione, sono sostanzialmente fondate. Ed infatti intervenire fiscalmente, alleggerendo il peso fiscale sulle buste paga dei lavoratori italiani, il più alto d’Europa, questo sì che farebbe la differenza.

Ma lo farebbe ancor di più rompere il tabù di certa sinistra che influenza ancora le relazioni industriali, che insiste nell’osteggiare il proposito di incentivare fiscalmente la produttività di salario e partecipazione agli utili. Sono convinto da decenni che i bassi salari sono la conseguenza della incuria dei fattori dello sviluppo che provoca scarsa competitività, e parti sociali che non disegnano un quadro contrattuale orientato alla produttività.

Quando Meloni dice che occorre altro, dopo che ha portato al 5% il carico fiscale per 3 mila euro in un anno di salario di produttività dice il giusto, ma ora deve spingersi oltre per innalzare la somma annuale e totalmente esentasse. Dia così una indicazione concreta ai lavoratori per un cambiamento contrattuale e culturale. Di garanzie di minimi salariali invece ne avrebbero bisogno i più precari di tutti: quelli che non dispongono di alcuna copertura contrattuale, alcuni para-subordinati e le partite iva impegnate a svolgere lavori a basso e medio contenuto professionale. Sono coloro che pur lavorando alle dipendenze di una azienda, non sono dipendenti. Va sottolineato che queste figure esistono solo da noi, sconosciute in ogni Paese industrializzato.

Un’area del lavoro a tratti opaca, spesso senza controlli e garanzie. Spesso sono lavoratori dipendenti sotto mentite spoglie grazie agli arzigogoli giuridici che li rendono legali. Figure dunque autonome e in parte svincolate da molti obblighi costosi per le aziende con cui collaborano. Ecco perché sono cresciuti molto di numero e con essi la mancanza di garanzie salariali. Molti di queste persone o accettano il compenso che gli propone chi l’ingaggia oppure rimangono disoccupati. Ebbene, per costoro sarebbe proprio il caso stabilire un minimo di 9 euro orari, prigionieri come sono del limbo in cui sono imprigionati. Si otterrebbe un grande risultato contro le ingiustizie, ma finalmente fuori una narrazione confusa, non vera, ormai ostacolo per raggiungere nel mondo del lavoro giustizia sociale nella modernità.


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