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La possibilità di una rinascita nucleare italiana. Intervista a Gava (Mase)

Di Federico Di Bisceglie e Otto Lanzavecchia
Vannia Gava

Il nucleare gioca un ruolo sempre più importante per la decarbonizzazione, garantendo energia costante e pulita. E l’Italia, che conserva il suo patrimonio di conoscenza, può e deve riconsiderare questa tecnologia strategica. Conversazione con il viceministro all’Ambiente e alla sicurezza energetica all’indomani della presentazione del Net Zero Industry Act e del Critical Raw Materials Act

All’indomani della presentazione dei pacchetti-legge che fungeranno da pilastri per l’industria europea delle tecnologie verdi, quello del nucleare è ancora un dossier conteso. Ma in Europa e nel mondo aumentano gli attori che si affidano a questa tecnologia, affiancandola alle rinnovabili come soluzione per decarbonizzare. L’Italia, anch’essa impegnata a trovare la quadra della transizione energetica, è storicamente avversa. Ma il governo a guida Giorgia Meloni guarda al nucleare e alle tecnologie in divenire con rinnovato interesse, innervato di pragmatismo. Ne abbiamo parlato con Vannia Gava, viceministro all’Ambiente e alla sicurezza energetica in quota Lega.

Qualche giorno fa ha paventato il rischio che l’Ue eliminasse il nucleare dalla bozza del piano industriale Net Zero, che deve ancora passare al vaglio del Parlamento e del Consiglio Ue. È un’ipotesi concreta?

Nella versione definitiva del Net Zero Industry Act presentata giovedì dalla Commissione europea il nucleare c’è: tra le tecnologie che dovremo produrre nei confini dell’Unione europea per unire decarbonizzazione e indipendenza strategica, infatti, compaiono anche le “tecnologie avanzate per produrre energia da processi nucleari con scarti minimi dal ciclo del combustibile, piccoli reattori modulari e relativi combustibili best-in-class”. Il buonsenso ha vinto sull’ambientalismo ideologico.

Certo, la misura può essere meno incisiva di quanto ci saremmo aspettati leggendo la bozza, che presentava un elenco molto più sintetico. Del resto, lo ricordiamo, il Nzia è un’iniziativa per mettere a sistema una cornice legislativa più snella, in grado di semplificare le procedure autorizzative per la realizzazione degli investimenti utili alla decarbonizzazione, un meccanismo vincente per rispondere all’Inflation Reduction Act degli Usa e al piano per la transizione energetica del Giappone, smobilitando nel Vecchio continente risorse private e pubbliche, prime tra tutte quelle di RePowerEU.

Va sottolineato, ad ogni modo, che l’inserimento del nucleare nel Nzia in questa formulazione è quanto meno coerente con il contenuto dell’atto delegato alla direttiva Red II presentato qualche settimana fa dalla Commissione europea, secondo il quale viene definito “verde” l’idrogeno prodotto proprio tramite l’energia nucleare. Il ruolo dell’energia nucleare è duplice: fondamentale per assistere le fonti rinnovabili nella produzione continua di energia elettrica senza emissioni ed essenziale per alimentare i processi altamente energivori, tra i quali proprio l’elettrolisi per produrre idrogeno verde o rinnovabile.

Paesi come la Francia vogliono mantenere il nucleare tra le tecnologie strategiche per l’industria green tech europea, altri lavorano in senso contrario. Qual è la posizione del governo italiano? Che tipo di ripercussioni prevede?

Il Governo italiano da sempre sposa un principio di neutralità tecnologica: se si crede realmente nella transizione energetica, nessuna fonte di energia deve essere demonizzata né esaltata a priori, ma studiata e valutata. L’eolico e il fotovoltaico sono, per loro natura, fonti intermittenti e discontinue e, siccome non esistono ancora adeguati sistemi di accumulo e di stoccaggio per grandi quantità di energia, occorre assicurare una fornitura minima continua e programmata – che nel linguaggio tecnico si definisce baseload – tramite altre fonti sicure e sempre disponibili. Oggi questo compito lo assolvono gas e carbone, rispettivamente per il 43% e l’8%.

