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La realpolitik è finita. Parla il vice-ministro Meilūnas

Con il viceministro degli Esteri lituano Egidijus Meilūnas abbiamo parlato della difesa dell’Ucraina come priorità assoluta, dell’ingerenza cinese e russa, del rapporto (ottimo) con Taiwan e il Giappone. E poi i tre temi principali da affrontare nel summit Nato di Vilnius. Perché Mosca “sarà una minaccia ancora a lungo”

 

Come respingere l’attacco delle autocrazie al cuore delle democrazie? L’ambasciata lituana a Roma, insieme all’International Republican Institute, ha organizzato una conferenza per discuterne, con un approccio internazionale e bipartisan: nei panel erano presenti, tra gli altri, Enrico Borghi (Pd), Giulio Terzi di Sant’Agata (FdI), Giulia Pompili (Il Foglio), Brigham McCown (Hudson Institute). Ospite dell’evento era Egidijus Meilūnas, vice-ministro degli Esteri lituano con delega alla sicurezza e alla cooperazione multilaterale, con cui ho fatto una lunga conversazione sull’Ucraina, l’ingerenza cinese e russa, i rapporti con Taiwan, il summit Nato di giugno, le relazioni antiche tra Roma e Vilnius e il futuro dell’Europa.

La Lituania è un caso unico al mondo: negli ultimi due anni ha dovuto affrontare il bullismo commerciale cinese – come rappresaglia per l’apertura di un ufficio di rappresentanza di Taiwan – e l’imperialismo di Putin, che prima e durante l’invasione dell’Ucraina ha sostenuto la ricostruzione della Grande Russia, e che l’indipendenza dei Paesi che furono occupati dall’Unione sovietica è solo un errore della storia.

Nel 2012 Pechino ci invitò in quello che è oggi il “16+1”, un accordo di cooperazione con i Paesi del centro ed est Europa. In pochi anni ci siamo resi conto che l’intento non era rafforzare le nostre economie ma che si trattava di un progetto geopolitico per dividere l’Unione europea. Per questo nel 2021 ne siamo usciti, e abbiamo costruito un rapporto con Taiwan. La Cina da quel momento ha scatenato una guerra commerciale contro di noi, dalla quale siamo riusciti a sfuggire grazie ad accordi con altri Paesi. È un paradosso: ha beneficiato per 30 anni del sistema internazionale libero, aperto e globalizzato, basato sulle regole, ma ora il suo obiettivo è distruggerlo e sostituirlo con un modello autocratico. In Europa dobbiamo rendercene conto.

Come avete vissuto dall’invasione dell’Ucraina a oggi?

Purtroppo quello che sarebbe accaduto lo sapevamo da tempo. Bastava leggere le opere di Aleksandr Dugin, l’ideologo di Putin i cui libri sono i testi ufficiali delle università russe. È tutto scritto lì, e avvelena le menti da 25 anni. Basta aprirli per capire come la storia è stata riscritta, inventata, stravolta, come nazioni millenarie sono state declassate a meri vassalli di Mosca. C’è un video su Youtube, tuttora online nonostante le nostre denunce, in cui ripete urlando che gli ucraini devono essere uccisi. Ecco un altro paradosso: un regime che uccide e incarcera i dissidenti sfrutta la nostra libertà di espressione per diffondere propaganda. Ora stanno sterminando un popolo perché non vogliono solo conquistarne il territorio, ma eliminarne l’identità. Per questo dobbiamo essere forti e uniti nel sostenere Kyiv, militarmente, politicamente, economicamente. La difesa dell’Ucraina è la difesa di tutta l’Europa. È il punto più importante di qualsiasi politica estera oggi.

L’anno prossimo cade il 20° anniversario della vostra adesione all’Ue e alla Nato. L’allargamento del 2004, in cui sono entrati 10 nuovi membri, è stato raccontato spesso in chiave negativa: un’Unione così ampia vuol dire più burocrazia, processi decisionali rallentati, economie e sistemi politici non facili da integrare. Oggi mi pare invece che lo spirito europeo sia più forte che mai oltre la ex Cortina di ferro, e che l’impulso, anche nel sostegno all’Ucraina, arrivi da est più che dai Paesi fondatori. Qual è il suo bilancio?

Siamo un caso di successo del processo di integrazione. Il nostro Pil pro capite è passato dall’essere il 40% della media Ue a quasi il 90%. Siamo l’esempio di come si può diversificare le proprie fonti energetiche anche senza un’emergenza: fino al 2015 importavamo quasi il 100% del nostro gas dalla Russia. L’anno scorso abbiamo portato quel numero a zero, primo Paese dell’Unione, grazie al rigassificatore Gnl costruito a Klaipéda, che ci permette di rifornirci sul mercato globale e di garantire forniture anche a Estonia e Lettonia. I Paesi entrati insieme a noi nell’Ue rappresentano il gruppo più entusiasta del progetto europeo che ci sia in questo momento. Ora dobbiamo rafforzare un’alleanza che sia in grado di influire sugli scenari globali. È in corso un grande political shift, solo restando uniti possiamo affrontarlo.

A proposito di scenari globali, lei è stato ambasciatore in Giappone e ha rappresentato la Lituania nel sud-est asiatico. Cosa mi dice del pivot verso l’Indo Pacifico che anche l’Europa, dopo gli Usa, sta intraprendendo?

