Il Congresso Nazionale del popolo ha eletto questa mattina i nuovi vertici delle istituzioni del Paese. La scelta del nuovo capo della Difesa è una sfida a Washington, che dal 2018 lo ha sanzionato per via dell’acquisizione di armi russe. Ma non è stata l’unica novità della giornata arrivata da Pechino
Un nuovo ministro della Difesa, sotto sanzioni statunitensi. Se volessimo trovare del simbolismo nella lotta tra Cina e Stati Uniti, la nomina del generale Li Shangfu potrebbe essere l’immagine perfetta. Il prossimo capo della Difesa nazionale e consigliere di Stato, che sostituirà l’ormai pensionato Wei Fenghe, è stato nominato all’unanimità dal Congresso nazionale del popolo, di scena domenica a Pechino. Di professione nasce come ingegnere aerospaziale e, come ricordato da Bloomberg, diventerà il primo proveniente dalla Forza di supporto strategico dell’esercito – una sezione istituita otto anni fa affinché ci si concentrasse sulla guerra spaziale, cyber ed elettronica – a ricoprire la massima carica al dicastero. Non è però di certo questa particolarità a rendere la sua nomina una mossa politica come poche altre.
Dal 2018, infatti, Li Shangfu è presente nella lista nera dei sanzionati stilata dal governo americano per aver cooperato con la Difesa o l’intelligence della Russia. La sua figura è stata infatti centrale nell’acquisto di caccia Su-35 e sistemi missilistici di contraerea S-400, venduti dalla russa Rosoboronexport a Pechino – quando oggi l’accusa che arriva da Washington è esattamente l’opposto, ma non ci sono prove concrete a riguardo. Un ruolo che gli è costato parecchio, con il divieto di transazioni nel sistema finanziario americano, quello in valuta estera sotto la giurisdizione a stelle e strisce, il congelamento dei beni in America e la revoca del visto per entrarci.
La domanda quindi sorge spontanea: perché la Cina ha scelto, per il proprio ministero della Difesa, un politico che non può mettere piede negli Stati Uniti? Di fronte questo interrogativo, ci sono due tipi di risposte. Entrambe sono di natura politica, entrambe strategiche ma una di carattere più nazionale, l’altra di politica estera.
Scegliere Li Shangfu è stata una decisione con cui la Cina intende perseguire la via del suo rinnovamento militare, puntando ad avere un esercito moderno e d’avanguardia entro il centenario della Repubblica popolare (2049), testimoniata dal costante ritmo degli investimenti nella difesa (223 miliardi di euro, leggermente di più rispetto a un anno fa).
Non solo, perché è anche una decisione che punta, letteralmente, allo spazio. Il suo nuovo ministro della Difesa si è infatti laureato alla National University of Defense Technology cinese e il suo passato da ingegnere aerospaziale, mentre lavorava al Centro di Xichang, lo ha portato a svolgere una funziona di primo piano nella supervisione del lancio della prima sonda lunare mandata in orbita da Pechino. Lo spazio è il terreno di scontro del futuro e il Partito Comunista Cinese non vuole arrivare in ritardo a questa maratona, che ha molti iscritti ma un vero leader da battere: sempre loro, gli Stati Uniti.
Proprio in questo senso, sembrerebbe che la mossa di puntare su Li Shangfu sembra essere dettata dalla rivalità con Washington. A differenza di quanto si erano detti durante il G20 di Bali i due presidenti, Xi Jinping da una parte e Joe Biden dall’altra, in questo modo i canali di comunicazione tra le parti andranno inevitabilmente a chiudersi. Sarà difficile, infatti, per gli americani accettare di interloquire con un soggetto da loro sanzionato. Sarebbe una realtà troppo nuova per le relazioni internazionali, secondo lui il riconoscimento può avvenire anche de facto. Nel caso in cui il capo del Pentagono, Lloyd Austin, dovesse ad esempio accoglierlo, sarebbe un segnale di debolezza per l’America agli occhi degli altri sanzionati.
Da vedere, dunque, in che modo cambieranno (e se cambieranno) le relazioni tra le due sponde del Pacifico. Il timore è che un peggioramento dei rapporti, già logori, possa aumentare il rischio di conflitto. La tensione è ormai palpabile e nessuna delle due fa nulla per abbassare i toni. D’altronde, la presentazione del nuovo ministro degli Esteri cinese Qin Gang, che ha avvertito gli Usa di un conflitto inevitabile se Washington non “tira il freno”, rende bene l’idea di quanto sia irrespirabile l’aria.
Quella di Liu Shangfu non è stata tuttavia l’unica nomina del giorno. Il terzo mandato di Xi Jinping, che ormai si è auto investito della carica a vita, è iniziato con alcune conferme e una serie di volti nuovi, ma molto vicini a lui. Rimarranno al loro posto il governatore della Banca centrale, Yi Gang, così come il ministro delle Finanze, Liu Kun, tutti e due oltre i limiti di età che gli consentono la rielezione, ma Xi Jinping ha preferito soprassedere. Confermato nelle vesti di vicepremier anche He Lifeng, da anni al seguito del presidente cinese che dovrebbe affidargli le redini della politica economica del Paese. Gli altri vice saranno Ding Xuexiang, già a capo del gabinetto presidenziale, Zhang Guoqing e Liu Gouzhong, che hanno assunto cariche provinciali in giro per la Cina. Alla guida del dicastero della Pubblica sicurezza andrà Wang Xiaohong, ex capo della polizia a Fuzhou nell’ultimo decennio dello scorso anno. La novità più assoluta sembrerebbe tuttavia Shen Yigin, unica donna consigliere di Stato.
Pechino ha presentato dunque la sua nuova squadra, con cui continuerà la sua competizione con gli Stati Uniti. Per conoscerli meglio, a Washington staranno già consultando le loro carte. Comprese quelle dove inseriscono i nomi degli sgraditi.