In un percorso di decarbonizzazione, il mix energetico non può prescindere da una quota integrativa di fonti continuative come l’idroelettrico, la bioenergia e il nucleare. L’aggiornamento del Pniec, il Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, può essere l’occasione per promuovere una revisione complessiva delle politiche energetiche e climatiche, per favorire la crescita e garantire la sicurezza nella transizione, scegliendo oggi le strade più promettenti per il futuro. Il primo passo è sicuramente incentivare la ricerca, quindi iniziare a disegnare un quadro giuridico aggiornato, che riapra al nucleare dopo i due referendum del 1987 e del 2011, su cui dovrà lavorare il Parlamento.

Pochi giorni fa il segretario della commissione Ambiente alla Camera, Gianpiero Zinzi, ha presentato una risoluzione proprio per sostenere la creazione di centrali nucleari di nuova generazione. Crede che la risoluzione possa avere il sostegno della maggioranza?

Si tratta di avere una visione coraggiosa e di programmare strategie a lungo termine, nella consapevolezza che bisogna rispettare gli impegni di decarbonizzazione senza spegnere l’industria del Paese. Per il Governo e le istituzioni è una sfida importante, una responsabilità doverosa di chi è chiamato a guidare un Paese nel mezzo di una crisi economica, energetica e geopolitica. Stiamo comunque parlando di tecnologie ampiamente diffuse ed utilizzate in tutto il mondo, come la fissione nucleare, e di nuove soluzioni, come la fusione a confinamento magnetico, su cui l’Italia, attraverso l’Enea, l’Istituto nazionale di Fisica Nucleare (Infn), il Cnr e molte università e aziende private, conduce ricerche avanzatissime dall’alto potenziale.

Se si verificassero le condizioni necessarie, che ruolo immagina per il nucleare nel panorama energetico italiano?

Il ruolo del nucleare non potrà che essere centrale per la decarbonizzazione del sistema energetico. A differenza dell’energia termoelettrica da gas e carbone, l’energia nucleare può essere considerata carbon free e con un ridottissimo impatto ambientale: sia nella fissione che nella fusione il livello delle scorie è contenuto, sia in termini di quantità, sia in termini di pericolosità. In aggiunta, l’energia nucleare è continuativa e potrà affiancare la produzione di energia da fonti rinnovabili, pronta ad intervenire nei momenti in cui non vi è sole o vento per soddisfare la domanda e garantire la stabilità della rete elettrica. Infine, la facilità di reperimento del combustibile nucleare e la maggiore densità energetica sono in grado di assicurare autonomia ed indipendenza in termini di approvvigionamento. Se vogliamo avanzare una stima, per sostituire i 38 miliardi di metri cubi di gas che oggi importiamo per produrre energia elettrica, possiamo ipotizzare che siano necessari 15 reattori da 1600 megawatt.

Quali sono, secondo lei, gli asset strategici sui quali Italia e Ue si devono concentrare con urgenza nel piano industriale? L’Italia, ad esempio, conserva ed esporta know-how industriale. Possono fungere da base di partenza per immaginarsi una rinascita nucleare italiana?

Per agganciare la decarbonizzazione e la sfida della neutralità climatica ci ritroviamo, purtroppo, a dover rincorrere la Cina nell’approvvigionamento delle materie prime critiche: terre rare per l’elettrificazione e la transizione ecologica, semiconduttori per la digitalizzazione, ma anche materiali per implementare i processi di economia circolare sostituendo i combustibili fossili, come possono essere i rottami ferrosi per la conversione degli altiforni delle acciaierie in forni elettrici. Il Nzia dovrà essere efficace in questi settori, sì da convincere le nostre imprese a realizzare grandi impianti per la produzione di microchip, batterie, pannelli fotovoltaici e pale eoliche.

In Italia presto arriveranno le gigafactory, che spesso sono frutto di riconversioni industriali e costituiscono un’opportunità ambientale e sociale prima che industriale. L’Italia è il secondo Paese manifatturiero d’Europa e abbiamo compreso negli scorsi mesi quanto energivora sia la nostra industria. Il nucleare, pertanto, permette di produrre energia a costi di produzione fissi e concorrenziali a lungo termine ed è la soluzione per decarbonizzare e rendere competitivi, anche nei mercati internazionali, i settori più energivori come l’industria dell’acciaio, del vetro, del cemento e della ceramica.


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