Non la diversità religiosa, bensì il pantano nazionale e internazionale alimentato dalla corruzione sta spingendo questo gigante ricchissimo verso il baratro. Il commento di Riccardo Cristiano dopo le elezioni vinte da Bola Tinubu
L’incendio divampa davanti a una foresta di palme. Ufficialmente risultano carbonizzate dodici persone, cinque jeep e una motocicletta, ma tutti sostengono che i morti siano molti di più. Lì accanto corre un oleodotto di proprietà di Shell: proprio come un anno fa, quando morirono in un analogo disastro più di cento persone, anche quest’anno un tentativo di furto di petrolio per le raffinerie illegali della Nigeria è andato male, a conferma della frequenza di questi episodi.
Il punto che lega questo ennesimo disastro nigeriano alle elezioni è evidente: l’illegalità. Questo gigante ricchissimo, ancor più affluente per l’interesse commerciale che i suoi giacimenti petroliferi hanno creato nel mondo in un tempo segnato dalla riduzione del petrolio in circolazione e quindi della sua maggiore appetibilità, ha un prodotto interno lordo in crescita del 3%, ma più del 60% dei 220 milioni di abitanti (età media poco più di 18 anni) rimane in condizioni di povertà, moltissimi di loro di estrema povertà.
Il primo dato rilevante è questo: il vincitore Bola Tinubu ha avuto più di otto milioni di voti, i suoi due principali sfidanti ne hanno avuti quasi sette e circa sei. Davvero in Nigeria l’astensionismo può essere così alto? Conoscendo il livello di corruzione e di frode che tormenta da tanti anni il Paese non è legittimo il sospetto delle opposizioni che il voto sia stato “ritoccato”? Qualcuno, come padre Giulio Albanese che ne ha scritto giorni fa su Avvenire quando questi dati definitivi ancora non erano noti, ipotizzava che se fosse andata davvero così non si poteva escludere che milioni di schede avessero preso la strada sbagliata e quindi non siano state conteggiate. In Nigeria e con un partito al potere che in questi anni ha dato per tutti gli osservatori una pessima prova di sé, anche un fatto del genere potrebbe non sorprendere. Ma qui, a dati definitivi annunciati ufficialmente, il divario tra aventi diritto al voto e votanti appare sconcertante. Nel totale riportato dai media nigeriani si sarebbero presentati alle urne poco più un’inezia di elettori.
Senza voler dire che il fronte delle opposizioni sia onesto e il partito al potere corrotto, il fronte delle opposizioni indicava proprio il problema della corruzione come suo punto di scontro con il fronte rivale e invece i votanti, in un Paese giovanissimo, hanno scelto un settantenne, che ha governato ( o sgovernato) il distretto della capitale, Lagos, negli ultimi anni, fino a ora.
La solerzia con cui le grandi potenze, a cominciare da Stati Uniti e Regno Unito, si sono complimentate con il vincitore, non dà grandi speranze ai ricorsi per brogli presentati dagli sconfitti alla commissione elettorale.
Così non si può che prendere atto di un’altra preoccupazione per quello che sarà il futuro della Nigeria del vincitore, Bola Tinubu, fedele seguace dell’uscente Muhammadu Buhari: è saltata la legge non scritta dell’alternanza tra cristiani e musulmani alla presidenza.
I rapporti non certo facili tra musulmani e cristiani in Nigeria – anche per l’uso del terrorismo e la difficile convivenza tra tribù di pastori e agricoltori – ha indotto la Nigeria a seguire una norma non scritta per cui a un presidente cristiano ne segue uno musulmano, o viceversa. Ora la costituzione materiale – per così dire – non è stata seguita. Il partito di Buhari, musulmano, ha puntato su un altro musulmano, Bola Tinubu, e ha vinto. Questo potrebbe costituire un problema aggiuntivo quando si parla di brogli così pesanti.
Si capisce allora perché lo scrittore nigeriano Femy Kayode abbia dichiarato già nei giorni scorsi che il voto conferma il trend in corso da tempo: “Il Paese è destinato all’inferno”. Ma a metterlo in questa direzione non è la diversità religiosa, bensì il pantano nazionale e internazionale alimentato dalla corruzione.