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Playground-Il patto del silenzio, neorealismo alla Montessori

Il belga “Playground” (“Il patto del silenzio”, 2023) di Laura Wandel racconta magistralmente il bullismo alle elementari in uno stile da asciutto documentario travestito da forte denuncia poetica. Un film che diventerà un classico proiettato nelle scuole di tutto il mondo. La recensione del critico e preside Eusebio Ciccotti

Dovrete avere un po’ di pazienza. La camera è a mano, asfissiante, claustrofobica. Quasi sempre sul volto e le azioni di Nora (Maya Vanderbeque, dai tempi di Enzo Stajola, Ladri di biciclette, non si vedeva un bambino così perfettamente diretto), sei o sette anni. L’incipit la vede abbracciata a sua fratello, Abel (Günter Duret, semplicemente perfetto nella sua reticenza costruita di sguardi), undici anni. È il primo giorno di scuola. Nora non vuole staccarsi da Abel. I due corpi fusi riempiono l’inquadratura, quasi a deflagrarla. Ella ha affondato la sua testolina, dai capelli folti alla maschietta, sul tronco di suo fratello. Intorno, di tanto in tanto, la camera inquadra pezzettini di un ampio cortile. Centinaia di bambini. Vociare continuo over. Tutto ciò che è inquadrato al di là dei primi piani, primissimi, e mezze figure, dei due fratellini, ossia lo sfondo, è volutamente fuori fuoco. La camera sarà sempre ad altezza di Nora o di Abel (quando è il suo turno nel racconto filmico). Una regia per Playground (Il patto del silenzio, 2023) di Laura Wandel, che potremmo definire “alla Montessori”.

Abel, dolcemente la stacca da sé, scioglie quell’abbraccio vitale, ombelicale, che la piccola non intende allentare: «non puoi entrare con me, picchierebbero anche te». Abel si allontana. Nessuno li ha sentiti. Tranne lo spettatore. Dopo appena trenta secondi, siamo in medias res. Al corrente di un segreto. E che segreto. Abel si allontana, entra in campo una voce maschile di un uomo. Ora questi si abbassa all’altezza di Nora, è il padre. Lo spettatore lo vede di profilo. È un papà giovane, con la barba nera. «Nora, coraggio, non puoi sempre contare su Abel. Devi essere indipendente».

Arriva una maestra, vediamo solo le gambe coperte dal grembiule, prende per mano la piccola Nora, con gli occhi luccicanti di lacrimoni, e la porta verso il fondo del cortile, sempre sfocato, pieno zeppo di figure che si muovono. Bambine, bambini di ogni età e maestre. Un chiamarsi continuo. La bambina si divincola, corre indietro verso il padre. Lacrime. Poi viene dolcemente ripresa dalla maestra e riportata verso il centro del cortile. Nora si gira più volte con gli occhi grandi e supplicanti, senza emettere un grido, una voce, guarda verso il padre: in realtà sta guardando verso noi seduti comodi nella poltrona della sala. Per tutto il film saremo noi quelli cui Nora e Abel rivolgeranno una richiesta di aiuto. La maestra e Nora si dirigono verso il fondo del cortile che si immette nell’edificio, tramite un ampio corridoio trasversale, proletticamente scuro.

Abel è picchiato regolarmente da altri due ragazzi, al comando di uno spilungone. Egli vieta a Nora di raccontarlo in casa (abitazione che non vedremo mai). La piccola un giorno cede e lo accenna al padre, fuori dalla scuola. Il genitore ammonisce i ragazzi ma questi intensificano i maltrattamenti: Abel viene chiuso in un cassonetto della spazzatura. Abel a Nora: «Se lo dici a papà sei morta». Abel inizia a farsi la pipì addosso. Quando si siede a mensa, puzza. Tutti lo deridono.

Un giorno Abel non vuole varcare la soglia del cancello della scuola. Il padre lo convince e poi ottiene un colloquio con i docenti, il preside e i genitori dei bulli. Siccome minaccia una denuncia tutto rientra. Il giorno successivo, il padre si ferma sul cancello esterno della scuola, a guardare nel cortile, durante la ricreazione. Chiama Nora per chiedere di Abel. Nora non lo vuol vedere lì, perché nessun genitore viene a vedere durante il giorno i giochi dei piccoli. Ora si vergogna del padre. Il bullismo, ci dice Wandel, altera i sereni rapporti tra i familiari. Nora: «Papà perché non fai un lavoro come tutti gli altri padri?»/«Il mio lavoro è occuparmi di voi».

Finalmente Abel viene lasciato in pace. Nel frattempo Nora, invitata inizialmente a una festa da una bambina leader, piuttosto razzista e cattivella (Wandel non la inquadra quasi mai: solo la vocina antipatica), è da questa esclusa per via di Abel che si fa la pipì addosso. Nora non accetta l’esclusione dalla festa; le strappa i biglietti di invito dalle mani, stacciandoli. Poi, con l’auto di una comprensibile giovane maestra, li rincolla con lo scotch. La sua crisi è rientrata.

Nel frattempo Abel è diventato carnefice (è il “modello psicologico Malpelo” introdotto da Giovanni Verga in Rosso Malpelo). Insieme a un altro ragazzo, bullizzano un coetaneo di colore, Ismael. Nora vede e tace. Un giorno Abel e il suo complice, sempre in un angolo del cortile, durante la ricreazione, infilano una busta di plastica nella testa di Ismael, quasi soffocandolo. Ismael è a terra, si difende come un animale ferito, agita le gambe disperatamente, perdendo gradualmente forza. Nora vede la scena da lontano. Corre verso i tre. Con le sue braccine si avvinghia ad Abel, lo chiama forte, ripetutamente, tenta di staccarlo dalla terribile azione contro Ismael…

Aula, piscina, palestra, cortile. Wandel mostra la vita scolastica in una sorta di via crucis quadrata. Un metaforico ring. Nora impara a scrivere. Nora, come le altre, in piscina, si impegna. Nora, talvolta, non risponde alle domande dell’insegnante o non sa fare i bene calcoli, perché è angosciata, pensa ad Abel picchiato nel cortile.

Sul piano della verosimiglianza nella ricostruzione della vita scolastica Il patto del silenzio presenta qualche esitazione. Oggi, per esempio. è vietato mandare un minore fuori dalla porta da solo, per «calmarsi». Inoltre, la scarsa sorveglianza in cortile, soprattutto dopo il primo allarme del padre, non appare veritiera: qui la fiction esagera nel dramma, ma è funzionale al racconto. Più credibile il messaggio: i piccoli spesso non confessano per paura di esser poi considerati deboli e non degni di amicizia nel gruppo, quindi emarginati. Nora: «Se dici la verità peggiori le cose».

Playground, guardando al neorealismo e al documentario, è un racconto, asciutto, senza fronzoli, compatto come una lama dentro qualcosa di gomma. La violenza dei piccoli dentro l’omertà. Diventerà un film cult da proiettare in classe.

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