Lituania e Giappone hanno rapporti stretti da oltre 20 anni, ma nel 2022 la premier Ingrida Šimonytė ha incontrato a Tokyo Fumio Kishida per elevare le relazioni bilaterali al livello di partnership strategica. È un alleato fondamentale in campo regionale e non solo, essendo la terza economia mondiale. E mentre il tasso di democrazia sta calando ovunque, dobbiamo essere ancora più uniti tra noi che crediamo nello stato di diritto, non importa quale sia la nostra dimensione o posizione nel mondo. Per questo considero un’ottima notizia l’accordo tra Italia, Giappone e Regno Unito sul sistema di combattimento di sesta generazione.

Avete pagato caro, in termini di coercizione economica cinese, il rapporto con Taiwan: ne è valsa la pena?

Assolutamente sì. Questo rapporto nasce con il precedente primo ministro, Saulius Skvernelis, a fine 2020. Che dettò due princìpi: il sostegno alle forze democratiche, ovunque si trovino, e la diversificazione strategica dei partner commerciali ed energetici. Molti esponenti dell’opposizione russa e bielorussa hanno trovato rifugio in Lituania, perché ci siamo schierati dalla parte di chi combatte per la libertà. Con lo stesso spirito abbiamo accolto la rappresentanza diplomatica di Taiwan. Dal lato commerciale, l’isola era una delle possibili strade alternative per ridurre la nostra dipendenza da singoli soggetti (specialmente se autocratici). Dal 2021 in avanti, questa relazione è stata molto proficua: abbiamo importanti investimenti taiwanesi nella nostra economia, dai laser all’Ict, dall’energia ai trasporti. E in pochi anni sarà ultimata una fabbrica di semiconduttori di ultima generazione.

A giugno Vilnius ospiterà quello che forse è il più importante summit Nato degli ultimi anni. Di cosa si discuterà? Se può fare una previsione, crede che sarà l’occasione per annunciare l’adesione piena di Svezia e Finlandia? Oggi si parla di un via libera da Ankara a Helsinki, ma per Stoccolma il processo potrebbe dover attendere l’esito delle elezioni turche.

Ovviamente noi siamo “solo” gli organizzatori, i dossier sul tavolo saranno decisi insieme agli altri alleati sotto la guida del segretario generale. Ma ci aspettiamo che vengano discussi tre temi principali: l’Ucraina, e l’importanza di arrivare a una vittoria di Kyiv contro l’aggressione illegale; il rafforzamento del fronte est, perché la Russia è e sarà per molto tempo una minaccia per tutta la regione; la sicurezza globale e l’impegno della Nato nell’Indo Pacifico, di cui si è parlato per la prima volta al summit di Madrid dell’anno scorso. E mi lasci essere ottimista: credo che in quell’occasione daremo il benvenuto a Svezia e Finlandia come nuovi membri a pieno titolo dell’Alleanza.

Le in questi giorni ha incontrato i suoi omologhi alla Farnesina e altri rappresentanti delle istituzioni italiane. Che legame c’è tra i nostri Paesi?

Un legame che va indietro nei secoli, sul piano religioso, culturale, architettonico: nel XVI e XVII secolo a Vilnius hanno operato architetti italiani. Palazzi, chiese e opere ricchi di influenza italiana si trovano ovunque nella nostra capitale, che molti visitatori considerano molto simile alle vostre città d’arte. Oggi la cooperazione è in tutti i campi: nella politica, nell’economia, nella sicurezza: i piloti italiani partecipano alle missioni di air policing in Lituania, e il vostro Paese è stato tra i primi ad aderire al Centro di eccellenza sulla sicurezza energetica della Nato, che ha sede a Vilnius.

L’anno scorso i nostri scambi commerciali sono valsi quasi tre miliardi. Con l’aiuto dell’ambasciatrice Dalia Kreivienė puntiamo a raddoppiare questa cifra nei prossimi anni. I punti di contatto, su cui possiamo scambiare conoscenza ad alto livello, sono molti, dalle scienze della vita allo spazio, dalle tecnologie per la difesa al patrimonio culturale. Noi conosciamo e amiamo il vostro Paese, e ci piacerebbe che voi conosceste meglio il nostro. Nel 2026 organizzeremo una Giornata della cultura lituana, e abbiamo in programma vari progetti di collaborazione legati al turismo.

Un’ultima domanda: come vede il futuro europeo?

L’Europa sarà sicura e prospera solo con una vittoria dell’Ucraina, alla quale dovrà seguire l’adesione all’Ue e alla Nato. Solo così potremo pensare di avere un futuro pacifico. Sono cento anni che la Russia non viene punita per i suoi crimini, e non parlo neanche dello sterminio del suo stesso popolo nell’era stalinista, ma di tutte le volte in cui ha invaso, ucciso, stuprato e soggiogato civiltà vicine e lontane: l’Holodomor, la carestia che ha causato milioni di morti in Ucraina negli anni ’30; l’occupazione degli Stati che componevano l’Urss; i conflitti in Afghanistan Cecenia, Georgia, Crimea. È il momento di portare il regime russo davanti alla giustizia internazionale, per aggressione e genocidio: se non pagherà per i suoi crimini, Mosca continuerà a violare qualsiasi regola. Finora Putin ha cavalcato il concetto di realpolitik: inutile resistermi, il mio potere militare ed energetico è inarrestabile, lasciate che io conquisti ciò che voglio e sarà meglio per tutti. Non è più così. La realpolitik è finita.


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