Il boss della Wagner si candida alla presidenza ucraina e vuole trasformare il contractor para-statale in un’entità stabile. Oggi la sua legittimità a operare dipende solo dal vertice politico (non militare) russo e a esso risponde direttamente. L’analisi di Igor Pellicciari, ordinario di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Urbino
Il fondatore della compagnia militare privata Wagner, Evgenij Prigozhin, inizia ad esplicitare con sempre maggiore chiarezza le sue ambizioni politiche. In un video-messaggio trasmesso ieri sul canale della compagnia, infatti, egli ha detto che dopo la “liberazione” di Bakhmut, intende “riavviare” la Wagner, trasformandola in un vero e proprio esercito dotato di un’ideologia – la lotta per la giustizia – e capace di difendere lo Stato.
Come scrive Nova, la provocazione prosegue con la sua candidatura alla presidenza dell’Ucraina il prossimo anno. “Ho preso la decisione di candidarmi alla presidenza dell’Ucraina nel 2024. Concorrerò con Poroshenko e Zelensky per questa posizione. Se vinco le elezioni, allora andrà tutto bene. Le granate non saranno necessarie”, ha detto Prigozhin su Telegram.
Per capire meglio le dinamiche della Wagner, è utile leggere l’analisi di Igor Pellicciari, ordinario di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Urbino, apparsa sulla rivista Formiche di marzo 2023, che pubblichiamo di seguito.
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Un corpo estraneo
Non sorprende l’interesse che da tempo il gruppo Wagner suscita nell’opinione pubblica occidentale, preesistente alla guerra in Ucraina ma da questa ovviamente amplificato.
Le realtà paramilitari sono contesti ai più sconosciuti – tanto più se russi – ma sollecitano un solido immaginario fatto di decine di richiami in sceneggiature cinematografiche e produzioni letterarie che ruotano attorno alla figura maledetta del mercenario, tra gli eroi negativi preferiti del genere bellico.
Oggi, complice un infotainment bulimico di opinioni ma scarno di notizie sul conflitto, ci si è soffermati su aspetti simbolici e aneddoti folkloristici funzionali a raffigurazioni romanzate del fenomeno, che hanno portato a considerazioni azzardate sul ruolo militare che il gruppo Wagner ricopre nel conflitto e su quello politico che gioca a Mosca.
Sul piano dell’azione armata, la fatica a decifrare dall’esterno quali siano i protocolli di ingaggio di Wagner rispetto all’esercito regolare russo ha dato adito a interpretazioni opposte sul suo modus operandi.
La prima è che il gruppo risponda alle sole indicazioni del suo fondatore, Evgeny Prigozhin, che a sua volta deciderebbe in autonomia forte di una potente copertura politica, ripetendo un modello di esercito privato da battaglia simile a quello serbo delle tigri di Arkan all’epoca delle guerre in Croazia e Bosnia ed Erzegovina.
La seconda ipotesi è che il gruppo sia una longa manu russa per svolgere missioni che per qualche motivo – geopolitico o strategico – non possono essere assegnate alle forze armate ufficiali, simile a una delle Private military companies (Pmc) utilizzate dagli Usa a supporto delle Special operation forces (Sof).
In realtà l’azione di Wagner risente del forte statalismo e della rigidità delle gerarchie istituzionali russe, culturalmente lontane dalla delega di un qualsiasi potere decisionale pubblico a soggetti esterni privati, non importa se nazionali o internazionali.
Strutturatosi inizialmente come unità armata privata di dimensioni contenute, secondo una prassi diffusa nei confusi anni Novanta nelle realtà periferiche dello spazio post-sovietico, la crescita di Wagner ai livelli attuali di un vero e proprio esercito non sarebbe potuta avvenire senza un esplicito sostegno del Cremlino.
In un Paese non abituato alla figura del contractor di derivazione statunitense e dove i principali asset sono tutti di stretta produzione statuale (energia, vaccini, armamenti), Wagner è un corpo estraneo non solo all’esercito ma a tutta la mastodontica funzione pubblica russa.
Semplificando, è una sorta di contractor para-statale, ovvero un soggetto privato la cui legittimità a operare dipende solo dal vertice politico (non militare) russo e a esso risponde direttamente. E integralmente.
Non tenerne conto può portare al recente abbaglio preso da molti osservatori sull’attuale (e futuro) ruolo politico di Wagner. A gennaio 2023 alcuni media avevano ipotizzato che Prigozhin avrebbe potuto svolgere ruoli istituzionali di prim’ordine – addirittura al posto di Vladimir Putin stesso – salvo poi, solo un mese dopo, riferire della sua scomparsa dai riflettori in seguito alle sue feroci critiche al ministero della Difesa e allo Stato maggiore russo per eccesso di tatticismo nella campagna militare in Ucraina.
L’errore di valutazione è duplice: nel dare a Prigozhin un eccessivo spessore politico e nel pensare che le sue accuse fossero spontanee e rivolte, oltre che ai vertici dell’esercito russo, anche a quelli politici del Cremlino.
In primo luogo, per una eventuale carriera istituzionale Prigozhin ha il pesante handicap di essere una figura estranea al deep state tecnocrate russo, all’interno del quale tradizionalmente viene scelta la prima fila della leadership al Cremlino.
Inoltre, se la sua prosa violenta e gotica ha goduto di spazio mediatico è grazie all’indicazione del Cremlino stesso, che aveva l’obiettivo di responsabilizzare pubblicamente le gerarchie militari per i problemi riscontrati in Ucraina e dare sfogo alla pancia patriottica e radicale del Paese favorevole al pugno di ferro di sovietica memoria contro Kiev.
In questo contesto, il personaggio mediatico Prigozhin ripropone una tecnica di comunicazione istituzionale che ruota attorno alla figura del “super-falco” battitore libero, in passato avuta da Vladimir Žirinovskij, interprete di un linguaggio volutamente truce, sopra le righe, non istituzionale.
A marcare la spontaneità di critiche che tuttavia hanno dei target mirati, concordati, come tutto il resto, con il Cremlino.